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L'antisemitismo nascosto sotto lo spesso strato d'odio dell'antisionismo
Gli scritti di Améry contro il “cammuffamento” dell'odio verso gli ebrei, presente da destra a sinistra, che torna a essere rispettabile e ad avere vita facile grazie a chi descrive Israele come uno stato crudele. Pagine vecchie di cinquant’anni, eppure ancora attuali
Se ci fosse una “parola dell’anno” sulla copertina di Time magazine, invece di una persona, questo 2024 sarebbe forse stata “antisemitismo”. L’attacco di Hamas e la guerra a Gaza hanno riportato a pronunciare spesso questo termine. Di sicuro sono stati, questi ultimi, anni in cui gli ebrei hanno avuto paura, in quanto ebrei: dall’Hyper Cacher di Porte de Vincennes al campus della Columbia, gli esempi sono vari, e vari sono i dati tirati fuori dagli osservatori, o dalle esperienze personali. Ma non bisogna illudersi perché, nonostante un certo spaventoso revival, l’antisemitismo non è stato dormiente dal ’45 a oggi.
A ricordarcelo c’è una raccolta di saggi di Jean Améry appena uscito per Bollati Boringhieri dal titolo “Il nuovo antisemitismo”. Améry, austriaco, perseguitato, due anni ad Auschwitz, intellettuale di sinistra francesizzato, modello per l’Austerlitz di Sebald, ha usato molte energie negli anni Settanta per far vedere ai suoi colleghi intellettuali che l’antisemitismo delle origini si stava fondendo con qualcosa di nuovo e altrettanto potente: l’antisionismo. Prima di suicidarsi nel ’78, Améry ha partecipato al dibattito sulla memoria con i suoi ricordi del campo di sterminio nazista, ma da uomo di sinistra ha anche combattuto la sua stessa fazione politica per cercare di estirpare l’antisemitismo “rosso”. Non posso tacere, scrive, “quando il vecchio miserabile antisemitismo rispunta sotto l’incantesimo dell’antisionismo”. Parla di “camuffamento”. Se l’antisemitismo di destra calca ancora la struttura di quello del primo Novecento, quello che spesso vede nei suoi compagni socialisti è invece frutto della rivincita di Israele, dell’aver creato uno stato sicuro dove “una volta tanto, fortunatamente, l’ebreo, invece di essere bruciato, appariva come il vincitore imperioso”.
Le “eleganti ragazze in uniforme” dell’Idf sono un’immagine che scardina la tradizione dell’ebreo vittima. Oggi, dice Améry nel 1969, “l’antisemitismo, insito nell’antisraelismo o nell’antisionismo come il temporale è contenuto nella nuvola, torna a essere rispettabile”. E’ accettato, “ha vita facile”, può “contare su un’infrastruttura emotiva”, anche perché Israele viene visto come occupante, e colpevole di aver ottenuto un “avanzato sviluppo tecnologico”. I discorsi sull’anticolonialismo lo trasformano in uno stato crudele. Agli “amici di sinistra” Améry chiede di non cadere nel tranello del discorso sui “sei milioni” usati a posteriori come “scusa” per il sionismo, o nel tranello di Israele “baluardo del capitalismo”, dei paesi arabi percepiti come “progressisti”, o in quello di Israele come “scudiero dell’imperialismo americano”. La sinistra cerca di “de-definire” l’antisemitismo: quello che in Germania negli anni 40 veniva chiamato “ebraismo mondiale”, rivive trent’anni dopo come “sionismo nazionale”, anche per “avvicinarlo foneticamente al nazionalsocialismo”.
La sinistra è colpevole, dice Améry con amarezza, sentendosi tradito dai compagni, perché conferisce “all’antisemitismo una disdicevole rispettabilità dialettica”. Améry, che nemmeno parlava ebraico, disinteressato a trasferirsi nel nuovo stato, sa che Israele è “necessario per ogni ebreo”, è “il rifugio in cui, al termine di una lunga ed estenuante erranza, si stabilirono sopravvissuti e perseguitati”. Proteggere Israele dalla destra diventa più facile, perché il loro antisemitismo è basico, noto, semplice, proteggerlo dalla sinistra invece è più complesso, perché le stratificazioni e i veli per nascondere l’odio sono più spessi. Tra le cose che con grande anticipo nota Améry in questi saggi vecchi di cinquant’anni – ma che sembrano scritti oggi – c’è il grande dolore nel vedere come questo “manicheismo filoarabo” di sinistra spinga “verso posizioni reazionarie la stragrande maggioranza degli ebrei d’Europa e degli Stati Uniti, che si sentono a rischio ovunque”.