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Nella Parigi di Gainsbourg&Birkin, in un mondo analogico perduto
Un libro, due vite, una città: il saggio della scrittrice e giornalista Flavia Capitani per attraversare la capitale francese soffermandosi sulle sue storie
Un piccolo libro che custodisce come in uno scrigno la storia nella storia di Serge Gainsbourg e Jane Birkin, quella scritta negli angoli, nelle vie e nei quartieri della capitale francese, nei luoghi dove i due artisti si sono incontrati, amati, lasciati e mai persi, in fondo, in una relazione che era grande passione, sodalizio intellettuale, provocazione, incontro di due diverse generazioni nel Dopoguerra e nel mondo ancora analogico che oggi sembra passato remoto. “A Parigi con Serge Gainsbourg” della scrittrice e giornalista Flavia Capitani (Giulio Perrone editore) è una chiave per entrare in una dimensione sconosciuta e in due vite-icona, ma è anche una fotografia in movimento di quella che sembra, ancora oggi, una famiglia reale informale, famiglia reale francese della cultura, allargata ma tenuta insieme da un legame affettivo, fisico, musicale, lessicale: Serge Gainsbourg e Jane Birkin, con le loro tre figlie (di cui soltanto una, Charlotte, figlia di entrambi), la loro casa (oggi museo in cui si entra accompagnati dalla voce registrata di Charlotte), le loro abitudini, i loro abiti casual-chic (i miniabiti di lei, le babbucce di lui) al numero 14 di rue de Verneuil, e le parole delle canzoni che, tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta del Novecento, hanno contribuito a creare un mito a due, inscalfibile anche oggi, dopo la loro morte.
Si snoda tra le pagine una storia-mappa che, quartiere per quartiere, decennio per decennio, ridà vita alle vie in cui, finita la guerra, i genitori di Serge presero casa tra vecchie fabbriche di candele e piccoli ristoranti all’aperto, per poi trasferirsi nell’ovest della città, nei quartieri più borghesi e silenziosi. Il racconto interseca i momenti chiave del secolo, dalla Swinging London da cui era partita diciottenne Jane alla Parigi degli anni Cinquanta che aveva visto Serge, figlio di ebrei russi askenaziti, farsi strada nella città euforica dove i musicisti si affollavano ogni sera in una piazza di Montmartre, nell’angolo dove i direttori d’orchestra e gli impresari andavano a scritturarli direttamente, e dove tutto poteva ancora succedere: anche che un ragazzo sopravvissuto alle persecuzioni razziali e alla guerra decidesse, suo malgrado, di seguire la strada del padre, rivelandosi genio delle parole e del ritmo anche a se stesso. E poteva anche accadere, come in effetti accadde anni dopo, che una diciottenne inglese si innamorasse di quel quarantenne raffinato, ribelle, narciso e introverso che era nel frattempo diventato Gainsbourg, di lui e del mondo in cui il tempo scorreva alla rovescia – svegli di notte e addormentati di giorno, tra i locali storici (Les deux Magots, la Brasserie Lipp, il Raspoutine) e i piccoli bar sconosciuti che hanno visto l’inizio di una storia d’amore durata tutta la vita, anche oltre la separazione e il legame di Jane con un altro uomo. E, a un certo punto, leggendo, sembra di entrare nelle gallerie d’arte vicino a rue de Lille, dove Serge andava a curiosare, o nelle sale da concerto dove Jane, elegante con cestino di vimini al polso, festeggiava l’uscita dei loro dischi, e sembra di salire le scale della loro casa, dove Serge cucinava per le bambine e Jane leggeva i libri che a volte, invece, declamavano insieme a voce alta, commuovendosi, fino a quando il lato autodistruttivo del musicista non aveva preso il sopravvento, portando l’artista a vivere i suoi ultimi anni in solitudine, perso in caotiche serate al Matignon, con tassisti e poliziotti per amici (oltre a Catherine Deneuve, l’unica donna di cui, disse, era stato sempre solo amico), lui che ormai era considerato “il grande vecchio più giovane della musica francese”.