video

Nella Milano internazionale e multietnica c'è ancora chi vuole imparare il dialetto

Francesco Cocco

Al Circolo Filologico ogni settimana si tengono corsi di lingua e cultura milanese. Il docente, Piero Dragan: “Penso che sia l’unico modo per cercare di conoscere e abbracciare l’identità profonda di una città”

Siamo al Circolo Filologico Milanese, la più antica associazione culturale di Milano. Fondato nel 1872, annovera nella sua storia personalità eccellenti: da Carlo Emilio Gadda ad Alessandro Casati, fra i soci. E fra i collaboratori: Gaetano Salvemini, Padre Agostino Gemelli, Achille Ratti (che poi diverrà Papà Pio IX), Giovanni Gentile, Rabindranath Tagore, Indro Montanelli. Al suo interno (ci troviamo in via Clerici, a pochi passi dalla Scala) si svolgono numerose attività culturali, tra le quali spiccano i corsi di lingue, antiche e moderne.

 

Tra le iniziative del Circolo ci sono anche i corsi di lingua e cultura milanese: base e avanzato. A condurli è Piero Dragan, coordinatore della Sezione di Cultura milanese del Circolo e, per l’appunto, docente di milanese. Ci accoglie nella sua aula, un’oretta prima della lezione. Il nostro primo dubbio è se al milanese ci si debba riferire come dialetto o come lingua. Il professore Dragan ci tranquillizza: vanno bene entrambi gli usi. Nel senso che, pur avendo il milanese le caratteristiche di una lingua, e come tale venendo trattata in ambito accademico, sono i milanesi stessi a chiamarlo dialetto: il “nostro dialetto”, “il nostro bel dialetto”.

   

La lezione è strutturata così: una prima parte culturale, in cui si toccano argomenti che riguardano quel dato periodo dell’anno; poi una parte grammaticale; quindi una traduzione dall’italiano al milanese; dopodiché un esercizio di lettura condivisa; infine si canta tutti insieme, professore e alunni, una canzone in dialetto.

 

Da quando Dragan ha preso in mano il corso, ha visto un costante aumento di iscritti: dai quindici, venti iniziali agli attuali quaranta nel corso base. L’età media è elevata, ci spiega, perché la maggior parte di questi studenti sono persone che sentivano parlare in casa il dialetto: sopra i cinquanta, sessant’anni, dunque.

 

Quando gli chiediamo perché, in una città internazionale e multietnica come Milano, ci sia ancora chi vuole imparare il dialetto, Dragan ci risponde così: “Penso che sia l’unico modo per cercare di conoscere e abbracciare l’identità profonda di una città… i suoni antichi che si tramandano a volte da millenni”. Una spiegazione che, puntualizza, vale per tutte le città che hanno una storia importante alle spalle.

 

Intanto cominciano ad arrivare i discenti, e a qualcuno di loro poniamo la stessa domanda: perché hanno deciso di essere qui? “Perché sono nata a Milano - ci risponde Nicoletta Invernizzi -, i miei genitori già non parlavano più il milanese e io, come tantissimi altri milanesi che sono nella mia medesima condizione, lo capivo ma non ero in grado di parlarlo”. Così ha deciso di frequentare il corso “per acquisire queste competenze che mi mancavano”.

 

“Volevo recuperare le mie origini”, ci spiega Ambra Fratti. “Io sono milanese, il milanese ha sempre fatto parte della mia vita, ma non ho più nessuno con cui parlarlo”. Gli unici a farlo, dopo i suoi genitori e i suoi nonni, erano rimasti alcuni tassisti, ci racconta: ora neppure loro. “E allora ho deciso di trovare un modo per mantenere vivo il mio desiderio di milanese”.

   

Riccardo Stucchi è un giornalista, coautore del libro “Cortili e palazzi milanesi” per la Meravigli edizioni. Ricorda che i suoi genitori parlavano quasi esclusivamente milanese. “E poi hanno cominciato a parlare un po’ in italiano”. Il motivo? A scuola gli insegnanti avevano cominciato a riprendere il piccolo Riccardo perché usava forme dialettali. Passato quel periodo, Stucchi non aveva avuto molte occasioni per adoperare il dialetto. Ora, con le lezioni di Dragan, sta ricominciando. Ed è per questo che segue pure il corso avanzato, in cui sono previsti momenti di conversazione in dialetto fra gli alunni.

   

La voglia di riprendere a parlare in dialetto è ciò che spinge al Circolo filologico anche Roberto Marcolongo. A Sesto San Giovanni, dove abita, di persone che parlano il milanese ne sono rimaste poche. E allora (riassumiamo) Roberto ha dovuto scegliere se seguire un corso, oppure prendere la metro, scendere a Porta Genova, farsi un bel pezzo a piedi per raggiungere qualche angolo della cosiddetta Vecchia Milano e “trovare qualche vecchia trattoria dove ci sono ancora dei vecchietti come me che dietro un bicchiere di vino si raccontano delle storielle in milanese”. Non che questa seconda opzione manchi di fascino, riflettiamo noi. Ma Roberto ha scelto la prima. A giudicare da come l’aula va riempiendosi, non è il solo. Evidentemente, almeno a queste persone, il dialetto ha ancora qualcosa da dire.

Di più su questi argomenti: