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il lutto

L'ultimo radical chic. Vita, opere e aneddotica di Furio Colombo

Michele Masneri

Mancato a 94 anni il giornalista che fu anche ad della Fiat in America e uomo ombra dell'Avvocato

I molti che  blaterano oggi  a sproposito di radical chic nell’accezione di chiunque  si metta la mano davanti alla bocca tossendo e magari non voti nazista, e sia pure gravato da mutui trentennali, costoro dovrebbero studiarsi bene Furio Colombo, ultimo esemplare di quella razza, mancato oggi. A km zero dall’originale definizione by Tom Wolfe, dunque non si sa se pantere nere in salotto ma nel caso allevate a terra  tra Park Avenue (case dell’Avvocato, istituti di Cultura, Rai international, negozio Brooks Brothers), Colombo defunto oggi è stato l’ultimo alfiere di quella fantastica e complicata filiera e famiglia che intrecciava la Fiat, possibilmente sede di New York; Capalbio quando era ancora Capalbio, praticamente la Mar a Lago di  Repubblica. E poi  La Stampa (con interscambio tra corrispondente di Rep e rappresentante Fiat, con differenze minime tipo tra console generale e nunzio apostolico), e poi una spruzzata di parlamento, quando essere deputati era ancora qualcosa, contessa. E la cattedra alla Columbia, e l’ultima intervista a Pasolini. E un salto a Palermo per il Gruppo '63. 

 

Atlantismo affinato in barrique, un Rampini senza bretelle, un Alain Elkann meno soft, un Gianni Minà aziendalista, un proto Antonio Monda  senza gli squisiti manicaretti della moglie Jacqui ma con carica di ad Fiat Corporation! Con quella vocina poteva dire ciò che voleva, e pure in un assurdo accento italiano che coltivava con snobismo (ci incontrammo a una trasmissione radiofonica a parlare proprio di Tom Wolfe, e lui lo pronunciava Volf, incredibilmente). Poi tanti libri, sull’America naturalmente e sull’essere ebrei e sull’Avvocato, ma pure certi romanzetti con pseudonimo, di “Marc Saudade”. Direttore dell’Istituto di Cultura sempre a New York, una spruzzata di populismo partecipando all’avventura del Fatto Quotidiano, naturalmente odio per Berlusconi prima antropologico ed estetico che politico, poi traslato su Meloni “antisemita”; naturalmente direttore dell’Unità quando l’Unità era l’Unità, contessa.

 

Rivalità per altri umani di fascia alta che condividevano destini simili tipo Jas Gawronski. Torinese, nato a Chatillon in Val d’Aosta, liceo d’Azeglio, vittima di perfide battute dell’Avvocato, che lo definiva “chioccia pakistana” e altri nomignoli, ma ne valeva la pena. Maestro di aneddotica insuperabile. Per esempio. Compleanno dei 30 anni, all’hotel Nacional dell’Avana. “Venne Che Guevara e ci scarrozzò su un’automobilaccia americana. Con me c’erano Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir e Françoise Sagan, venuti a festeggiare il primo anniversario della rivoluzione cubana”. Però  poi tanti Kennedy, un Kennedy non mancava mai nell’impasto di questo incredibile attraversatore del Novecento più sartoriale e agnellesco, quando la Fiat era ancora la Fiat, contessa).

 

Anche, passa il  mitologico concorsone Rai dei talenti con Umberto Eco e Gianni Vattimo del ‘54 (un po’ come Telemeloni insomma), e poi alla Olivetti, poi la Stampa, l’abbiamo detto, poi ad della Fiat in America. Che mondo, contessa. Naturalmente una moglie americana, Alice Oxman (“dobbiamo a  Joan Baez un regalo di nozze speciale. La incontrammo davanti all’Hotel Park Lane subito dopo la cerimonia e  ci invitò a seguirla al concerto di Woodstock”). Capalbio come Martha’s Vineyard: nel 2016 un editoriale sul Fatto di Nicola Caracciolo, principe e ambientalista: “Ringrazio Furio Colombo per la chiara esposizione dei problemi relativi all’ installazione di 50 migranti a Capalbio”.  Secondo Giovanna Nuvoletti solo Caracciolo (Nicola) e Colombo (Furio) potevano fregiarsi di titolo di Veri Signori Capalbiesi. Di radical chic così non ne fanno più, contessa.
 

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).