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Alberto Sordi è il dottor Tersilli ne “Il medico della mutua” di Luigi Zampa, 1968 (foto Olycom)
Il Foglio del Weekend
Addio, dottor Tersilli. Con la riforma della sanità scompare il medico della mutua
Entrerà presto in vigore la nuova legge che dice addio alla figura del dottore di base. Via all'industrializzazione in nome di un'efficenza tutta da verificare.
Esiste una perversa e pervasiva legge che ci porta a copiare dall’America solo le stronzate e mai proprio mai le cose positive. Il woke senza i diritti, la campus left senza i campus, la critica al “neoliberismo” nel paese in cui i social in queste ore ribollono di critiche al Rovagnati precipitato con l’elicottero perché insomma era ricco e dunque un po’ se l’è meritata. Ma la più stupefacente è la sanità americana con le tasse all’europea. Così molti di noi appartenenti alla falange che dichiara tutto e dunque devolve il 60 per cento allo Stato, e pure con assicurazione medica privata, si percepiscono e posizionano rispetto alle cure mediche alla stregua di homeless di San Francisco, che non si curano più perché non sanno come fare. Se ti rompi una gamba manca poco che te la tieni rotta, e magari fai pure un pensierino al fentanyl (già che ci siamo).
Soprattutto pesa la scomparsa del medico di famiglia, o di base, insomma il medico della mutua prima che cambiasse nome. Era una certezza, per chi se lo ricorda. Andavi, ti visitava, ti riempiva di ricette, che non avresti consumato mai del tutto, soprattutto ti palpava (la palpata, ovviamente nella sua accezione di imposizione delle mani sanitaria e non sessuale, ha un valore terapeutico importantissimo ancorché non scientificamente provato su riviste tipo Science e Nature). Ti conosceva generalmente fin da bambino, ti faceva i permessi per restare a casa da scuola e poi dal lavoro. Ti aveva visto con tonsille e senza. Adesso questa figura è destinata completamente a sparire. Entrerà presto in vigore infatti la nuova riforma della Sanità pubblica allo studio del Governo che prevede i medici “di famiglia” intruppati in misteriose “case di comunità”, e trasformati in pubblici dipendenti, dunque addio alla figura del dottore di base nel suo studiolo magari scarno ma rassicurante. Via all’industrializzazione, come polli in batteria in nome di un’efficienza tutta da vedere.
C’è da dire che già da tempo la trasformazione era avvenuta: trovare un medico di famiglia oggi è impresa titanica. Quando va in pensione il tuo, è una tragedia. E' anche un addio amaro, l'ex medico della mutua è generalmente arrabbiato, incattivito per la proletarizzazione della sua specie, incapace di empatia con te giornalista, che pure sei il più proletarizzato di tutti. Nonostante abbia in mano la vita e la morte il medico della mutua non è stato in grado di organizzarsi non diciamo come i tassisti, che solo perché ti portano in giro da un punto A a un punto B minacciano e ricattano e ottengono. Il medico della mutua italiano come i tassisti americani si è invece arreso, va incontro alla sua Uber che lo sterminerà senza neanche provare una minima resistenza. Nel frattempo sei tu che hai bisogno dell’Uber per andare da lui. O meglio di un drone. Perché dopo che sei stato tutto fiducioso alla Asl o come si chiama oggi a scegliere il nuovo nominativo scopri che il più vicino sta a quindici chilometri. Lì vai, e inizialmente sei contento perché scopri una parte della città che non conoscevi, anche accenti e un microclima esotici. Poi ti accorgi che non ha l’aspetto dello studio di un dottore ma una palazzina tipo ambasciata a Kabul piena di questuanti che chiedono un visto per fuggire; che si accapigliano per chi è arrivato prima.
Non prima di mezz’ora di attesa, capirai che hai sbagliato piano, perché il tuo medico della mutua sta in un altro studio, e lì altre risse. Una classica è quella tra chi ha prenotato online, magari su “miodottore punto it” (vabbè) e dunque arriva all’ora pattuita, e quello che è arrivato cinque minuti prima, senza prenotazione, ma “ha un’urgenza”. I requisiti dell’urgenza sono fumosissimi, e causano ulteriore tensione, inserendosi peraltro nel non risolto rapporto degli italiani con le prenotazioni online, come alle Poste o al cinema, dove chi si presenta con la sua prenotazione online viene guardato in cagnesco, come se fosse un Musk in procinto di spazzare via l’intera pubblica amministrazione. “Embè, e che non fa la fila?”, ti dicono, e spesso dunque te la fanno fare comunque, anche spinti da un rancore generazionale. Al cinema, spesso, è il muro di signore non prenotate dai capelli bianchi e occhiali con la catenella lì in fila per lo spettacolo in lingua originale delle 15. Chi è riuscito a conferire, dopo tutte queste procedure, col medico di famiglia, riceverà una email il giorno dopo da parte di midototore.it chiedendo una recensione, come ti sei trovato, come se fossimo stati al ristorante.
Che poi chi ci va fisicamente dal medico di base o di famiglia è già minoranza perché oggi ormai il medico della mutua è alla fine un grosso Glovo o chat gpt (anche semplificato, del tipo cinese) di ricette che elabora richieste ricevute per whatsapp. C’è chi non l'hai mai visto il medico della mutua, chi pensa che in realtà abiti a Bangkok con una famiglia parallela in regime di bigamia. Da Bangkok o dove sta lui, il medico-gpt ti invierà la ricetta che tu mostrerai al farmacista, e il braccio robotizzato della farmacia ti servirà. E qui bisogna dilungarsi un attimo su una delle innovazioni più clamorose e scenografiche della contemporaneità, e che è arrivata così, senza preavviso, né dibattito, altro che le auto robot di cui si parla da anni! Il braccione che scatta in farmacia, la farmacia nel frattempo diventata catena, ha il suo palcoscenico, trasparente, perché il braccione vuole essere visto, e il mutuato sta lì e ha il suo posto in prima fila. Consolato.
Per le visite specialistiche, ottenuta la ricetta il paziente andrà in un centro privato (quelli che sceglieranno il pubblico periscono generalmente nell’attesa). Anche qui, la tecnologia è diventata un surrogato consolatorio della cura. A Milano, soprattutto, dove il lamento per la mancanza del medico di base è secondo solo a quello della mancanza dell’alloggio, e in una città in cui alcuni svantaggi sociali vengono, consciamente o meno, percepiti dalle vittime come status symbol, tutti subito ti dicono, ah, ma non ce l’hai la San qualcosa App (ogni grande gruppo privato della sanità ha il nome di un santo). “Se vuoi ti prenoto un appuntamento a nome mio con la app”, ti dicono con soddisfazione come quelli che hanno i numeri di taxi riservati, e tu però non hai tanta voglia di condividere tutto il fascicolo sanitario con quel gentile possessore di app incontrato a una cena. Però ti scarichi la Santa App, e prenoti velocemente e vai, scegli la prestazione, il medico, vedi anche le review e i punteggi dei dottori e poi ti presenti in una specie di cubo di cemento a Sesto San Giovanni dove ci sono tanti anziani in fila, fa freddo, è più squallido di una Asl o Usl, ma vuoi mettere, è privato!
A Milano se è per questo ci sono anche gli urologi influencer, vabbè, e le signore che vanno a partorire al San Raffaele per essere chic, ma poi scoprono che la nuova ala della maternità formalmente insiste nel comune di Segrate, dunque, macchia sociale indelebile, la località SEGRATE rimarrà per sempre sui documenti del neonato abbiente (pare che per ovviare all’increscioso evento l’ala maternità sia stata spostata di nuovo per ricadere nel comune di Milano). A Roma, invece, si sa che in clinica è meglio non andarci, e nei salotti più chic c’è sempre invece un medico, possibilmente del Gemelli; come importanza sociale il primario del Gemelli viene subito dopo la principessa e il cardinale.
C’è chi decide di scavallare completamente la figura del medico di base (“ho un pediatra bravissimo”, ti dicono; “sì, ma è per me, ho 50 anni”. “Allora ho un pranoterapeuta cinese!”, boh); e chi di andare direttamente al pronto soccorso pubblico, lì vederne “di ogni”, farsi sei ore di fila ma uscirne con la radiografia e la visita fatta. Nel frattempo i medici del pronto soccorso maledicono all’unisono coi pazienti i medici di base perché gli intasano il pronto soccorso. Insomma i medici di base o della mutua sono odiati da tutti. Gira anche la leggenda metropolitana che si siano arricchiti tantissimo col Covid. Ma adesso che questa figura così fondamentale scomparirà, che arriveranno le “case di comunità” che fa un po’ comune, nel senso di fricchettone, ci si chiede perché questi poveri medici di base stanno così antipatici. Quando è successo? Com’è potuto accadere? Non sarebbe meglio assumerne tanti, spargerli sul territorio, anche con finalità keynesiana, e lasciar perdere la “casa di comunità”?
Forse è colpa di un film. Appunto “Il medico della mutua”, con Alberto Sordi (1968). L’efferato dottor Guido Tersilli rappresenta una delle grandi maschere degli italiani mostrificati da Sordi nel boom economico (tra cui appunto “Il Boom” in cui lo stesso Sordi si convince a vendersi un occhio per finanziare un lifestyle non sostenibile diremmo oggi). Ma qui Tersilli, pronunciato alla romana, Terzilli, è uno spiantato che lavora in un secondario ospedale , il San Servolo, ma punta a diventare uno di quei medici con la fuoriserie e il villone, due gadget che la mutua all’epoca permetteva. Lo diventa perdendo via via l’innocenza medicale che lo accompagnava, rubando soprattutto mutuati – ogni mutuato era un rimborso sicuro dallo Stato – e riducendo soprattutto il tempo da dedicare a ogni malato. Era partito da un quarto d’ora e scende sempre più grazie a una specie di mostruosa catena di montaggio. Nella sua ascesa alla mutua e discesa agli inferi è guidato da una mamma arrampicatrice (la stupenda Nanda Primavera), che vede nel figlio dottore il mezzo per la sua rivalsa.
Nel film c’è anche Bice Valori, indimenticata mattatrice, che fa la moglie del professor Bui, tenutario di migliaia di mutuati a cui Sordi vigliaccamente mira e per questo la seduce (ma lei ha già un amante, di cui il marito è perfettamente a conoscenza, perché sa che nella vita di un medico con migliaia di mutuati non c’è tempo per l’amore e i doveri coniugali, dunque un amante per la moglie è d’obbligo). Il film è un culto per varie ragioni, non per ultima la celebre marcetta di Piero Piccioni (il tema portante è “Samba fortuna” poi “Tema di Esculapio”) diventata una specie di simbolo musicale di Albertone.
Però all’inizio non ci credeva nessuno in questo film: si temeva che la storia, tra pronti soccorsi, medici avidi, malasanità, non avrebbe portato nessuno al cinema. All’inizio il protagonista doveva essere Tognazzi, e a dirigere Luciano Salce mentre il produttore doveva essere Marione Cecchi Gori; poi come spesso succede nel mondo cinematografaro, l’idea si inabissa e viene ritirata fuori anni dopo da Sordi medesimo che convince De Laurentiis e addirittura ci investe dei suoi capitali. “Si parla di ospedali, ma vedrai, non muore nessuno!”, disse per convincerlo. La regia sarà di Luigi Zampa e sarà un trionfo: Sordi lo ricordò nelle sue memorie: “hai visto che avevo ragione io”, disse a De Laurentiis? “Embè se può pure sbaglià, no? rispose quello davanti all’enorme successo – fu il secondo film per incassi al botteghino del fatale ‘68 con 10 milioni di biglietti staccati e 3 miliardi di lire di incasso. Sordi si aggiudicò Globo d’Oro e David Di Donatello, ci sono le riprese di lui che lo riceve insieme a Monica Vitti, raggianti, che annunciano un prossimo film insieme, “Amore mio aiutami”.
Sordi era rimasto molto colpito da un romanzo uscito qualche anno prima, appunto “Il medico della mutua”, scritto in tono più che comico di denuncia da un vero medico, oltre che scrittore ed ex partigiano (che sembra la storia di un altro film di Sordi, “Una vita difficile”). Giuseppe D’Agata era nato a Bologna nel 1927 con origini molisane; partigiano della Brigata Matteotti durante la Resistenza, finita la guerra si era laureato in medicina. Aveva nel ‘64 pubblicato per Feltrinelli quel volume che destò enorme scandalo, al punto che l’autore dovette abbandonare la professione medica, e, incoraggiato dal successo letterario e dal film si mise a scrivere sceneggiature televisive e cinematografiche. Il Parlamento utilizzò il libro anche per la riforma del Servizio sanitario nazionale ma lui intanto aveva iniziato a lavorare alla Rai: adatta per la radio alcuni racconti di Collodi, Fogazzaro, Stevenson e Capuana e cura una versione di sei puntate del Gattopardo. Poi ci riprova con un altro romanzo “medical”, “Il dottore”, sempre per Feltrinelli nel ‘76, ma qui non c’è malasanità, il protagonista è un tale Pino, che durante il fascismo si è laureato in medicina ma non pratica, anzi fa l’attore pornografico, e a un certo punto decide di ordire un attentato a Mussolini. Non replicherà mai lo stesso successo. D’Agata muore nel 2011 ma la sua memoria rimane legata al film, anzi ai due film, perché come spesso si fa sull’onda del successo di una pellicola ecco che spunta il sequel, fatto in quattro e quattr’otto l’anno successivo, ma come qualità quasi al livello del primo.
Si intitola con stile wertmulleriano “Il prof. dott. Guido Tersilli primario della clinica Villa Celeste convenzionata con le mutue” anche se il titolo iniziale era ancora più lungo, “Il prof. dott. Guido Tersilli primario della clinica Villa Celeste delle Piccole Ancelle dell’Amore Misericordioso convenzionata con le mutue”. Questa volta lo dirigerà veramente Salce; nel cast rimane Pupella Maggio, prima paziente-portafortuna che Tersilli si porta dietro scaramanticamente nella sua ascesa ospedaliera, e poi il suocero, l’indimenticabile palazzinaro impersonato da Alessandro Cutolo. Straordinario personaggio, morto trent’anni fa nel 1995, era una specie di Barbero dell’epoca, medievista, divulgatore, conduceva sulla Rai la trasmissione “Una risposta per voi”, e Sordi lo utilizzerà spesso come spalla; nei “Complessi” fa se stesso, che deve esaminare il “Dentone” e gli altri candidati per il telegiornale. Fa invece di nuovo il suocero gaudente e vigliaccone in “Finché c’è guerra c’è speranza!” dove Sordi è un mercante di armi.
Nei due film del Sordi-medico c’è un bello spaccato di una Roma in pieno sviluppo urbanistico, col Nuovo Salario appena abbozzato (nel primo) e invece la clinica avveniristica Villa Celeste nella realtàè la Pio XI, opera di Julio Lafuente. E poi camei leggendari: c’è il conte Giovanni Nuvoletti, dandy mantovano che aveva sposato Clara Agnelli, detto dunque “L’autonobile Fiat”, tra i vari originali incarichi presidente della Accademia italiana della cucina; interpreta l’esoso prof. Azzarini che si fa cadere il bisturi di mano quando non arriva l’assegno concordato. Mentre la sua assistente è interpretata da quella che nella realtà era la sua vera figliastra, la principessa Ira Fürstenberg figlia di sua moglie Clara Agnelli.
Nel “Medico della mutua”, Sordi alla fine ha talmente tanti mutuati che poi gli viene un coccolone da stress. A quel punto, naturalmente i suoi stessi colleghi pregustandone già il decesso, puntano a rubare a lui le migliaia di mutuati come lui aveva fatto prima. Ma il film si conclude con Sordi in terrazza che visita "da remoto", facendo palpare il paziente da un’infermiera, e comunicando al telefono, in questo modo anticipando di 60 anni il futuro. Quello che proprio non avrebbe previsto, ecco, sono le “case di comunità” (ma forse ci avrebbe fatto un film, un terzo episodio, si potrebbe fare oggi, anche col robot della farmacia, vabbè).
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Mitologia del buon tempo antico
Requiem con lode per le piccole librerie, ma niente sensi di colpa se le tradiamo
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