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in libreria

Storie di rifugiati. Hassan Blasim tra iperrealismo macabro e humor nero

Livia Chiriatti

“Il matto di piazza della Libertà” dello scrittore iracheno e la follia come unico strumento per salvasi la vita

Ogni ospite del centro di accoglienza per rifugiati ha due storie: una vera e l’altra per l’archivio. Le storie per l’archivio sono quelle che i nuovi rifugiati raccontano affinché venga loro riconosciuto il diritto all’asilo umanitario. Queste storie vengono trascritte dall’ufficio immigrazione che le custodisce in fascicoli riservati. Le storie vere, invece, rimangono imprigionate nei cuori dei rifugiati che, segretamente, ne custodiscono il ricordo”. Inizia così il primo racconto de Il matto di piazza della Libertà, l’ultimo libro di Hassan Blasim uscito in Italia per Utopia, che ha già pubblicato Allah 99 e Il Cristo iracheno, tutti tradotti da Barbara Teresi. La migrazione in Europa ossessiona la narrativa di Blasim, scrittore, poeta, regista e blogger di Baghdad, dal 2004 rifugiato a Helsinki – dopo aver lasciato la sua città perché i suoi film non piacevano al regime di Saddam Hussein e aver lavorato sotto pseudonimo nel Kurdistan iracheno.

 

E’ considerato uno dei più grandi scrittori in lingua araba, anche se i suoi libri hanno trovato difficoltà a uscire nella sua lingua. Perché affrontano la violenza insensata del regime e del fanatismo e l’epopea dei disperati che si affidano ai trafficanti per arrivare in Europa. In nessuno dei due scenari c’è consolazione. Restare in Iraq può voler dire finire vittima di un attentato mentre si fa la spesa al mercato o essere arruolati bambini in qualche guerra intestina senza senso. L’unica speranza di sopravvivenza è cercare rifugio in occidente, che però si rivela freddo, diffidente, inospitale e non offre speranza di integrazione ai rifugiati, parcheggiati in squallidi bar carichi di fumo e slot machine. Sempre che si riesca a superare il confine europeo: in un racconto i clandestini stipati in un camion sopravvivono inutilmente a una traversata della Turchia, dove boccheggiano senza ossigeno e sono immersi nei propri escrementi solo per essere poi trucidati da uno di loro trasformatosi in lupo mannaro. L’allucinazione è l’unica strada per raccontare la precarietà e la brutalità irachena.

Ne Il matto di piazza della Libertà Blasim dipinge situazioni surreali: un tipo sequestrato dai jihaddisti di diversi gruppi costretto a registrare messaggi all’occasione per i sunniti, gli sciiti, i peshmerga; uno scrittore impostore sommerso da misteriosi quaderni scritti a mano di sublime valore letterario, inviati da un soldato morto; il migrante che si tiene stretta la valigia con i resti della madre, ma perde il teschio inseguito dalla violentissima polizia frontaliera bulgara; il quartiere di miserabili che prospera dopo l’arrivo di due angelici gemelli biondi; il soldato bloccato nella fabbrica di divise militari che sopravvive nutrendosi del cadavere della sua amata. I corpi mutilati sono abitudine, il macabro diventa l’unico registro possibile insieme a una comicità feroce: il restauratore di cadaveri è il lavoro artistico più ambito. 

 

Sono racconti che elaborano il trauma, la morte è talmente parte della realtà che si fonde insieme con la vita, e i morti diventano narratori, personaggi – elemento ricorrente anche nel Cristo iracheno, che prende il titolo proprio dal racconto di un morto durante un attentato di soldato americano che si è fatto esplodere per salvare la madre. Questa normalità su cui sono innestati twist inaspettati e paradossali è la cifra stilistica di Blasim. Nel romanzo Allah 99 scrive: “La normale vita irachena è un piatto realistico il cui gusto non sarebbe completo senza un pizzico di allucinazione”. L’immaginazione è d’altronde uno strumento per liberarsi: “Ogni volta che l’insensatezza e la crudeltà della violenza ci soffocano, l’immaginazione diventa il polmone di riserva grazie al quale possiamo respirare mentre siamo intrappolati nell’incubo”. 

 

In questo iperrealismo macabro, brillante, urgente, c’è spazio anche per la tenerezza e per un lirismo straziante. Ma soprattutto trionfa l’umorismo nero, che libera sprazzi di luce. In un passaggio di Allah 99, un parametro per giudicare il successo di un ristorante è la frequenza di quanto volte questo è scelto come teatro di attentati suicidi. “Il matto di piazza della libertà” si chiude invece con la storia di un uomo che un giorno si sveglia con un sorriso stampato in faccia di cui non riesce a disfarsi: è il sorriso di scherno per sbeffeggiare la vita. La follia è l’unico strumento per salvarsi, qualcuno scriveva: they went mad since they had nowhere else to go.

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