António de Oliveira Salazar (GettyImages) 

Mentre noi parliamo tanto di M, in Portogallo non c'è traccia di Salazar

Alberto Mattioli

L’unica lapide che lo cita è seminascosta nel Panteão Nacional di Lisbona. Tra le novità, nella più antica libreria del mondo, un saggio sugli informatori della polizia politica e uno sull’equilibristica neutralità durante la Seconda guerra. I treni in compenso sono puntuali

Mettiamo che un tizio vada a fare un viaggetto in Portogallo e, colpito dalla recentissima biografia di Yves Léonard, Le dictateur énigmatique, cerchi qualche traccia di António de Oliveira Salazar. Non proprio una parentesi, nella storia del paese: economista cattolico, professore a Coimbra, presidente del Consiglio dal ’32 al ’68 con il motto “Dio, Patria e Famiglia” (dove l’ho già sentito?), fondatore dell’Estado Novo “clerico-fascista”, come avrebbe detto Peppone cogliendo nel segno e, insomma, dittatore de facto, seppure con uno stile riservato, professorale, perfino dimesso, per nulla ducesco. Però curiosamente di Salazar si trova nulla. L’unica lapide che lo cita è seminascosta nel Panteão Nacional di Lisbona (la versione locale di quello parigino, fra le glorie nazionali anche il calciatore Eusebio e Amália Rodrigues, nostra signora del fado), dove si ricorda che fu istituito nel ’66 essendo appunto presidente del Consiglio il “doutor”, perché ci sono dei momenti in cui il portoghese suona curiosamente uguale al bolognese. Da Bertrand al Chiado, la più antica libreria del mondo perché in attività dal 1732, sugli scaffali delle novità si trovano un saggio sugli informatori della Pide, la famigerata polizia politica del regime, un altro sull’equilibristica neutralità durante la Seconda guerra mondiale, e stop. A Coimbra, mentre si dà l’addio a qualche barone importante con un bellissimo funerale pieno di professori e studenti nella tradizionale cappa nera che sembra uno dei tabarri di Corrado Beldì, Salazar non è pervenuto. E dire che aveva studiato e insegnato lì e fu lui a far costruire le attuali sedi di facoltà in uno stile fra il fascio e il New Deal per nulla spiacevole. Eppure nulla, non una targa, un’iscrizione, un cartello, nemmeno per deplorare la dittatura, per carità, mica per rimpiangerla. Braganza quanti ne vuoi, navigatori come se piovessero, Camões anche di più, Pessoa non ne parliamo, ma su Salazar niente di niente.

    
Poi il tizio torna riluttante in Italia e la ritrova dove l’aveva lasciata: a discutere di Mussolini e del fascismo che c’era, di quello che forse c’è, di quello che sicuramente incombe e così via, ad libitum. Le migliori menti del paese, non che ci sia l’imbarazzo della scelta, sono impegnate in pensosi dibattiti sulla fiction “M”, tratta dal libro liberamente ispirato alla storia, con polemiche anche violentissime sulle ultime news del 1922, mentre l’attore che interpreta il detto M informa a reti unificate delle sue crisi di coscienza e repulsioni e amarezze per aver incarnato (benissimo, dicono, io non l’ho visto) l’uomo nero. Così, per pagine e pagine e giorni e giorni. E allora il tizio si chiede: sono matti i portoghesi o siamo matti noi? E comunque segnala, così en passant, che in Portogallo sono i taxi ad aspettate i clienti e non il contrario come avviene in Italia, oltretutto con tassametri inferiori di due terzi, che i mezzi pubblici funzionano perfettamente e che i treni arrivano puntuali (come quando c’era Lui, appunto…).