Bruno Maderna (Ansa)

Il Satyricon di Maderna, ovvero il postmoderno prima del postmoderno

Alberto Mattioli

La scelta vincente è di aver applicato la varietà di forme musicali, con un ritmo veloce, da videoclip, al romanzo di Petronio, che è a sua volta una divagazione continua e al libretto poliglotta che ne è tratto e che mischia latino, inglese, francese e tedesco, costruendo una drammaturgia "a pannelli" che non ha cedimenti

Non di solo Sanremo vive l’uomo e dunque, per rifiatare nell’imperversare dell’Abbronzatissimo, si è andati al Comunale di Bolzano, ma nella sala piccola dello Studio, per una nuova produzione del Satyricon di Bruno Maderna che, a differenza di molte opere degli anni Settanta, non ha subìto quella specie di obsolescenza non programmata che è toccata ad altre. Anzi, appare quasi profetica, come succede a creatori così intelligenti da risultare sfasati rispetto al loro tempo come Maderna.

   

Non rinnegati ma superati l’ortodossia avanguardistica e il rigore serialista, qui il Maderna terminale pratica il postmoderno prima ancora che fosse inventata la parola. Dunque, la partitura come collage, palinsesto, citazione di citazioni, citazione al quadrato, al cubo, all’ennesima potenza, dove si comincia con un coro quasi händeliano, poi arriva Lehár, si approda a Wagner, spunta il musical, occhieggia il Till Eulenspiegel, vagano echi di Kurt Weill e lacerti di Bizet, viene cantato letteralmente Gluck e deformato Cajkovskij, e questo cos’è? Ah sì, è il valzer di Musetta, mentre la primadonna spara sopracuti come una Lucia di Lammermoor sotto acido, magari su uno sfondo di nastro magnetico.

Un meraviglioso frullato pre-postmoderno, vertiginoso e spiazzante, alto e basso insieme, e sempre con un ritmo veloce, da videoclip. Ma, appunto, è un’opera: la scelta vincente è di aver applicato questa varietà di forme musicali al romanzo di Petronio, che è a sua volta una divagazione continua, e al libretto poliglotta che ne è tratto, che mischia latino, inglese, francese e tedesco, costruendo una drammaturgia “a pannelli” che non ha cedimenti. Perfino le obbligatorie denunce sociali della decadenza e dell’opulenza borghesi, appunto così Seventy (“Giove è il conto in banca”) suonano giuste, o almeno non oltraggiosamente ideologiche.


Tanto più che lo spettacolo è di livello, ben diretto da Tonino Battista con un’Orchestra Haydn che fa apprezzare l’ottima qualità delle sue prime parti, quasi tutte espostissime specie negli sberleffi espressionisti. La regia di Manu Lalli è abbastanza prudente nel racconto delle previste depravazioni orgiastiche ma funziona, molto sulla musica, con costumi da Casanova di Fellini, “seria” quando serve ma con la giusta dose di ironia sempre, e movimenti appropriati anche da parte dei ragazzi di una scuola professionale locale, l’Einaudi, coinvolti nella produzione come coro muto ma partecipe. Eccellente, poi, la compagnia non solo “lirica”, dominata dal Trimalcione di Marcello Nardis che fa intravedere la verità dell’uomo dietro la caricatura del nouveau riche, la cui morte risulta quindi sinistramente commovente, e della moglie Fortunata, Costanza Savarese, intensa e deliziosa insieme. Ma c’è anche un tenorino da musical di bella voce, Joel O’Cangha. Molti applausi da parte degli happy few in una sala piccola ma quasi al completo, e poi si è fatto in tempo perfino a tornare in albergo e a vedere i Duran Duran: ma loro sono vintage, Maderna è contemporaneo.

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