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Foto LaPresse
il libro
Marco Belpoliti e l'intellettualismo stagnante
Il memoir-guida sociologica pretende di spiegare il nord Italia ma finisce per smarrirsi tra citazioni, auto-celebrazioni e affermazioni scontate. Una firma a cui l’editoria non può più dire no
Si potrebbe pensare che una certa retorica, che ai più rende noiosi e indigesti i “prodotti culturali”, sia caratteristica di una certa generazione, quella dei boomer. Il pensiero, da una prospettiva millennial, viene leggendo l’ultimo libro di Marco Belpoliti, Nord nord (Einaudi). Poi, a pensarci meglio, vengono in mente contemporanei del settantenne Belpoliti che si salvano dagli sbrodolamenti ampollosi, dai periodi dove si vuole allo stesso tempo mostrare che si è andati a scuola (o che si ha una connessione internet) ma che si sanno anche apprezzare le cose semplici della vita, e dalle frasi da liceale arrogantello – “mi è parso di capire che ogni sasso o pietra (…) conservi una memoria che noi umani non possediamo”. Ok boomer, direbbero i meme.
Nel libro ci troviamo in situazioni dove si è sempre buoni, calmi, generosi – addirittura saggi! – dove si osserva il mondo con la pretesa di dire qualcosa di nuovo, o se non altro di stimolante, ma si finisce per guardarsi l’ombelico, o dire che io Ceronetti l’ho conosciuto (vi ricordate Scalfari con Calvino?). O forse – cerchiamo sempre di categorizzare, per comodità, per trovare dei fili che mostrano gli sviluppi intellettuali ed editoriali – Belpoliti appartiene a quella schiera di accademici, quei professori universitari che passano la vita commentando i testi altrui e che pensano, forse per osmosi, di poter aspirare a mostrare anche loro quel talento ed eccellenza poetica e stilistica che tanto hanno respirato, come il raccattapalle che è sicuro di poter fare goal in una finale dei mondiali, o il lavapiatti che pensa di poter facilmente riprodurre l’oeuf de la poule di Robuchon perché l’ha visto fare mille volte. “Ah… anche poeta”, diceva la signorina Silvani a un ragionier Fantozzi che cita la Canzone di Bacco. “Ah… anche disegnatore”, diciamo noi a Belpoliti che è anche l’autore delle illustrazioni del libro.
O forse, ancora, altra categoria editoriale in cui potremmo inserirlo, Belpoliti è parte di quelle firme a cui l’industria libraria non può più dire di no, e gli pubblicano qualsiasi cosa, anche un memoir che si nasconde dietro una sorta di guida sociologica del nord Italia (debole, pigra, strascicata, senza guizzi o virtuosismi, Wikipedia più sguardo personale finto modesto). O forse Belpoliti è parte di quel gruppo di uomini affamati di una certa sinistra del secondo Novecento, convinti che tutti possano avere qualcosa di interessante da dire, e che, per pedagogismo innato e una buona dose di moralismo, possono insegnare agli altri a vedere il mondo (in questo caso Bergamo, la Brianza e poco più). Perché ci deve descrivere lui che tira fuori un libro da uno scaffale, che una volta sottolineava le pagine a penna e non matita, “come faccio oggi”, se vuole parlarci di com’è cambiato il Settentrione? Perché servono 268 pagine per arrivare alla conclusione – “il Nord non esiste, o meglio è qualcosa di fluttuante” – che già si capiva nella prima pagina. E’ come se mancasse quel pudore che hanno le persone che soffrono della sindrome dell’impostore e che, prima di aprire Word, si chiedono: ma queste mie cinque pagine sulle coccinelle, con tanto di nomi in greco, potranno interessare a qualcuno? E poi, il name dropping, che si trasforma quasi in parassitismo di gente ben più famosa e talentuosa, dove si incontra sempre il rischio della mitologizzazione, e che si unisce alla nostalgia per “i bei tempi andati”, confondendo Storia con storia personale – questa forse sì generazionale: incapacità di andarsene in pensione o quel rancore di chi non sa più leggere il mondo di oggi e che rende acrimoniosi e passatisti, come l’anziano col bastone che sgrida i bambini che giocano a palla in piazza, solo perché lui non riesce più a giocare.