L'Affaire Dreyfus, il coraggio di Émile Zola e la nascita dell'intellettuale moderno
Cosa spinse il romanziere-star a impelagarsi nella difesa di un militare ebreo accusato di alto tradimento nella Francia di fine Ottocento? La risposta nell’ultimo libro di Rob Riemen, fondatore e direttore del Nexus Institute. Così Zola trasformò la figura dell’intellettuale europeo
Cosa mai spinse un romanziere-star come Émile Zola a impelagarsi nella difesa di un militare ebreo accusato di alto tradimento nella Francia di fine ottocento? La risposta è in una delle 4 lezioni-saggi che compongono l’ultimo libro di Rob Riemen, filosofo, scrittore e intellettuale olandese noto per le sue riflessioni sul ruolo della cultura e della spiritualità nella società contemporanea. Riemen è fondatore e direttore del Nexus Institute, un think tank culturale con sede nei Paesi Bassi, che si occupa di promuovere il dibattito su temi filosofici, culturali e politici, ispirandosi alle tradizioni umanistiche europee.
Il libro si compone appunto di quattro excursus su vicende europee che insegnano un sentimento e un tema legato all’attualità. Il quarto, quanto mai attuale, è quello su coraggio e compassione e tratta dell’Affaire Dreyfus (per i più piccini, il comandante ebreo dell’esercito francese infamato e incarcerato per una cospirazione antisemita, che svela il talento e la storia avventurosa di Émile Zola). Zola veniva da una storia di ingiustizie personali. Il padre era italiano e si chiamava Francesco Zolla, e a un certo punto era emigrato a Marsiglia cambiando cognome. Progetta dighe e porti ma nessuno gli dà retta. Ci prova ancora ad Aix en Provence, dove costituisce la Société du canal Zola. Ma appena iniziata la costruzione di una colossale diga, il destino gli gioca un brutto tiro: muore di polmonite acuta, lasciando moglie e figlio in povertà. Gli altri soci estromettono la vedova dalla società e il piccolo bambino Émile assiste a questo accanirsi degli eventi contro di loro, alla grettezza degli ex soci, ma non vorrà mai cambiarsi cognome come la vedova madre consiglia. Anzi, illustrerà il cognome di famiglia con un’opera altrettanto colossale (sulla pagina) della diga paterna: “Rougon-Macquart”. Storia naturale e sociale di una famiglia sotto il Secondo Impero, il monumentale ciclo letterario, composto da venti romanzi, a cui si dedicherà i successivi ventiquattro anni. E che avrà enorme successo. A fine Ottocento gode di fama internazionale e all’inizio non presta molta attenzione al caso di quell’ebreo sotto accusa.
Ma quando la mattina del 5 gennaio 1895 viene organizzata una cerimonia pubblica di degradazione nel cortile dell’École Militaire di Parigi e, davanti a migliaia di spettatori, il capitano Dreyfus viene privato dei gradi militari, strappato dell’uniforme e pure spezzata la spada di ordinanza, Zola riconosce l’antico sapore dell’accanimento e dell’ingiustizia. Da lì in poi lo scrittore scoprirà che Dreyfus non è assolutamente colpevole dei fatti che gli attribuiscono, ma il fronte antisemita è troppo forte. Scrive un articolo sul Figaro ma invece che convincere il pubblico diventa lui bersaglio della furia generale. Per strada la gente lo fischia e gli urla: “Viva l’esercito! Al diavolo Zola!”. Il Figaro non tarda a comunicargli di non voler più accettare i suoi articoli e Zola, allora, decide di pubblicare a proprie spese: e sul giornale l’Aurore scriverà il suo celebre “J’accuse”. Enorme scompiglio: viene processato anche lui e condannato. Se ne va in esilio a Londra. Quando muore Zola, Dreyfus è uscito dal carcere ma non è ancora stato del tutto riabilitato, lo sarà solo nel 1906. Intanto, grazie al gesto di Zola, nasce la figura europea di intellettuale come la conosciamo oggi, capace di mobilitare le folle e di mettersi a rischio per una giusta causa. Zola, per il suo coraggio e la sua compassione, diventa più famoso per il suo J’accuse che non per la gigantesca opera letteraria. Se non è una lezione questa.