l'opinione
La smania di esprimersi gratis fa male al ruolo e al portafoglio degli scrittori
Se gli scrittori cercano di guadagnarsi un pubblico sui social, rischiano di perdere non solo la loro voce, ma anche il rispetto del proprio lavoro. Il social network non è il posto per chi vuole fare della scrittura un'arte, ma solo un prodotto di consumo
Sono un maleducato: mi intrometto nell’interessante scambio fra Paolo Di Paolo e Giulio Silvano riguardo all’opportunità che gli scrittori siano presenti sui social network, per proporre una posizione non fondata su princìpi razionali o morali bensì sulla bieca convenienza. Premetto che con “scrittori” intendo persone che vengono già pagate per scrivere, così da riuscire a mantenersi o ad arrotondare in modo cospicuo; escludo gli autopubblicati, i poeti in erba, e chiunque nutra la legittima ambizione di farsi notare e sfondare.
Gli scrittori sono dunque persone che vendono un prodotto a dei mediatori – gli editori di libri, giornali o new media – i quali li diffondono a un pubblico di acquirenti. I social network, già solo per questa descrizione, non sembrano essere la scelta più conveniente: tagliano infatti il mediatore, che però è colui che caccia i soldi, per far entrare gli scrittori a contatto con un pubblico di lettori a sbafo; sin dalle origini, del resto, Facebook proclama “è gratis e lo sarà per sempre”. A meno di diventare influencer che ricevono denaro per i propri post, ossia un mestiere diverso, gli scrittori si ingannano quando pensano che stare sui social serva a entrare in contatto con un target più vasto di potenziali lettori (anche se, fra parentesi, ci inganniamo tutti: quando ho avuto la bella pensata di pubblicare un romanzo, l’editore di buon cuore mi ha persuaso a tornare sui social dopo due anni e mezzo; è stato un errore e, ora che nuovamente non li uso più, non sono né più ricco né più povero di prima). In realtà i social presentano il target sbagliato: gente abituata a pretendere un flusso continuo di contenuti senza dare nulla in cambio.
La continuità è l’altro guaio. Se proprio uno scrittore deve stare sui social, farebbe meglio a ispirarsi a Paul Auster, che pubblicava un post ogni paio d’anni così che, nei lunghi intervalli, gli utenti non potessero dedurre se fosse vivo o morto. Altrimenti, per quale motivo costoro dovrebbero pagare i mediatori per poter leggere le parole di uno scrittore che gliene propone comunque un flusso continuo, gratuito e a domicilio? La matematica lo conferma. Se a una maggiore presenza degli scrittori sui social corrispondesse un incremento del numero dei lettori, allora le complessive vendite dei libri sarebbero aumentate; i nuovi dati dell’Aie dimostrano invece il contrario, forse anche a causa di questa saturazione.
La smania di esprimersi gratuitamente, saltando la mediazione editoriale e cercando il facile plauso della folla anonima, danneggia non solo il portafoglio dello scrittore ma anche il suo ruolo. Diffonde l’idea che lo scrittore abbia una parola per tutto, anche se non gliela chiede nessuno: né una testata giornalistica, né un produttore di podcast, né un marchio librario. Da un lato, ciò rende lo scrittore un distributore automatico di appelli e di indignazioni, portandolo a dimenticare che quasi nessuno scrittore è passato alla storia per avere scritto un manifesto; caso mai, pochissimi manifesti sono passati alla storia grazie alla qualità delle altre opere dei firmatari. Dall’altro, illude di essere scrittori i dilettanti che si profondono in altrettanto verbose tirate estemporanee, confondendo così lo scrivere col digitare su una tastiera.
La più rilevante ragione per cui a uno scrittore non conviene stare sui social è che gli scrittori sono naturalmente pacifisti. Intendo come Thomas Mann, che si arrabbiò coi famigliari, vuole la leggenda, quando lo interruppero per annunciare lo scoppio della Seconda guerra mondiale mentre lui stava finendo “Carlotta a Weimar”. Lo scrittore è pacifista perché ha bisogno di pace per seguire il filo dei propri pensieri e del proprio stile. Stare sui social significa invece aderire a uno stato di guerra continua di tutti contro tutti, portarsi il conflitto in casa, abbassarsi al livello belluino della contrapposizione fra tribù, fino a scoprire di essere fra i caduti: a fine giornata tutti ti odiano e non hai scritto una riga.
Sogni oppure incubi