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Così Charlus, predatore e perseguitato, prese forma nei taccuini di Proust

Matteo Marchesini

Sei brani tradotti e introdotti da Mariolina Bertini, ricordando uno dei personaggi più antichi della “Recherche”. Da cui è possibile scorgere fin troppo nitidamente l'autobiografia dell'autore

Diceva Gombrowicz che chi si vergogna, per difendersi da un avversario, l’attira paradossalmente “nei suoi recessi più intimi”. Uno dei personaggi letterari che meglio si adattano alla definizione è il barone di Charlus, nato Gurcy o Guercy su quei quaderni del “Contro Sainte-Beuve” che Proust trasformò a poco a poco nella “Recherche”. Le incoerenze apparenti del barone, che a premure eccessive alterna inattesi scoppi d’ira, affondano le loro radici nel segreto dell’omosessualità, da lui tanto più tradito quanto più nascosto. Robert de Montesquiou, che in parte lo aveva ispirato, v’indovinò una parodia di Vautrin, il demiurgo proteiforme di Balzac; e come Vautrin indirizza sui giovani i suoi progetti di potere e seduzione, così Charlus, corteggiando il narratore, vorrebbe iniziarlo alle glorie della diplomazia. Non a caso, in un’epoca che diffida di Balzac, la diversità rende il barone un fine interprete della “Commedia umana”

Di questo rapporto si è occupata anni fa Mariolina Bertini, che oggi in “La gelosia di Charlus e altri scritti dai Cahiers”, un volume uscito per la Nuova Editrice Berti e accompagnato da una postfazione di Ezio Sinigaglia, traduce e introduce sei brani dei 75 taccuini proustiani in cui l’imponente figura ha preso forma. Bertini ricorda che Charlus è uno dei personaggi più antichi della “Recherche”, e uno dei pochi che appaiono lungo tutto l’arco dell’opera: intravisto dal narratore bambino, lo si ritrova nei salotti aristocratici, sul lungomare di Balbec, nella straordinaria scena di seduzione floreale col farsettaio Jupien, costretto dall’amore a mendicare un posto nel salotto borghese Verdurin, anziano nella Parigi della guerra dove si fa flagellare in un bordello, e infine re Lear decrepito di un mondo ormai svanito. E’ subito un uomo altero “di mezza età grande e grosso, dagli occhi sporgenti e dai baffi troppo neri, probabilmente tinti”, dallo sguardo “penetrante e mobilissimo che dissimula dietro un’ostentata distrazione”: lo sguardo di un predatore, e insieme di un perseguitato. 

 

            

 

Nei primi abbozzi il narratore scopre la sua vera identità vedendolo dormire, cioè mentre la coscienza non può difenderne la natura femminea. In un frammento la scoperta avviene nel salotto Guermantes, dove dopo un saluto con la mano curialmente tesa, i suoi occhi da “venditore di piazza” si chiudono e i tratti perdono il falso virilismo. Guercy appare allora come una maschera funeraria: al solito, in Proust, la verità coincide con la morte. Qui si apre la digressione sulla “razza delle zie”, creature contraddittorie “il cui ideale è virile proprio perché il loro temperamento è femminile”, “razza maledetta” perché “quel che è per lei l’ideale della bellezza e l’alimento del desiderio è anche l’oggetto della vergogna e la paura del castigo”. 

In un altro abbozzo, invece, il sonno rivelatore cade a teatro, dove il narratore interpreta il volto del nobile come un quadro, e riconosce sotto l’individuo i lineamenti della stirpe senza che per questo la sua memoria cancelli il Guercy ignoto di prima (in noi ci sono tante memorie e tanti io che affondano e riaffiorano nel tempo, insegna la “Recherche”). Notevolissimo è poi l’ultimo frammento in cui, sotto Charlus, si scorge fin troppo nitidamente l’autobiografia di Proust, che non a caso lo ha tenuto fuori dal romanzo: è un brano del 1914 sulla gelosia inarginabile per un ragazzo molto simile al segretario dell’autore, Agostinelli, che lo aveva appena lasciato e che sarebbe morto di lì a poco in un incidente aereo

Nella postfazione Sinigaglia osserva che Proust allontana da sé due sue caratteristiche tra le quali stabilisce un’analogia, l’omosessualità e l’ebraismo, assegnandole rispettivamente a Charlus e a Swann. Sono figure che disprezzano o falliscono la redenzione letteraria, e che restano incatenate a un’altalena continua di mondanità ed emarginazione: ma anche per questo sono commoventi come lo è soltanto, nel suo stoicismo, la meravigliosa nonna di Marcel
 

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