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Cari scrittori e intellettuali, è forse giunta l'ora di levare le tende dai social

Giulio Silvano

I lettori diminuiscono e l’editoria propone libri che assomigliano a gadget. Stare lontani per qualche anno dalle scene e smetterla di rincorrere continuamente le novità potrebbe aiutare. Due soluzioni pratiche

A Natale Paolo Di Paolo scriveva una lettera a Dagospia lamentando che “gli scrittori ‘letterari’ fanno i populisti sofisticati”, che la gente del mondo “editoriale” ogni due settimane celebra “il libro del momento” come attesissimo e “potente”, e che, anche in conseguenza di questo, i lettori diminuiscono mentre l’editoria gli indirizza “prodotti sempre più scadenti sciatti insulsi evanescenti. Che non sono libri, sono gadget”. Ma anche “quelli che provano a campare con i libri, o che insistono a promuovere la lettura” leggono poco. Non si può non essere d’accordo con te, caro Paolo, anche sulla simpatia condivisa per Fabio Volo. A essere apocalittici forse è davvero impossibile salvare i libri come li abbiamo conosciuti nell’infanzia, o forse no. Ma, davanti al tuo allarme, che alziamo spesso in forma di lamentela a porte chiuse contro gente della bolla non presente nella stanza, possiamo pensare a delle soluzioni pratiche invece di lasciare tutto alla lamentela. Ne vengono in mente due, due strade che potrebbero convergere. 

La prima è la soluzione Donna Tartt: scrivere un libro ogni dieci anni, starsene lontana dalla scena, ed evitare di presentare 365 libri all’anno in qualsiasi festival di provincia. Finirla di arrabbiarsi con gli amici della domenica solo quando non si sale sul palco a bere lo Strega. E’ una strada difficile, percepita come snob, dove la forza di volontà si scontra con la sopravvivenza economica e con la vanità. La seconda è abbandonare i social. Può apparire come un suicidio di immagine, ma non se lo si fa tutti insieme. Quanti amici ci dicono: “Lascerei Facebook se solo non mi servisse perché ci sono tutti…”. E’ lì che “si esiste”. Perché allora non invitare tutti ad andarsene? Scrittori e scrittrici, editor, traduttori e traduttrici, recensori e presentatori di libri, tutti uniti, tutti insieme fuori dai social.

Uscire dalla dittatura dell’algoritmo e dei follower, detronizzare booktoker ed endorsement di amici con la spunta blu, e riabbracciare delle dinamiche di potere che oggi ci appaiono antiquate (senza però cadere nella miticizzazione del passato, di un’editoria gloriosa del Dopoguerra che aveva comunque le sue pecche, come ogni industria). E non pensi che l’editoria, e la salute degli “editoriali” che non leggono, gioverebbe dall’uscire da questi luoghi, dalla querelle in forma di commento al post, per riprendersi quella che Benjamin, parlando del Tasso di Goethe, celebrava come “solitudine del poeta”? Non pensi che anche i prodotti ne godrebbero, e che magari si riuscirebbero a riacchiappare i lettori forti, o a crearne nuovi non tramite la viralità ma tramite la qualità? Non finirebbe la Fomo, la rincorsa alla novità?

Andandosene tutti non si smetterebbe di pubblicare “micro influencer”, spezzando quel meccanismo frequente in cui gli editori provano a trasformare personalità di internet in autori e autrici solo in virtù del loro numero di follower? (Sperando che il numero coinciderà con quello delle vendite). “The medium is the message” – spesso ce lo dimentichiamo. Forse sarebbe solo una forma di resistenza, di conservatorismo romantico, come fumare ancora le sigarette di carta – e non quelle elettroniche – nei parchi di Milano. O forse no, forse potrebbe essere un modo per riprendersi uno spazio, per puntare sul prodotto e leggere Puskin invece di didascalie a foto di copertine su Instagram. Come dice Murakami: la lingua dei social è brutta. Non pensi che quei “potente” applicato al “libro del momento” sarebbe più difficile, anche solo per amor proprio, usarlo tra le pagine di un quotidiano che non sotto un cancellabile post Facebook? 

E’ forse anche l’occasione, per avere di nuovo un ruolo intellettuale e non restare giullari da tastiera, tutti utenti qualsiasi nel mondo pseudodemocratico delle “community” (uno vale davvero uno?). Te lo dico oggi, caro Paolo, perché sarebbe il momento migliore per abbandonare la sfera social senza perdere la faccia. Che l’intellighenzia sfrutti l’ondata di sdegno – verso la genuflessione di Zuckerberg a Mar-a-Lago, verso Musk che celebra l’estrema destra tedesca, verso TikTok che spia per conto di governi stranieri e autocratici, verso social che ribaltano i risultati elettorali tramite agenti stranieri – per togliere le tende come stanno facendo molti negli Stati Uniti. La sinistra intellettuale farebbe bella figura distaccandosi dai broligarchi, i letterati di destra potrebbero invece riprendere in mano l’elitarismo colto. Win-win per tutti, forse anche per i libri. “Sarebbe un mondo bellissimo”, dicono tutti quando si parla della fine dei social. Ma non si può aspettare un meteorite. 

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