Una fogliata di libri
Mendelsohn, Erodoto e i ghirigori ovidiani
Le considerazioni dell'autore statunitense sull'Omero della storia che definisce un confuso "credulone" e la rivalutazione della forza narrativa e i collegamenti ipertestuali.
Negli ultimi anni hanno acquisito fama di grande raffinatezza i saggi narrativi di Daniel Mendelsohn. Io ne diffido. Mi sembra un’illusione ottica dei cosiddetti lettori forti, che godono nel trovarvi riunite, e addomesticate, tutte le materie del loro cursus studiorum: ebrei e greci, migranti, scontri di civiltà, Olocausto, traumi per interposto antenato, intrecci suggestivi tra autobiografia e Storia. Lo stile, poi, ha una levigatezza da editing aziendale, sotto cui affiora un tono un po’ tronfio. Ciò non toglie che Mendelsohn sia a volte stimolante. In “Estasi e terrore”, la sua raccolta di pezzi critici uscita ora per Einaudi, continua a esercitarsi nel confronto tra miti classici e contemporanei: il lesbismo di Saffo, Ovidio e lo stupro, il rapporto tra schemi tragici e serie tv. Qui però mi interessano le pagine su Erodoto. L’autore ricorda che negli anni Ottanta, con altri studenti di lettere classiche, tendeva a deridere l’Omero della storia. Rispetto a Tucidide, che nel tramonto della guerra fredda appariva un sapiente demistificatore della “realpolitik globale”, Erodoto gli sembrava un confuso “credulone”: leggendolo si sentiva “in vacanza con un genitore di cui ti vergogni”, tra guide cheap e souvenir pacchiani.
Oggi però Mendelsohn ne rivaluta l’irresistibile forza narrativa, il metodo da “libera associazione” e le digressioni fantastico-pedantesche, che evocano i “collegamenti ipertestuali” o i romanzieri postmoderni. Torna attuale anche il leitmotiv erodoteo, quello del modo in cui “il tempo può inaspettatamente mutare le sorti e la reputazione di imperi, città e uomini” (e storici…): cioè, nel caso, prima di tutto il destino della Persia, che oltrepassati i suoi limiti naturali, malata di gigantismo, va in rovina come un personaggio tragico. Viceversa, Tucidide si allontana da noi. Dopo aver nutrito le interpretazioni del secolo breve (con le sue democrazie imperiali, col suo miscuglio di guerre civili e guerre tra stati), quella che Aron chiamava la cauta stilizzazione tucididea degli eventi ci appare irripetibile: crollate le ideologie, non confidiamo più nelle leggi della storia, né crediamo che l’analisi sociale debba prevalere sulle vicende degli individui. Del resto già a metà Novecento Attilio Momigliano, antichista ebreo sfuggito ad Auschwitz e divenuto un accademico angloamericano, scriveva di Erodoto con nuova ammirazione: considerava miracolosa la maniera in cui aveva tenuto insieme l’indagine sui conflitti e il vasto quadro etnografico, la descrizione delle costituzioni e quella dei coccodrilli.
L’asistematicità di Erodoto, che non mette in gerarchia le cause, e che restituisce così il fluttuare imponderabile delle trame storiche, ci offre una saggezza laica adatta alla nostra civiltà senza forma. Ma c’è di più: a poco a poco, abbiamo avuto le prove che è meno lontano dalla verità di quanto sospettassimo. Lo ricorda anche Mendelsohn: il passo erodoteo sulla polvere d’oro accumulata dagli indiani con l’aiuto di un animaletto misterioso, per esempio, è stato confermato nel 1996 da una squadra di esploratori. Antropologo-reporter diviso tra oriente e occidente, Erodoto non dà giudizi dall’alto. La varietà del suo mondo è irriducibile a filosofie o teologie, come d’altra parte lo sarà sempre la storiografia in Grecia, dove non è legata alle sacre verità ebraico-cristiane, e non ha quindi un posto garantito nella cultura. Presso i greci, notò Momigliano, non esisteva “nessun criterio rigoroso per distinguere un romanzo da un libro di storia”: né forse esiste nella nostra epoca di stories. Mentre i popoli ai confini dell’Europa sono di nuovo travolti dalle stragi enigmatiche di Omero, noi qui, ancora al caldo di una pace provvisoria, cavilliamo sul grado di correttezza politica dei ghirigori ovidiani. Ma non dovremmo dimenticare che Ovidio è finito in esilio sul Mar Nero.