Luca Bizzarri e lo show saltato per mancanza di tempo. Altro che figuraccia

Giulio Silvano

Il comico genovese doveva essere a marzo teatro con “Non hanno un amico 2”. Che non si farà, perché non aveva materiale valido. Se ci fosse un anti tapiro dovrebbe esser consegnato per queste prese di coscienza: non solo conoscere i propri limiti ma non voler rifilare roba scadente al pubblico

Il comico genovese Luca Bizzarri doveva essere a marzo teatro con un nuovo spettacolo: “Non hanno un amico 2”. Però Bizzarri ha detto che non si farà, non ancora almeno. Ha scritto una lettera a chi aveva già comprato i biglietti chiedendo scusa. Lo spettacolo salta. E qual è il motivo? Bizzarri non ha scritto niente che reputasse all’altezza. È la scusa artistica più nobile possibile, che sembra una mosca bianca, una stranezza inaudita nel nostro tempo del subito e del tanto, di uno show business di iper presenza e iper produttività. Vista la fama e la fandom, anche grazie al podcast di Chora Media “Non hanno un amico”, Bizzarri avrebbe potuto benissimo accrocchiare qualcosa, improvvisare un po’, infilarci materiale vecchio, ricicciare punti di vista da stand up comedy, recuperare qualche sketch dal cassetto, rubare agli americani come faceva Luttazzi, truccare le carte, assumere una squadra di ghost andandoli a cercare nel parcheggio di “Tintoria”, usare ChatGPT, buttarsi lo stesso in scena e portarsi a casa applausi e soldi e gloria. Invece no. “Meritate uno spettacolo nuovo e all’altezza del primo”, scrive Bizzarri. “E ci sarà. La cosa migliore è che io mi prenda del tempo e che rimandi questo numero due nella stagione autunnale. Mi scuso ancora, perché alla mia età forse si pensa di poter fare cose che, invece, richiedono più tempo del previsto, e avrei dovuto saperlo”.

 

Lui la chiama “figura di merda” ma è in realtà l’opposto, anche solo per l’autocoscienza anagrafica (53 anni, che in Italia vuol dire essere “un pischello”). Se ci fosse un anti tapiro dovrebbe esser consegnato per queste prese di coscienza, non solo conoscere i propri limiti ma non voler rifilare roba scadente al pubblico. Ci vollero cinque anni a Nabokov per scrivere Lolita, immaginiamoci se qualcuno gli avesse messo fretta. La calma, lo studio, la concentrazione, grandi lussi nell’era dello scroll or die, ma ancora necessari per produrre qualcosa che punti a esser soddisfatti di sé. E di nuovo usiamo l’esempio di Donna Tartt che scrive un libro ogni dieci, undici, forse dodici anni, ma che scrive libri che poi si infilano subito nel canone e non solo da Fazio o su Robinson. Pensiamo a chi conduce programmi Tv superati i 90 anni con quella paura di scomparire dalla scena se si va un attimo in bagno o ai giardinetti, come l’ansia di non ritrovare il parcheggio sotto casa. Esserci è più importante che produrre cose di qualità. Pensiamo all’inquinamento nei teatri di provincia. Pensiamo a Marco Travaglio che parla per 120 minuti di “poteri marci” della politica – l’ultimo “i migliori danni della nostra vita” e ci sono pure Biden, Di Maio e Zelensky sulla locandina. Pensiamo ad Andrea Scanzi in tour con lo show su “Giorgia Meloni e il suo governo disastroso”, “tratto dall’omonimo bestseller” (più produttivo di Stephen King, l’aretino che si photoshoppa sui “Peaky Blinders” ha pubblicato dieci libri dal 2020… se pensiamo che in tutta la vita Flaubert ne ha scritti sette).

 

Chi trasforma il proprio libro in spettacolo, chi il proprio spettacolo in libro, chi il proprio monologo dalla Gruber in spettacolo e in libro. Come il Bartleby melvilliano tanto decantato ma poco seguito, oggi nell’era della bulimia produttiva, quella di Bizzarri è un’ammissione di colpa che diventa gesto radicale per le arti e per il mondo dello spettacolo, un affondo quasi anticapitalista da far contento Guy Debord, una presa di coscienza individuale che è specchio del malessere comune e che può diventare guida. Non solo saper dire di no, ma saper soccombere di fronte alla pagina bianca – cosa c’è di più poetico e romantico?

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