Boualem Sansal (Getty) 

La serata all'Ima di Parigi per la liberazione di Sansal, una “causa universale”

Mauro Zanon

Tutti sul palco dell’auditorium dell’Institut du monde arabe, intellettuali francesi e internazionali e giornali dalle linee editoriali opposte, mentre le condizioni di salute dello scrittore, in carcere da tre mesi, sono drammatiche. Gli algerini gli dicono di scegliere un avvocato che non sia ebreo

Parigi. Quando è il turno di Kamel Daoud sul palco dell’auditorium dell’Institut du monde arabe (Ima), il grande scrittore algerino fatica a trattenere le lacrime. Perché nelle carceri di Algeri poteva esserci lui al posto dell’amico Boualem Sansal, arrestato lo scorso 16 novembre all’aeroporto della capitale algerina e mai più tornato nel paese che lo ha fatto entrare nel pantheon della grande letteratura, la Francia. “Cari francesi, siete liberi, ma non lo sapete. Non siete come noi: poter essere Sansal o no è un privilegio (…). Non vi chiediamo di essere Sansal, ma solamente di non dimenticarlo”, ha detto martedì Daoud, in occasione della serata di sostegno allo scrittore franco-algerino organizzata da Jack Lang, presidente dell’Ima ed ex ministro della Cultura, e da Gallimard. C’erano scrittori e intellettuali francesi come Pascal Bruckner, Sylvain Tesson e Daniel Pennac, ma anche internazionali come Jonathan Coe e Roberto Saviano, giornali dalle linee editoriali opposte come Libération e il Figaro ed ex ministri come Jean-Michel Blanquer: tutti uniti per dire ad alta voce che “il posto di uno scrittore non sarà mai in prigione”.

 

“È una serata per Boualem e non contro l’Algeria”, ha detto in apertura il critico letterario François Busnel. “Non è la Repubblica francese a essere qui riunita, ma la Repubblica delle Lettere, per manifestare il suo affetto a questo grande scrittore”, ha sottolineato Busnel. Sul palco, si sono alternati romanzieri, giornalisti, filosofi, editori, ognuno con il proprio ricordo dello scrittore. C’è chi ha elogiato la sua “intelligenza e dolcezza umana” (Pennac) e chi invece il suo “sorriso voltairiano” (Tesson), c’è chi ha rievocato le sue parole sulla libertà e chi ha letto un estratto di un suo romanzo. Ma anche chi, come Blanquer, ha spiegato che la sua liberazione non è una battaglia francese, ma una “causa umanitaria universale”. “Non è la Francia contro l’Algeria, ma il mondo contro la libertà”, ha detto l’ex ministro dell’Istruzione. Negli anni Sessanta Algeri era la “Mecca dei rivoluzionari”, Che Guevara aveva un appartamento davanti alla cattedrale e per le strade si incontravano le Black Panthers e ragazze in abiti leggeri: oggi è la capitale di un paese guidato da un regime che non tollera il libero pensiero e sbatte in carcere i suoi migliori intellettuali.

    

“È un ostaggio”, ha affermato la giornalista Florence Aubenas, che visse la stessa situazione in Iraq nel 2005. Le condizioni di salute di Sansal, in carcere da tre mesi, sono drammatiche. Una biopsia effettuata a dicembre ha evidenziato un cancro alla prostata. “Attualmente è nell’unità penitenziaria dell’ospedale Mustapha di Algeri”, ha detto il suo avvocato francese, François Zimeray, cui il regime algerino non ha ancora concesso il visto e, probabilmente, mai glielo concederà.

 

Secondo le informazioni del settimanale Marianne, lunedì alcuni emissari del presidente algerino, Abdelmadjid Tebboune, avrebbero infatti incontrato Sansal nella sua unità penitenziaria, invitandolo a scegliere “un altro avvocato francese non ebreo” al posto di Zimeray. Non è la prima volta che il regime di Algeri utilizza questa retorica antisemita. Zimeray viene regolarmente qualificato come “sionista” dalla stampa algerina e lo scorso novembre un comunicato di Algérie Presse Service, agenzia di stampa vicina a Tebboune, aveva accusato la Francia di essere “macronito-sionista”.  Sulla facciata in alluminio e vetro dell’Ima, ispirata ai motivi ornamentali tipici dei musharabia, martedì sera brillava una scritta: “Je suis Sansal”.
 

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