Violino o violoncello?
Ad Arnesano lo strumento è materia curricolare dalle elementari. Futuro in cammino
Uno strabiliante cortometraggio di Azzurra De Razza e Daniele Pignatelli racconta la vita di 4.000 anime nel tacco d’Italia, a ridosso di Lecce. Un'autentica periferia dove 300 bambini sostituiscono gli strumenti ad arco agli smartphone, alimentando biodiversità emotiva e cuturale
E tu, Arnesano, in terra d’Otranto, non sei davvero il più stonato dei paesi del Salento… Tra esperimento e avvenimento c’è sottile ma radicale differenza; magari i contorni dei fenomeni sono pure sovrapponibili, ma il primo si studia, si pianifica, si fa nel luogo e nel tempo più favorevoli, se ne calcolano i fattori di ripetibilità e poi certo, se ne attende, speranzosi, l’esito; al secondo si assiste sorpresi dal dilagare d’una contagiosa energia senza preavviso. Ad Arnesano è contagio. Che ora s’espande nel limitrofo Monteroni e via via nei comuni confinanti. Un po’ come la taranta e la Xylella fastidiosa, che nel giro di pochi anni hanno intaccato l’intero paesaggio salentino.
Dall’anamnesi del caso emerge la responsabilità di una famiglia del posto – al diavolo la privacy, fuori il nome: famiglia Rana – che non ha pensato di debellare, e nemmanco di isolare, il virus che circola nelle sue fibre da un paio di generazioni e che ora si sta diffondendo nella variante “archi-filia”: un’epidemia al momento non facilmente contenibile perché i suoi vettori sono cellule giovanissime, vitali, imprevedibili e si è deciso, per segnalare la zona contaminata, di chiamare Arnisanu, come la dicono i locali, “il paese degli archi”. E chi l’ha deciso? Azzurra De Razza e Daniele Pignatelli, autori di uno strabiliante, per fattura e contenuto, cortometraggio su quel che capita in questo agglomerato di 4.000 anime nel tacco d’Italia, nell’area depressionaria della Valle della Cupa, a ridosso di Lecce.
È giunto il momento di spiegare ciò che accade in questa autentica periferia del Bel Paese, lontana dai diserbanti circuiti mediatici e dagli esclusivi salotti anti-biotici che contano: dal 2018 ai bimbi d’Arnesano che vengono iscritti alle elementari viene chiesto: violino o violoncello? Non si può non scegliere, la materia, per disposizione dell’autorità competente, è curricolare. In compenso viene subito consegnato lo strumento scelto nuovo di zecca da portarsi a casa. E così da qualche anno si vedono, verso le 8 del mattino, Giulio e Diletta con un involucro discretamente ingombrante, aggiuntivo allo zaino che, accompagnati o a piedi, varcano il portone della scuola. Portano il loro violino. Non parliamo dell’effetto che fa vedere Christian e Francesca, che hanno scelto il violoncello e dunque girano con un fardello dal volume smisurato. Scene abituali per la gente del paese, perché sono ormai 300 i bambini che, nelle varie classi, fanno i musicanti.
Chi poi prosegue nel pomeriggio – e il quartetto succitato è tra questi – fa pure l’orchestrale nell’ensemble messo in piedi e subito attivo in performance collettive che sbalordiscono. Come il concerto sulla fiaba scritta per loro e legata a tradizioni locali, La Regina. “Ho un po’ di paura. E se sbaglio qualcosa? Stanno tutti guardando me” dice emozionata una frugoletta sbirciando la platea appena prima dell’inizio. Un delicato miracolo a sette note, reso possibile ovviamente da adulti appassionati che, come scriveva Ada Negri, “non hanno perduto la giovinezza” e hanno affidato le loro passioni e forse i loro rimpianti a questi verdi germogli di vita che ancora zampillano di docile stupore: maestri, insegnanti di conservatorio, genitori volenterosi e sostenitori lungimiranti (famiglia Rana, music addicted, non solo la nota pianista Beatrice), tutti coinvolti nella semina del domani. Una graziosa gemma in una terra inaridita come il Meridione d’Italia che, su scala minore ma soprattutto più spontanea e più dal basso, richiama alla mente l’incensato Sistema del Maestro José Antonio Abreu (educazione musicale a tappeto da parte dello stato) che certo non poteva da solo tenere al riparo la nazione venezuelana dalla incivile e indegna dittatura di Maduro e che però si prestò a suo tempo alla propaganda politica del caudillo Chávez.
Sul mito della taumaturgia civica e morale della musica, meglio andar cauti: non abbiamo in memoria lo scabroso esempio dei nazisti che nei lager volevano ascoltare Beethoven? Forse il potere socialmente risanante o perlomeno adiuvante della musica, e delle altre arti, se esiste, si attiva realmente soltanto nelle fragili e problematiche democrazie, dedite alla faticosa costruzione di liberi cittadini consapevoli, sognatori e gaudenti. Nelle dittature le note possono tutt’al più essere di conforto (non poca cosa!) ai soggiogati dall’oppressione trasportando un po’ d’Assoluto nei loro spiriti in cerca di rifugio dall’inclemenza dei tempi. Ma non sgualciamo con pensieri cupi il ridente fiorellino di campo pugliese; stiamo contenti che ad Arnesano e dintorni violini e violoncelli sostituiscano almeno per alcune ore smartphone e computer, alimentando biodiversità emotive nel paesaggio interiore di ciascuno e biodiversità culturali nel paesaggio sociale della nostra Italia. Un pezzetto di futuro cammina anche così, attraverso Diletta, Christian, Francesca, Giulio e tutti gli altri che trotterellano verso l’aula coi loro voluminosi amici archi.