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(Ansa)
il romanzo
Gli attimi fondamentali che hanno segnato l'esistenza di Robert Bober
Dall’incontro con Truffaut alle foto incorniciate di Auschwitz, il passato "ricostruito come se si potesse vivere un'altra volta" anche per conto di qualcun altro, del.resto il cammino del mondo è anche questo. Un viaggio che rende muti
Se il romanzo Jules e Jim non avesse avuto, nel titolo, quei nomi con la doppia J – due ami, evidentemente – e se l’autore Henri-Pierre Roché non avesse compiuto settantaquattro anni al momento di quest’esordio, nel 1955 François Truffaut non si sarebbe fermato in una libreria vicino al Palais Royal per sfogliarlo e comprarlo. Lo racconta lui stesso: senza questi due dettagli avrebbe tirato dritto e non avrebbe incontrato uno dei romanzi che avrebbe amato di più (“mi colpì: era un romanzo poetico scritto con uno stile telegrafico”), orbando il cinema mondiale di una delle pellicole più significative e sfornatrici di immagini da cartolina a memoria d’uomo. Immagini che ribadiscono, tutte, la forza dell’attimo: la risata affaticata di Jeanne Moreau mentre corre su un ponte travestita da ragazzo; le biciclette che sfrecciano pericolosamente per strade curve; ancora Jeanne Moreau che raccoglie i costumi da bagno stesi ad asciugare davanti alla grande casa del Midi; il suo viso sulla spiaggia mentre fissa lo sguardo qualche metro più in là sui suoi due amori che si sfidano, lottando in riva al mare.
Ma cosa c’entra tutto questo col romanzo-mémoir Una volta aperti gli occhi non si può più dormire tranquilli (elliot, 180 pp., 18 euro) di Robert Bober? Molto. Perché gli attimi, in questa storia, sono fondamentali. Torniamo a Truffaut. Alla fine, dopo aver sfiorato l’eventualità della propria inesistenza, il film si fece. E per una catena altrettanto fragile di determinatissime circostanze, come aiuto regista fu scelto un ragazzo che, in un pomeriggio qualunque del 1960, ne incontrerà un altro, cioè Bernard, il protagonista e autore di questo romanzo. I due si riconoscono, hanno un passato comune in colonia. L’aiuto regista sta andando a fotografare Villa Castel per conto di Truffaut, così Bernard, incuriosito, lo accompagna. Da quel giorno riprendono a frequentarsi, e a Bernard viene proposto di fare il figurante in una scena del film girata in un bistrot. Seduta con lui al tavolo – “dovete baciarvi”, le istruzioni di Truffaut – ci sarà, incredibilmente, Laura, amore perduto dell’infanzia, ragazzina pallida conosciuta e amata al mare, cresciuta tra gli orfanotrofi perché figlia di ebrei sterminati in campo di concentramento. L’equivoco, per Bernard, è inevitabile: la ama ancora. Laura non ricambia, un anno dopo se ne andrà in America e però, quando tornerà, gli farà conoscere Bob Dylan.
La storia del romanzo comincia il 24 gennaio 1962, data di uscita del film di Truffaut. Bernard porta sua madre al cinema, voglioso anche di rivedere Laura. E scoprirà che quella scena è stata tagliata. Ma avrà la possibilità di ricucire in una trama finalmente chiara ciò di cui non si era mai parlato, ossia la vicenda di sua madre. La donna uscirà scossa dal film, avendo visto sullo schermo qualcosa che ha vissuto anni prima, in Polonia, ossia l’amicizia amorosa tra lei e due ragazzi, Leizer e Yankel, poco prima della fuga dai nazisti. Finirà così: Yankel morirà ad Auschwitz poco dopo aver concepito Bernard e la donna si sposerà con Leizer (padre di suo fratello Alex), vittima, pochi anni dopo, di un incidente aereo al largo delle Azzorre. “Così”, scrive Bober, “io non ricordavo mio padre, ma ricordavo il padre di mio fratello il quale, invece, non ne aveva memoria” – ma è la sua fotocopia, come presto scoprirà.
Il romanzo di Bober è una vera testimonianza e racconta vite che escono da una scatola, la trama delle esistenze, il passato “ricostruito come se si potesse vivere un’altra volta” anche per conto di qualcun altro – del resto “il cammino del mondo è anche questo”. Comincia piano e poi cresce, ma è il finale che mette alla prova: Bernard torna in Polonia pur non essendoci mai stato, destinazione Auschwitz. “Un viaggio che rende muti”. L’ingresso, le tonnellate di capelli, le stampelle, una montagna di occhiali, dietro ognuno dei quali “c’era una vita”. E poi, di colpo, ritrovarsi a guardare negli occhi il proprio padre in una foto, la stessa incorniciata in cuoio marrone a casa, nella sala da pranzo. “Avevamo la stessa età”, annota Bober, nato e morto per sempre dentro la forza di un attimo.