Cino Del Duca, il ragazzo del '99
Rivoluzionò l’editoria italiana e francese. Fumetti e fotoromanzi, i generi popolari che alfabetizzarono due nazioni
La Resistenza del Piave, quella francese e quella italiana. I fotoromanzi e Pier Paolo Pasolini. Pietro Nenni, Charles De Gaulle, Enrico Mattei e Lelio Basso. L’Intrepido col Monello, il Giorno, e Grand Hotel con Stop. Giuseppe Garibaldi e il calcio. Il Subappennino marchigiano e Parigi. Che c’entrano fra di loro? L’essere entrati tutti nella straordinaria vita di Cino Del Duca. “Ciò che Del Duca ha pubblicato, Cino l’ha vissuto”, è appunto la battuta finale di “Cino Del Duca. Una passione, due nazioni”: un documentario da poco trasmesso dalla Rai. Come spiega il cartellone, “la sua vita fu un fotoromanzo e lui ne fu l’editore”.
Marchigiano, antifascista, lo si racconta nel documentario “Cino Del Duca. Una passione, due nazioni”. “Ciò che ha pubblicato, l’ha vissuto”
“E’ la storia di un bambino che nasce nel 1899 in una famiglia marchigiana piccolo borghese che dopo qualche anno si ritrova sul lastrico. E’ la storia di un ragazzo che non si arrende alla disfatta, dei suoi cari e della Patria, che giovanissimo prende a lavorare, che a diciassette anni è al fronte, a vincere una guerra perduta”. Il soggetto e la sceneggiatura sono di Giuliano Compagno, mentre la regia è di Roberto Dassoni. Ma a volerne la realizzazione è stata soprattutto Paola Severini Melograni: giornalista, saggista, conduttrice e produttrice dai molteplici interessi, anche come vedova ed erede intellettuale di un grande storico come Piero Melograni. “Non c’era un anniversario, e neanche nessun motivo specifico, ma Paola che è marchigiana da anni parlava dell’opportunità di raccontare questa storia, e alla fine ci è riuscita”, ci spiega Compagno. “Uno dei più importanti marchigiani del secolo, che da noi è finito purtroppo un po’ nell’oblio, mentre in Francia agisce una fondazione che ne mantiene la memoria, facendo tantissime iniziative filantropiche e culturali”.
L’avventura con l’Ascoli e l’intitolazione, a lui e al fratello Lillo, dello stadio comunale. Con Enrico Mattei fonda il Giorno
Oblio relativo, comunque, visto che a lui e al fratello Lillo è dedicato ad esempio lo stadio di Ascoli Piceno. Anzi, dopo che nel 1955 era intervenuto per salvare dal fallimento la squadra retrocessa in promozione regionale, il club prese proprio il nome Del Duca Ascoli: fino alla promozione in B del 1972, quando per una fusione divenne Ascoli Calcio 1898. Con quella denominazione fu nel 1974 la prima squadra marchigiana promossa in A nel 1974, per disputare nella massima serie 16 stagioni. Compreso lo storico quarto posto del 1979-80. Ma a Cino Del Duca sono dedicate anche una via nella stessa Ascoli Piceno, una a Milano, una a Parigi, altre tre in altrettanti comuni francesi, e una scuola per l’infanzia da lui voluta a Bresso, nella città metropolitana di Milano.
Le sue radici erano nelle Marche: a Montedinove, paesino a 561 metri di altezza nella Comunità montana dei Sibillini. Oggi con soli 445 abitanti che però parlano addirittura tre dialetti diversi, per cui ad esempio fuoco si dice “fócu” nella parte nord del comune, “fóchë” al centro e “fuóchë” al sud. Il padre era un garibaldino che aveva combattuto a Digione ed era diventato un piccolo imprenditore, fallendo però quando Pacifico detto Cino ha 13 anni. Iscritto alle superiori, per tre anni prova a lavorare e studiare assieme, per poi rinunciare alla scuola. Ma in qualche modo non alla cultura, visto che va di casa in casa come piazzista di romanzi popolari e dispense. A 17 anni va al fronte come ragazzo del ‘99, è tra i soldati che fermano gli austriaci sul Piave durante la battaglia del Solstizio, ed è decorato con una Croce di guerra. A 20 anni, di ritorno dal fronte, diventa segretario del circolo giovanile socialista di Ancona. A 22 con tutta la federazione dei giovani socialisti aderisce al neonato Pci, dopo la scissione di Livorno. Ma a 24 anni, dopo che Mussolini è arrivato al potere, scrive una lettera ai compagni in cui spiega loro che il comunismo è anacronistico, e che prima ancora che sul piano politico la sua battaglia contro il fascismo la vuole condurre da imprenditore. Dunque, non contro il capitalismo, ma per un capitalismo di tipo diverso. Il che non gli impedisce di passare qualche guaio. Arrestato ad Ancona, finisce in carcere a Vallo della Lucania. “Fui ristretto in uno spazio di 40 metri quadri”, racconterà. “Eravamo in 60. C’ero io, tutti gli altri erano ladri. Sono rimasto in prigione quattro mesi. Durante questo tempo il direttore ogni tanto mi diceva: ‘Del Duca, io potrei pure liberarla ma mi serve una sua dichiarazione in cui afferma di non essere antifascista’. Ho sempre detto no e sono rimasto in prigione”.
Quando è liberato, va a Milano. All’inizio riprende a vendere dispense casa per casa, ma proprio con l’esperienza che così si è fatto dopo un po’ decide di lanciarsi in proprio. Crede di avere ormai capito cosa interessa al popolo. “Le dispense che vendevo erano piene di storie atroci, nel genere Fantomas: ratti, assassini, intrighi, pozze di sangue”, spiegherà. “Chiacchierando con le mie lettrici, donne semplicissime, casalinghe, lavandaie, fioraie, operaie, capii che comperavano quei romanzi perché non ve ne erano altri… ma avrebbero preferito belle storie d’amore”. “Cino era un visionario, aveva capito che le donne avevano voglia di avventure amorose e che l’amore era per loro la cosa più bella, soprattutto dopo la guerra”, si spiega nel documentario. “Da venditore porta a porta di giornali, tornava ogni settimana dalle signore e ne discuteva con loro. Aveva capito come e che cosa doveva scrivere alle e per le donne”. Nella migliore tradizione del socialismo ritiene di poter inserire nelle pubblicazioni un discorso di educazione popolare.
Il sodalizio con Luciana Peverelli e la comprensione di ciò che volevano le lettrici. L’arrivo a Parigi e l’attacco a un’élite distante dalla realtà
Nel 1929 apre dunque una piccolissima casa editrice: la Moderna, che poi diverrà Editrice Universo, specializzata in romanzi popolari a dispense. In un’epoca in cui le scrittrici sono poche, e molte tra queste poche si mimetizzano con nomi maschili, inizia un importante sodalizio con Luciana Peverelli, autrice nel 1930 del primo grande successo editoriale della Moderna: il romanzo “Cuore garibaldino”, che rilancia un’epopea patriottica che il fascismo non può vietare ma che si presta allo stesso tempo a una lettura libertaria. Sono 180 dispense, col successo delle quali nel 1931 il 32enne Cino Del Duca acquista la sua prima tipografia. Di lì a poco la Moderna entra nel settore dei periodici, con due riviste per ragazzi che rompono il duopolio fino ad allora esistente tra il Corriere dei Piccoli e il Vittorioso: l’uno emanazione del “borghese” Corriere della Sera, l’altro cattolico, e però entrambi dominati da contenuti perbenisti che tentano di “contrabbandare” un nuovo medium come il fumetto, che i benpensanti tenderebbero altrimenti a considerare diseducativo. Il Monello, nato nel 1933 con la direzione della Peverelli e con titolo ispirato al film di Chaplin, durerà fino al 1990. Intrepido, nato nel 1935, fino al 1998. All’inizio ispirate anch’esse a temi romantici e patriottici caratteristici del romanzo d’appendice, le storie pubblicate sui due giornali daranno col tempo sempre più spazio a contenuti che negli Usa si definirebbero “pulp”, ma valorizzando autori italiani, e affiancando ai fumetti sport e altri contenuti. Il tutto già inizia ad anticipare il modello del rotocalco.
Il successo non impedisce però a Del Duca di continuare a essere sorvegliato, come antifascista. Senza interrompere i suoi investimenti in Italia, nel 1930 decide dunque anche di spostare la sua residenza a Parigi, dove lo accolgono senza problemi anche in quanto figlio di uno dei volontari che nel 1870 erano accorsi a difendere la Francia. Già nel 1932 ottiene la doppia cittadinanza, e anche a Parigi fonda una casa editrice. Si chiama Les éditions mondiales, e vi ripropone lo stesso modello editoriale con cui sta facendo soldi a palate in Italia: dai romanzi d’amore e d’avventura a dispense, a giornalini per ragazzi come Hurrah! e Aventurex. “Per quei tempi i fumetti rappresentarono una sorta di rivoluzione culturale”, ricorda sempre il documentario. “Del Duca aveva ben compreso quale fosse la debolezza francese. Si rese conto che, formalmente, gli ambienti intellettuali erano dominanti, che una letteratura raffinata si imponeva nelle librerie… ed ebbe l’intelligenza di accettare che quel mondo non lo avrebbe mai accolto… Per contro fu tanto forte da attaccare proprio quelle élite così distanti dalla realtà e dalla storia… e da offrire alla gente comune una narrazione popolare. Le regalò il sogno, la fantasia, l’amore, l’avventura… Fu così che quell’italiano di paese conquistò la Francia. Diventa un gigante del genere, e inizia anche a importare dagli Stati Uniti le cosiddette ‘vicende vissute’: storie di vita vera, a sfondo sentimentale, raccontate dai diretti protagonisti”.
“Nel 1938 ero proprietario di tre case editrici, una in Spagna, una in Italia e una in Francia”, ricorderà Del Duca. Ma “in Italia la mia casa editrice cade nelle mani dei fascisti”, che lo obbligano a chiudere. “In Spagna nelle mani degli anarchici, che negli affari erano veramente catastrofici. In Francia dopo l’occupazione tedesca tutto andò in fumo”. Entra dunque nella Resistenza gollista, dove prende il nome di battaglia di “Robert”, e crea anche una nuova Legione garibaldina. Sarà decorato con una Croce di guerra con stella di bronzo. Dopo l’8 settembre passa alla Resistenza italiana.
“Dovetti ricominciare tutto da capo nel 1947”. Innanzitutto riprende i giornalini per ragazzi: Mireille, Intrépide, Hurrah! In Francia; Intrepido, Albi dell’Intrepido, il Monello in Italia. Ma, quasi come via di mezzo tra i giornalini e le dispense, ha le due grandi idee dei rotocalchi e dei fotoromanzi. “Comunisti e cattolici in Italia disprezzano questo tipo di letteratura considerato amorale”, ricorda il documentario. Ma, pure se “nessuno lo ricorda mai abbastanza”, “il fotoromanzo è un invenzione tipicamente italiana, prodotto del genio italico. In Francia riscuotono da subito un successo clamoroso e dopo qualche anno sbarcano in Sud America”. E “i fotoromanzi sono alla base delle Telenovelas”. “Per comprendere l’enorme successo che il fotoromanzo ottenne al suo apparire in Italia, non sono sufficienti i contenuti di quei racconti, adatti a lettori più semplici; a ciò andrebbero aggiunti altri due fattori: il primo, che insieme al cinema neorealista, il fotoromanzo diventò il prodotto più tipico dell’industria culturale del dopoguerra; il secondo, che quei fascicoli considerati così innocui e inutili contribuirono ad alfabetizzare una larga fascia della popolazione”.
Grand Hotel esce il 26 luglio 1946, offrendo a un’Italia devastata dalla guerra un sogno di amore in tutte le salse. E in capo a 10 anni arriverà a 1,7 milioni di copie. Ma tutti i prodotti di Del Duca arrivano a 10 milioni. Nel 1947 Cino sposa Simone Nirouet, che subito divenne sua socia in affari. Proveniva da una famiglia operaia: suo padre ritirava olii esausti dai meccanici. Aveva appunto sposato un garagista amico di suo padre e lo aiutava a tenere la contabilità. Del Duca l’aveva incontrata portando la sua auto a riparare al garage di suo marito, ed era scappato con lei all’inizio della guerra, in una vicenda che anticipava una tipica trama da fotoromanzo. Alla fine del conflitto era tornato dal garagista, che nel frattempo si era trovato un’altra donna, e lo aveva convinto a divorziare, in cambio di una concessionaria automobilistica esclusiva. Anche Simone mostra talento negli affari, oltre a una competenza per cui sarà ammessa come membro dell’Académie des Beaux-Arts. Grand Hotel è doppiato in Francia da Nous Deux, che pure arriva a 1,2 milioni di copie vendute. A queste due testate è affiancata una serie di riviste analoghe e complementari: il giornale di “confessioni” e “storie vere”, quello di pettegolezzi su personaggi famosi e gente del cinema, quello di maglia e ricette. Nascono così in Italia Intimità e Confessioni: diretto da Luciana Peverelli, e poi divenuto Stop. In Francia Intimité, Vie en fleur e Ciné-révélation. Le Éditions Mondiales Del Duca aprono una succursale a New York, con il nome World Editions. Nascono la rivista Fascination e il magazine di fantascienza Galaxy Science Fiction: ma gli Usa hanno già il loro pulp, e quello sbarco non ha successo.
In compenso, Del Duca torna a guardare alle natie Marche. Da una parte c’è la già citata avventura con l’Ascoli. Dall’altra, il marchigiano partigiano socialista quasi fatalmente si incontra col marchigiano partigiano democristiano Enrico Mattei, la cui Agip e Eni nel mondo dell’energia stanno facendo altrettanto rumore che Del Duca nel mondo dell’editoria. Si intendono, e nel 1956 nasce da loro il quotidiano il Giorno. Direttore Gaetano Baldacci, già inviato speciale per il Corriere della Sera. “Una nave pirata che entra nel mondo della stampa italiana”, la presenta il documentario, “una stampa ancora cloroformizzata. Soprattutto attacca la corazzata di Via Solferino che è il Corriere della Sera, sul fronte delle notizie che il Corriere non pubblica. Il fronte della spregiudicatezza e della modernità. Il Giorno rompe gli schemi con la prima pagina e pagine nuove che si occupano di consumi, donne e anche con il fumetto. Rompe con l’immagine del giornale statico e fatto di piombo perché porta le fotografie e il colore. Molti giornalisti lo vedono come un riferimento di libertà e democrazia”. Nel novembre 1957 l’interesse di Del Duca per la crescita della cultura popolare porta alla nascita del mensile illustrato Historia, con primo direttore Alessandro Cutolo; un professore universitario di Storia medievale che era diventato il primo grande divulgatore della Rai. Tale il successo che il Corriere della Sera lo emulò subito, lanciando il mese dopo Storia illustrata. Nel 1959 anche il Giorno è doppiato a Parigi da Paris-Jour, di cui Del Duca è per un po’ anche direttore.
Produce “Il vedovo” di Dino Risi, “L’Avventura”, che è il film con cui decolla Michelangelo Antonioni, e “Accattone”, prima regia di PPP
Già dal 1954 Del Duca si è dato anche al cinema, come produttore e distributore. Tra i film da lui promossi ci sono “Aria di Parigi” di Marcel Carné, “Margherita della notte” di Claude Autant-Lara, “Il vedovo” di Dino Risi, “L’Avventura” che è il film con cui decolla Michelangelo Antonioni, “Il bell’Antonio” di Mauro Bolognini, e “Accattone” che è la prima regia di Pier Paolo Pasolini. E ci sono poi una quantità di altre attività culturali e filantropiche, continuate dalla sua Fondazione. Ma muore a Milano il 23 maggio 1967, a 68 anni non ancora compiuti. L’orazione funebre gliela farà il grande eretico socialista Lelio Basso. A riprova del suo stare a cavallo tra Italia e Francia, la sua tomba è al Cimitero di Père-Lachaise di Parigi, malgrado avesse già fatto realizzare 1954 l’edicola familiare al Cimitero monumentale di Milano.
“Al funerale”, ricorda il documentario, “il suo chauffeur, che guidava la Rolls Royce (la macchina preferita di Cino, ne aveva tante), disse che Cino non aveva avuto modo di vedere la cosa più bella: 25 carri di fiori passavano per le strade di Parigi con la polizia sull’attenti. Un omaggio meraviglioso a un uomo che i francesi avevano amato”. De Gaulle gli aveva anche dato la Legion d’Onore. “Cino Del Duca muore alla vigilia del ‘68”, osserva Compagno. “Con lui viene a mancare un genio avventuroso del nostro miglior Novecento, un creativo che realizza e che vince, uno che la polizia aveva schedato con il commento più azzeccato: ‘un’espressione sorridente, segno della sua sicurezza’. Con Cino resterà alla memoria un personaggio imponente, non solo figlio naturale di due regioni italiane ben produttive (Marche e Lombardia) ma anche figlio adottato di Francia, e infine apolide che abitava solo nei suoi progetti, grazie ai quali scrisse un grande capitolo della storia editoriale d’ogni tempo”.
Resta forse anche la domanda su cosa avrebbe potuto inventarsi, se arrivando agli 80 anni avesse potuto intercettare l’inizio dell’epoca delle tv private.