“Università addio"
L'università è in declino perché a essere in crisi è l'idea di uomo. Un libro
La fragilità del sapere umanistico italiano, da tempo visto come inutile e irrilevante orpello in un mondo che pensa in termini strumentali ed efficientisti
“Siamo sicuri che una classe direttiva, quale essa sia, possa fare a meno delle conoscenze e del metodo di conoscenza degli esseri umani, della realtà e della storia, che le scienze umane hanno progressivamente elaborato e raffinato nel corso dei secoli?”. Il quesito è al centro della riflessione di Lorenzo Ornaghi scritta qualche mese fa per la rivista online Lisander. Il focus ospitato dal magazine sulla piattaforma Substack e dedicato alla crisi e alla mutazione dell’istituzione universitaria ha riunito pensieri, tra gli altri, di Raimondo Cubeddu e Carlo Galli, Francesco Bonini e Serena Sileoni, Aldo Rustichini e Sergio Belardinelli.
Ciascuno di loro ha messo a fuoco il tema esaminando una o più criticità (e innovazioni) dell’università odierna. Su tutti svetta una domanda cruciale, come emerge sin dal contributo iniziale del già rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano: che cosa rimane davvero di una tale istituzione fondamentale oggi? Per dirla con Belardinelli, qual è la sua missione?
Assunto che la mutazione è qualcosa di ormai quasi incontrovertibile, resta però il fatto che la storia non ha una marcia pre-definita e pre-determinata. Spetta pertanto agli uomini fornire elementi critici per re-indirizzare il suo corso e correggerne, almeno in parte, la direzione, recuperando anche buone pratiche passate. Tra i percorsi discutibilmente intrapresi vi è forse più di tutti l’allontanamento da un’idea di università fondata sull’importanza del sapere umanistico. Su questo punto insiste molto un volume a più voci appena pubblicato da Rubbettino: “Università addio. La crisi del sapere umanistico in Italia”. Curato da Ernesto Galli della Loggia, Giovanni Belardelli e Loredana Perla, e con scritti, tra gli altri, di Adolfo Scotto di Luzio, Stefano De Luca, Vincenzo Trione, Concetta Cavallini e Federico Poggianti, il libro trae origine da un convegno tenutosi all’Università di Bari nel 2023. E’ Galli della Loggia a mettere il dito nella piaga con la sua introduzione: “Figlia essa per prima dell’umanesimo europeo, l’università come istituzione ha nell’umanesimo il suo cuore, il cuore della sua identità”. Eppure, nota lo storico, ciò a cui si assiste da tempo è una radicale “deculturalizzazione a base scientista”.
Beninteso, nessuno intende affermare che si possa a fare a meno delle cosiddette discipline Stem, anzi. Il punto sta altrove. E cioè nel capire che se l’università non se la passa bene, è anche – o forse soprattutto – perché le Humanities sono da tempo viste come inutili e irrilevanti orpelli in un mondo che pensa in termini strumentali ed efficientisti: lo studente non è un contenitore vuoto da riempire né, tantomeno, un automa da saper addestrare. Hannah Arendt non a caso sosteneva che l’educazione serve proprio a conservare ciò che vi è di più rivoluzionario in ogni bambino: in altre parole, serve innovare, ma inserendo il cambiamento in un contesto, con giudizio e anche un pizzico di prudenza. La storia dei fatti e delle idee, la geografia, la filosofia, la letteratura, le lingue antiche non sono discipline ancillari: contribuiscono a formare l’ossatura della persona e a educarla responsabilmente alla libertà.
La crisi dell’università e il corso della sua mutazione genetica risiedono forse dunque in una crisi ben più profonda: la crisi dell’idea di uomo. Non essendoci più un accordo basilare sulla natura di quest’ultimo, e sul suo telos, non è difficile immaginare la confusione che può derivarne. Quello che è ora l’università, a ben vedere, potrebbe essere proprio una diretta conseguenza di tutto questo.