L'artista
Walter Benjamin e la passione per persone e cose dimenticate dalla storia
Scritti “minori” di un autore inimitabile ma citatissimo, specialmente da chi vuole farsi capire poco in modo apparire superiore e squisito
Citare Walter Benjamin! Si è così abusato di questo autore, o meglio del suo nome, che già una ventina di anni fa non se ne poteva più di lui. Anche perché i suoi saggi, il suo linguaggio e stile di pensiero sono un fenomeno di una tale originalità e complessità che usare le sue idee e le sue frasi isolate per chiarire qualcosa è poco meno che un controsenso. Sono infatti le sue idee e le sue affermazioni aforistiche a richiedere quasi sempre di essere chiarite traducendole in parole più povere, meno cariche di implicazioni. Un autore come lui, che è riuscito a rendere il “materialismo storico” e l’idea marxista di rivoluzione una questione di teologia messianica, non può certo risultare così accessibile da essere usato con disinvoltura. Infatti l’abuso di “benjaminismo” era dovuto più al gusto di farsi capire poco per sembrare geniali, che al bisogno di mettere un po’ di ordine nei propri pensieri e nelle proprie convinzioni. Inimitabile e sorprendente, esoterico e sottile come è sia filosoficamente che letterariamente, Benjamin è un autore che ha attirato molto gli snob, gli inarrivabili e chiunque voglia essere o apparire superiore e squisito.
Ho letto e riletto, amato e venerato Benjamin anche io, come gran parte della mia generazione, nel decennio 1963-1973. Ma poi, dato che era sulla bocca di tutti più o meno a sproposito e non serviva che a perpetuare sia l’estremismo utopico-politico che la smania di “distinzione” socio-metafisica e vagamente mistica, decisi che davvero Benjamin era Benjamin, ma credersi benjaminiani negli anni Settanta mi sembrava una maschera e una truffa. Il Sessantotto era finito male e esserne consapevoli era un dovere di igiene mentale e di onestà politica. La sovrapposizione di marxismo rivoluzionario e mistica ebraica era comprensibile alla fine degli anni Trenta in un uomo come Benjamin, grande interprete di Kafka ma anche amico e commentatore di Brecht: non era però presentabile quando finiva nelle mani di coloro che, da una truffa a un’altra, erano arrivati a mettere insieme l’ebreo marxista Benjamin e il nazista ontologico Heidegger.
In una sua lettera Benjamin si era proposto di dedicarsi con Brecht alla demolizione del pensiero di Heidegger. I nostri Agamben e Cacciari, prima benjaminiani e poi anche heideggeriani, o non hanno mai letto quella lettera di Benjamin su Heidegger o sono privi di discernimento (propendo per quest’ultima ipotesi).
Ma questa è solo un’intemperante e cautelosa premessa. In realtà parlo qui di Benjamin approfittando di un piccolo libri di suoi scritti extravaganti uscito a cura di Ginevra Quadrio Curzio con il titolo Tolgo la mia biblioteca dalle casse (La Vita Felice edizioni, pp. 188, euro 14). Sono brevi saggi e articoli dedicati alla bibliofilia e al collezionismo, in particolare di libri periferici: per esempio quelli da leggere in treno, quelli pornografici, quelli per l’infanzia, quelli scritti da malati di mente, abbecedari, enciclopedie elementari illustrate e romanzi per domestiche dell’Ottocento.
Il maggiore interesse di questi scritti “minori” è che rivelano le idiosincrasie e le curiosità di cui si nutriva la sensibilità di Benjamin critico letterario e filosofo sociale, oscillante tra problematiche macroscopiche (l’idea di storia) e attenzione a dettagli e oggetti che di solito sfuggono all’attenzione comune, ma che sono responsabili di esperienze occultamente diffuse e comuni. Ciò che più colpisce sono le singole osservazioni di Benjamin, perché mostrano quanto sia importante, nella percettività intellettuale e psicofisica di un critico, il suo interesse per zone marginali della cultura e della vita, tanto individuale che sociale.
I libri “sorpassati”, le opere prime dimenticate, le avventure e disavventure di singole copie di libri: “la proposta che vogliamo fare”, scrive Benjamin, “è quella di rivolgere l’attenzione agli esordi di scrittori non proprio famosissimi, o addirittura agli interessantissimi libretti di quelli dispersi che non sono mai andati oltre i due o tre volumi: persone che non lasciano opere complete, nelle storie della letteratura non hanno mai occupato più di qualche centimetro, eppure hanno da dire sulla loro epoca cose più interessanti di molti che hanno avuto successo”.
Benjamin è stato uno di quei critici e pensatori extradisciplinari e antiaccademici attratti da tutto ciò che non occupa il centro del panorama storico ma piuttosto i confini, i limiti, le zone in ombra e i fenomeni “non fondamentali” eppure sintomatici. Gli abbecedari e i libri per bambini ci fanno risalire agli anni in cui le identità adulte non sono consolidate e ben delineate. I libri scritti dai malati di mente, quelli pornografici di cui ci si vergogna e la narrativa destinata alle donne di servizio sono libri in cui la vita è più reale o meno reale, ma comunque sogna realmente sé stessa, immergendosi in qualche specie di sogno.