La politica e lo schermo

Sale chiuse, appelli e un libro che ribalta la vulgata sui mali del cinema

Marianna Rizzini

La disfida delle sale, a Roma, è in pieno svolgimento: nove cinema in disuso comprati da un fondo olandese, trenta schermi spenti, registi, attori, produttori mobilitati per chiedere alla regione Lazio di non permettere la riconversione in supermercati o sale bingo. Ma il problema viene da lontano

La disfida delle sale, a Roma, è in pieno svolgimento: nove cinema in disuso comprati da un fondo olandese, trenta schermi spenti, registi, attori, produttori mobilitati per chiedere alla regione Lazio di non permettere la riconversione in supermercati o sale bingo, Carlo Verdone e Ferzan Özpetek impegnati in prima persona, il governatore della regione Lazio Francesco Rocca che rassicura sulle possibili speculazioni. Ma questa è soltanto la superficie visibile di un problema che viene da lontano, e che ha prima di tutto a che fare con il rapporto collettivo, da un lato, e individuale e intimo, dall’altro, tra un film e il suo spettatore, solo che il film non si muove da solo e lo spettatore neppure: sono entrambi parte di un sistema e si specchiano a intermittenza l’uno nell’altro, trasformando man mano, senza averlo progettato, immagine e percezione, tanto più quando terzi attori si muovono sul campo – prima la televisione, poi la rete. E’ il punto di partenza del viaggio che Beppe Attene, ex dirigente di Cinecittà S.P.A, ex direttore generale dell’Istituto Luce, produttore e distributore, compie senza schemi preconcetti nel libro “Lei non sa chi ero io, il cinema italiano e l’individualizzazione del consumo” (ed.Graphofeel), nel racconto di un paese, di una società, di un’arte, di un settore economico, di un campo conteso, in direzione di un salto nella realtà: non ci si può permettere di rifiutare i nuovi linguaggi in nome di un cinema divinità astratta e riserva indiana. Ma, per farlo, bisogna prima risolvere l’ambiguità. Il libro pone, intanto, alcune domande-chiave con approccio non scontato, indicando le possibili soluzioni: come il cinema, attraverso l’evoluzione del tipo di fruizione, da “consumo socializzato e socializzante” si è fatto “individualizzato”? Quando e perché il sistema-cinema ha pensato di prendere una scorciatoia lungo la strada della competizione con la tv, finendo per chiedere aiuto a una politica che a sua volta vedeva nel salvataggio del cinema il modo per rilanciare se stessa? E perché la sinistra per anni si è arroccata sul cinema in un atteggiamento protezionistico-identitario, finendo per danneggiare le potenzialità del sistema, errore in cui rischia di cadere oggi in modo uguale e contrario la destra al governo? 

 

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.