La recensione

Il rovescio della testa di Daumal, l'uomo dello "scandalo logico"

Luigi Azzariti-Fumaroli

Arrivano in libreria per Adelphi i testi dell' "esoterico" Daumal, il pensatore capace di suscitare amato da Giuseppe Pontiggia

Mai amato Daumal. Troppo esoterica la sua Opera, troppo assorbita in un orientalismo, dilavato in uno psicologismo di marca junghiana, che coltiva l'idea di un superamento dell'identità dell'io in un Sé che si rende visibile attraverso immagini che si sviluppano in una sorta di allusione grafica, ambigua ed esatta insieme, quale si ritrova nelle tavole del “Viaggio in Grecia” di Gastone Novelli. Il cui incipit è per l’appunto la parafrasi d’un passo del “Monte Analogo” (Adelphi, 2020): incompiuto «romanzo di avventure alpine non euclidee e simbolicamente autentiche», ritenuto dagli appassionati d’alpinismo un libro odeporico, e da quanti coltivino studi filosofici un breviario di metafisica. Laddove esso – avvertiva Giuseppe Pontigia – è piuttosto la sintesi di entrambi: «una sorta di itinerario verso un monte che deve essere perché c’è una metafisica e verso una metafisica che deve essere perché c’è un monte». Ma forse meglio sarebbe dire che si tratta della ricerca d’uno spazio astratto, d’un luogo che è un imponente “come se”: l’emblema di ciò che Daumal pensa essere l’atto letterario, in quanto fabula «che afferma attraverso l’analogia», permettendo così di realizzare – si afferma in “Controcielo” (Tlon, 2020) – il sentimento d’una reminiscenza, nella quale gli oggetti si rivelano segni e questi si rivelano nel materializzarsi della parola.

In una lettera ad André Rolland del settembre 1930, Daumal parla a questo proposito di «simbolo spinozista», alludendo al tentativo di realizzare una scrittura non più dibattuta fra le antinomie del pensiero, e perciò capace di suscitare uno «scandalo logico». Tale è infatti il concepire – come dimostrano i testi composti da Daumal nella sua  maturità ed ora raccolti, a cura di Claudio Rugafiori (da lustri inclito editore in Italia come in Francia del lascito dello scrittore di Boulzicourt), in “Il rovescio della testa” (Adelphi, 2025) – l’oggetto letterario come legato non già all’immediatezza di una presenza, ma ad un mancare che si perpetua sotto la specie del niente.

Manifesto è il precipitato della poetica Indù (cui Daumal dedica, nel 1938, un saggio importante, riproposto di recente nell’antologia dei suoi lavori indologici, “Lanciato dal pensiero”, dopo essere apparso in “I poteri della parola”, prima crestomazia italiana dei suoi saggi, pubblicata sempre presso Adelphi, nel 1968), la quale, secondo una articolata volontà d’astrazione, perpetuamente lega la pienezza dell’essere al vuoto. Come del pari è evidente una qualche prossimità con i tentativi del Surrealismo (al quale Daumal, con Vailland e Gilbert-Lecomte, in veste di redattori della rivista “Le grand Jeu”, parteciperanno senza aderire) di promuovere un’alchimia figurata per mezzo della quale si dilegua l’opacità delle parole, si dissipa la loro presenza cosale. A predominare sembra però soprattutto essere l’assurda coazione a ripetere che muove l’affannato lavorio di uno «sténographe acéré de nuances», che quanto più ammassa e cataloga il contenuto di «bauli mitologici, cappelliere teologiche e ceste di citazioni», tanto più deve accettare, per coerenza col “gioco sapienziale” da lui allestito, che il proprio gesto venga ogni volta smentito.