Artisti veri
Margherita Manzelli sarebbe ovunque un fenomeno. Qui, no. Purtroppo. Una mostra
"Signorine" è l'esposizione artistica a cura di Stefano Collicelli Cagol, direttore del centro Pecci di Prato. La pittura dell'artista sembra fuori da ogni tempo specifico, lo spettatore è costretto a riguardare domandandosi se queste "signorine" ritratte cerchino aiuto o vogliano trasmettere una dolcezza sensuale
L’Italia è un paese di naviganti, poeti, artisti e masochisti. Masochismo particolarmente accentuato nel mondo dell’arte contemporanea. Se un altro paese avesse infatti fra le mani una pittrice come Margherita Manzelli, l’avrebbe trasformata in un fenomeno sia mercantile che culturale. Noi invece lasciamo che un’artista del genere rischi di confondersi con le orde di artigiani del pennello nostrano, pittori ma non artisti. Dobbiamo quindi ringraziare il centro Pecci di Prato se oggi possiamo godere di una mostra, curata dal suo direttore Stefano Collicelli Cagol, che rende giustizia a trent’anni di ricerca e lavoro apprezzato all’estero ma non quanto meriterebbe.
Il titolo della mostra, “Signorine”, è forse un po’ troppo, come si dice in Toscana, “pissero” ma forse va bene anche così. Infatti le “signorine” della Manzelli ricordano molto la Camilla Tettamanzi, al secolo Milena Vukotic, del mitico film “Venga a prendere il caffè da noi”, di Alberto Lattuada. Anche se poi mutano in creature borderline, come la modella francese morta di anoressia Isabella Caro Rosenbohm. Sulla Manzelli, Tim Burton potrebbe farci un film come “Big Eyes” su Margaret Keane, pittrice americana da trattoria gettonatissima. I dipinti della Manzelli non possono stare in una trattoria. Non solo perché sono troppo belli e non se lo meritano, ma soprattutto perché farebbero fallire il ristoratore facendo passare l’appetito ai clienti.
Il punto focale di ogni dipinto sono però, come nel caso della Keane, gli occhi e il loro contenitore: la testa. Lo spettatore, guardato, è costretto a riguardare chiedendosi se queste ragazzine, adolescenti bloccate, stanno cercano aiuto o vogliono direttamente trasmettere una dolcezza sensuale e perversa. Altrettanto perversi, ma meravigliosi fantasmi, sono i disegni che precedono o seguono parallelamente i dipinti. Dentro ogni quadro si possano trovare riferimenti veri o immaginari: l’orientalismo del toscano Galileo Chini, il surrealismo onirico e aristocratico di Leonor Fini e persino una sorta di Francis Bacon ricomposto e messo a fuoco. Tuttavia Manzelli è artista super contemporanea tanto da esplorare, con la sua poetica, l’intelligenza artificiale e la robotica ma senza la coincidenza goffa e obbligata dell’attualità. Manzelli guarda l’intelligenza artificiale ma non si fa irretire, la usa come opportunità per accentuare, se ce ne fosse bisogno, lo straniamento e la stranezza delle sue giovani amebe umane.
Comunque, la sua pittura è abbastanza fuori da ogni tempo specifico, potrebbe essere dell’inizio del Novecento o degli anni Trenta. Potrebbe rimandare anche a illustrazioni realizzate da qualche squilibrata californiana negli anni Settanta. Manzelli trova la sincronia con il presente introducendo altri due livelli di lettura. Il primo, facendo recitare le sue poesie, alcune scritte da lei, altre composte da qualche chat gtp, da un robot ,“prefica” fantascientifica, forse ispirata ai robottini giapponesi della serie di Apple TV “Sunny” che però non sono vestiti per il fashion Gala del Metropolitan di New York. L’altro livello di lettura è quello delle azioni che l’artista organizzava in passato durante le sue mostre. Un livello che avrei evitato perché una o fa la performance di nuovo o lascia perdere. Altrimenti è come andare al concerto finito per vedere i microfoni spenti. A parte questo piccolo neo di inutile svuotamento autoreferenziale, la mostra è praticamente perfetta con tanto di omaggio al contesto pratese.
Una delle due teste usate per la/il robot è ispirata alla testa della sfinge in marmo del pulpito del Duomo di Prato scolpito da Antonio Rossellino e Mino da Fiesole alla metà del Quattrocento. Una mostra così merita o meriterebbe dopo Prato un contesto internazionale, speriamo ce lo possa avere. Da noi purtroppo si guarda e si giudica solo secondo lo share di pubblico, che sia un programma televisivo o una mostra in un museo. In Italia arte e cultura devono piacere a tre categorie: le signore di mezza età, i bambini e le masse. Che va benissimo ma a volte certe cose piacciono, affascinano o incuriosiscono gruppi più ristretti di persone, fra le quali ci sono magari pure signore e signori di mezza età, bambini, qualche lgbt e qualche addetto ai lavori. Insieme non faranno una folla, per questo che oltre alle orchestre esistono pure i quartetti e i solisti . Margherita Manzelli è una solista, parla a tutti. A tutti quelli che voglio ascoltare.