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Foto Getty
Cemento della comunità
Crisi della cultura o cultura della crisi? La critica di Richard Weaver
La cultura ha un valore oltre il tempo, con la missione di conservare l'ordine naturale e l’uomo, così come esso è. Il pensiero di uno degli autori più importanti per la rinascita conservatrice (e in qualche misura anche liberale) americana di metà Novecento
Il nome di Richard Malcolm Weaver (1910-1963) non dirà nulla alla maggior parte delle persone. Ciò per almeno due motivi. In primo luogo, è un pensatore dai contorni conservatori, pur con qualche sfumatura liberale. In secondo luogo, non ha lasciato una grande quantità di scritti. Nondimeno, la sua opera, e in particolare Ideas Have Consequences (1948), è stata molto importante per la rinascita conservatrice (e in qualche misura anche liberale) americana di metà Novecento. Tale scritto, considerato non a caso da più voci come “la fonte e l’origine” dell’opposizione conservatrice alla controparte liberal, segnerà un punto d’inizio e un’ancora duratura per le riflessioni a venire in chiave conservatrice e liberale. Russell Kirk, pensatore assai più noto, prolifico e longevo di Weaver, ne parlerà come di una figura per lui piuttosto significativa.
È impossibile parlare di Weaver senza fare riferimento alle sue origini biografico-intellettuali. Egli era infatti nato nel sud degli Stati Uniti e orbitò intorno a un gruppo di letterati molto critici del mondo moderno, i cosiddetti “Southern Agrarians”. Questi, nel 1930, scrissero un manifesto molto duro nei confronti dell’industrialismo del tempo, sia in chiave anti capitalista che anti socialista intitolato “I’ll Take My Stand”. Capitalismo e socialismo, per i dodici intellettuali, avevano come base di partenza e punto di arrivo il progresso. Questo tendeva a spazzare via qualsiasi oasi di resistenza al cambiamento in quanto tale.
L’ideologia del progresso si rivelava in tal modo assai distruttiva della cultura stessa. Quest’ultima era da concepirsi, innanzitutto, come umanesimo, cioè a dire come cultura umanistica a difesa della persona umana e del mondo che abita. La cultura moderna, al contrario, ha più a che fare con la trasformazione delle strutture naturali che sostengono la personalità umana. Ne consegue, dunque, una critica aspra ad alcune tendenze contemporanee: relativismo, progressismo, massificazione. Weaver continuò a suo modo la resistenza agrarian all’imbarbarimento della cultura con un libro che uscì poco dopo la sua morte e che a distanza di sessant’anni è stato ripubblicato: Visions of Order. The Cultural Crisis of Our Time (Gateway).
Il pensatore nato nel North Carolina ritiene la cultura un baluardo in tempi di crisi: essa ha un valore che va oltre il tempo, è il cemento di una comunità, giacché fornisce un alto standard di eccellenza che serve da orientamento per le generazioni a venire. Me che ne è di questa quando diventa appunto una cultura della crisi, cioè prodotto della massificazione, del disorientamento, del conformismo? La cultura è o umanista o non è. Cultura è dunque il contrario di quanto s’intende per tecnica: mentre quest’ultima serve in vista di una funzione, poniamo fornire le istruzioni per aggiustare una macchina, la cultura forma il carattere, perfeziona la persona allevandone la capacità di immaginazione ma anche ancorandola alla realtà e ai propri limiti costitutivi. La cultura ha così una missione: quella di conservare l’uomo come esso è e preservare un ordine naturale che certa hybris vorrebbe invece trasformare e corrompere.