Così si avvera quel “per sempre”
Mi sono rinnamorato di mia moglie a ottantasei anni, ed è qualcosa che ha a che fare con l'ineffabile
Disponeva di un team di corteggiatori migliori di me. Mi scelse forse più per sorprendere se stessa che per altro. Il sentimento riemerge da vecchi in una declinazione struggente. Perché mi è stata donata una vita intera
So che la ragazza che sposai sessant’anni fa non leggerà mai questa mia confidenza e quindi mi sento libero di essere assolutamente sincero.
In questo ultimo quarto della mia vita sto scoprendo di essermi rinnamorato di lei.
Fra i miei coetanei c’è una distinzione evidente fra le mogli di prima del successo e quelle di dopo il successo. La prima in genere dopo averti supportato nell’affrontare la più impervia delle salite è destinata, come risarcimento, una volta raggiunta la vetta, a scomparire, a venire risucchiata nell’anonimato. E’ quella che accettò di sposarti quando non eri nulla di più del modello base dell’italiano medio, privo di ogni accessorio, di ogni esplicita peculiarità, ma segretamente ambiziosissimo. La prima è quella che nelle tante sere di depressione, quando fosti tentato di rinunciare ai tuoi sogni, ha ereditato il ruolo di tua madre che continuava a ripeterti che ce l’avresti fatta. La prima è quella che, per il suo bene, avrebbe dovuto desiderare il tuo insuccesso, per salvare la vostra famiglia dalla catastrofe, avrebbe dovuto gioire delle tue difficoltà crescenti. Come mia moglie, restata definitivamente la sola a sopportarmi forse per non aver mai raggiunto l’invasamento che procura il raggiungere un consolidato successo. Se, a metà degli anni Sessanta, provai per lei la più forte attrazione che abbia mai provato, il rinnamorarsi a ottantasei anni di quella stessa ragazza ha a che fare con l’ineffabile. O con la demenza senile. Opto per la prima ipotesi che mi ha indotto a vedere il mio lungo percorso di vita sempre con un senso di attesa infantile. Come se non fosse disdicevole attendersi lo straordinario.
Ed è del tutto straordinario il riaffacciarsi di questo sentimento per quella stessa ragazza che corteggiai per anni prima di convincerla, per sfinimento, a sposarmi. Insomma questo sentimento, in questo tratto conclusivo della mia esistenza, si è riappalesato in modo inatteso e probabilmente sconveniente.
E il primo test che mi ha confermato quanto si trattasse realmente di amore è la gelosia. So che è di cattivo gusto solo alludervi, specie alla mia età, tuttavia è così. Hai nuovamente quella paura di perderla che ti indusse a renderle invivibili i primi anni del matrimonio. Ma non avrei potuto fare altrimenti, convinto che l’amore sfugga alla ragione. L’innamorato ha una sola età, quella dell’adolescenza, quella in cui è al culmine della sua capacità di immaginare. Immaginare che dentro mia moglie, a quel giacimento di bellezza che c’è in lei, ci sia tutta la mia vita, che nel suo sguardo ci sia io a tutte le mie età: quando suonavo, quando vendevo i surgelati, quando nacquero i nostri figli e la lasciai sola a Bologna la notte in cui toccò al nostro Tommaso. Essendoci sempre. Traducendosi nel solo hard disk che contenga la gran parte dei file della mia vita.
E c’era nelle separazioni, e nelle rappacificazioni, nei subbugli affettivi e nei ricongiungimenti difficili, dandomi figli superbi e amore e sacrifici e anche insofferenza e rancore.
Nei suoi occhi ci sono gli infiniti giorni del dolore per la perdita di un nipotino, il rammarico per le mie reiterate sconfitte, in tutti gli ambiti, da quello musicale a quello cinematografico. Il solo settore per il quale fui universalmente considerato talentuoso fu quello dei surgelati, nel quale veramente eccelsi e che tuttavia abbandonai tramortito dall’“Otto e mezzo” Felliniano.
Raggiunti i settant’anni insorse fra di noi una sorta di crescente pudore. L’avvertire il preannunciarsi con tutte le evidenze di un incombente declino fisico e di patirne la vergogna che andava traducendosi in un insieme di pudori (in un film di qualche anno fa a proposito di rapporti fra coniugi anziani feci dire a Pozzetto che da vecchi non ci si abbraccia più).
E questo tempo che mi ha dato è l’intera sua vita, rinunciando alle molte ambizioni personali che avrebbe legittimamente potuto nutrire, per rassegnarsi, come d’altra parte i miei figli e mio fratello, a vivere il mio egocentrismo come uno stigma, un evidente disturbo mentale. L’ambiente cinematografico, soprattutto vissuto da chi vi accedeva dalla provincia, non era il più raccomandabile per garantire al nostro matrimonio quei requisiti indispensabili alla sua salvaguardia. Furono gli anni in cui, per una folgorazione per il cinema, scompaginai non solo la mia vita, ma la sua, quella di mia madre, e dell’intero contesto famigliare, riuscendo a convincerli che sarebbe stato sufficiente avere la possibilità di una sola “opera prima” per accedere con tutti gli onori a questo sfavillante mondo. Incominciando a impostare quel discorso di ringraziamento che avrei dovuto pronunciare alla ineluttabile cerimonia degli Oscar. Ma che mai mi occorse.
Tale fu la mia ingenuità e peraltro la sua che, disponendo di un team di corteggiatori per censo e avvenenza preferibile a me, mi scelse, forse più per sorprendere se stessa che per altro.
E così questa ragazza che avrebbe potuto avere una sua storia d’amore con un rassicurante bolognese dalle estati a Riccione e dagli inverni a Cortina, si trovò sballottata fra Bologna e Roma, partorendo figli, frastornata dal mio vaniloquio di ville a Beverly Hills, rassegnandosi a vivere i primi tempi nella stanza di una pensione per studenti che mio fratello e mia madre gestivano a Roma.
In attesa dei trionfi e dei meritati riconoscimenti, che in realtà se vennero accadde molto tardi e in modo del tutto fuggevole.
Fu in quegli anni che, con il mio incaponirmi nel rifiutare la resa, la nostra storia d’amore nelle sue temperature, nella sua qualità, subì un affievolirsi.
Gli anni più difficili del nostro matrimonio, quelli in cui fummo più prossimi a una definitiva separazione, furono quelli in cui ero totalmente concentrato nella folle impresa di transitare dai rassicuranti bastoncini di pesce alla chimerica Macchina da Presa.
Se il successo può dare alla testa, l’insuccesso produce quelle tossine per le quali cerchi attorno a te soprattutto la menzogna, l’elogio bugiardo.
Che lei fosse definitivamente quella tessera del puzzle che avevo trovato, insostituibile, me lo conferma il fatto che anche quegli anni dolorosi furono superati, prova che la misteriosa energia che ci riconduceva sempre a condividere lo stesso destino non fosse dovuta al caso ma a qualcosa di più alto, che ha segnato la vita di quella ragazza e la mia fino a indurmi ora a certificarlo scrivendone, nella convinzione di non essere il solo fra i tanti, più o meno miei coetanei, che stiano scoprendo in loro stessi questo sentimento così anacronistico e tuttavia così vitale, che stanno provando nei riguardi della persona con la quale stanno affrontando la vecchiaia.
La stagione più cattiva dell’anno.
E allora, senza farti notare, la guardi con nostalgia e riconoscenza e sai che dentro quegli occhi c’è la parte grande della tua vita, di quel furtivo sesso prematrimoniale, nel fulgore di quel suo corpo santificato dall’impaccio della reciproca nudità,
Di due che si amano, e i corpi
Profumano l’uno dell’altro,
Che pensano uguali pensieri
E non hanno bisogno di parole
E si sussurrano uguali parole
Che non hanno bisogno di significato.
Solo la poesia sacra di Eliot sa restituirci quell’esperienza sublime.
Mai avresti immaginato un percorso più irto di difficoltà per arrivare a quell’unione in cui, negli anni successivi, avete usato la reciproca conoscenza non più per darvi piacere ma per darvi dolore.
Quando, in una notte degli anni Sessanta, riuscii a disvelarle tutto quello che lei rappresentava nei miei sogni, quando quella stessa notte la conquistai, pensai di non dover più chiedere altro a tutta la mia umana esistenza, se non l’arrivare a sposarla pronunciando entrambi quel “per sempre”, che pronunciammo, nella Chiesa di San Giuseppe a Bologna il mattino del 27 giugno 1964. E tra le infinite inibizioni che il progresso ci impone, c’è il cancellare quella locuzione avverbiale dal nostro lessico, privando di sacralità ogni nostro agire, ammucchiando confusamente i ruoli e andando addirittura orgogliosi per la quantità di macerie che stiamo lasciando alle spalle, dove il proselitismo laico non fa altro che privare gli ultimi (sì, gli ultimi, quelli del “Discorso della montagna”) della possibilità di essere attesi da un mondo di angeli misericordiosi che li risarciscano delle tante sofferenze patite. A questo diffuso nichilismo, improvvisamente in una fase della vita, l’ultima, non considerata da nessuno, riemerge nella parte più intima di te stesso l’amore. Nella sua declinazione più struggente, quella che fa della tua sposa la tessera giusta che mancava al tuo puzzle, quella che intuisti come tale quando la vedesti per mano a un principe (Gianluigi Zucchini, il più grande conquistatore della Bologna primi anni Sessanta). Non vi è nulla che eguagli l’emozione di quel pomeriggio in via Rizzoli. Credo sia giunto il momento in cui tornare a confidare negli altri, il tempo in cui non si debba avere paura di aprirsi, in un mondo che tuttavia sa ormai premiare solo il cinismo. Credo sia necessario farlo, pur nel rischio del dileggio, ispirati da quelle ineffabili regole di vita del “Discorso della montagna” che ancora oggi sa indicarci il solo percorso per una convivenza possibile a tutti. Senza alcuna eccezione.
Oggi, in cui il cortile della mia infanzia si rabbuia, il mio tempo rispetto al suo si consuma più in fretta. O è lei che usa meglio il suo, riempiendo la sua giornata di più cose, di più rancori, di più bellezze, senza mentire a se stessa. Io, per rendere vivibile la mia giornata, debbo frugare nel grande invaso delle mie memorie, dove si celano i tanti io che cercai di essere.
Oggi vorrei che a mia moglie piacesse la mia vita, vorrei la trovasse ardita, coraggiosa, imprevedibile, mai rassegnata. Vorrei così che si rinnamorasse di me, come io in questo tramonto, mi sto rinnamorando di lei. E vorrei soprattutto che in questo lungo e insidioso nostro percorso di insofferenze e gioie, quel misterioso “per sempre” si avverasse.