Giovanni Gentile (Ansa) 

L'Anpi vs. Giovanni Gentile: il caso di Castelvetrano

Tommaso Tuppini

Il 29 maggio saranno centocinquant’anni dalla nascita del più grande filosofo italiano contemporaneo. Ma c'è chi tenta di cancellare il suo ricordo imponendo preconcetti ideologici

Il risentimento è una dispepsia emotiva per cui il passato si piazza sullo stomaco come un macigno. Non importa quanto tempo è trascorso, le vecchie ferite continuano a sanguinare, e quando sembrano rimarginarsi, le grattiamo per riaprirle. Il 29 maggio saranno centocinquant’anni dalla nascita di Giovanni Gentile, il più grande filosofo italiano contemporaneo e l’unico di statura europea. Ma all’Anpi non va giù che Castelvetrano, suo paese natale, voglia ricordarlo. Certo, qualche motivo per stendere un velo pietoso ci sarebbe.

L’assassinio di Gentile è una macchia della Resistenza. Lo ammazzarono nel peggiore dei modi possibili: conoscendo la sua disponibilità verso gli studenti, un gruppo di gappisti fiorentini si finsero tali e lo avvicinarono nascondendo le armi sotto i libri. In un testo sulla lotta partigiana quel gesto viene descritto come “giustizia del popolo contro il vecchio corruttore della sua intelligenza e della sua cultura”. Ma Gentile non corrompeva nulla, anzi, quando era ministro fu autore della sola riforma scolastica che non assomigli a una costruzione fatta coi Lego da un bambino pazzo. All’Anpi interessa esclusivamente la sua adesione alla Repubblica sociale.

Eppure, come disse un filosofo tedesco, chi pensa in grande deve sbagliare in grande. Accumulando piccinerie, al massimo si arriva alle corruttele da paese. E poi: è ridicolo continuare a trattarlo come un avversario politico, quasi fosse un Vannacci qualunque. Se all’Anpi non hanno voglia di leggere volumi concettosi, cerchino almeno su internet il discorso che Gentile fece in Campidoglio il 24 giugno 1943. Se la cattiva digestione non li ha obnubilati, scopriranno un passaggio che li sorprenderà, spero in positivo, dove Gentile dice: “Italiani non si è per diritto di nascita. Quello che si può presumere di possedere dalla nascita, bisogna conquistarselo col proprio merito, col proprio lavoro, con i propri sforzi. Perciò italiani sono veramente quelli che vogliono essere italiani”.

Nessuno è italiano per diritto acquisito, tutti possono diventarlo. Non importa dove siamo nati e cosa abbiamo ereditato. Importa cosa riusciamo a fare di ciò che abbiamo ricevuto. Non è per sbaglio che, fin da giovane, Gentile trovò un punto di riferimento in Marx, il filosofo della prassi: la storia di una nazione non è una splendida bara davanti alla quale genuflettersi, non è un archivio, ma un processo in divenire, un’opera da compiere sempre di nuovo, che richiede lavoro e istruzione. E proprio l’istruzione, per lui, era la linfa dell’essere sociale, un cammino che accomuna professori e studenti, i veri artefici di quella che chiamava “vita dell’Europa, luce della nostra civiltà”. Noi preferiamo ammannire insegnamenti su sesso, schwa e soft skills. Ostinandoci a volare così basso, non andremo molto lontano. 


Il problema non è chi vuole ricordare Giovanni Gentile, ma la nostra sordità al suo pensiero. La storia non è fatta per essere trasformata in una lista di proscrizione. I personaggi che l’hanno segnata non sono figurine da appiccicare su album ideologici. Gentile non va cancellato per ripicca ma studiato e capito. Per farlo, però, bisognerebbe decidersi ad aprire qualche libro, essere capaci di pazienza, concentrazione, e un po’ di silenzio. L’Anpi ahimè non ha tempo. Sono troppo impegnati a fare da megafono per il chiasso pro Pal.
 

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