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Olycom
Disincanto Weiss
"Uomini nella notte": un romanzo su Balzac e sulla irragionevolezza del mondo
A settantacinque anni dalla morte del romanziere francese, Ernst Weiss lo raccontò in un romanzo colmo di disincanto e cinismo. Una storia sulla sconfitta della ragione, scritta da un autore che aveva assistito alla più evidente manifestazione di quella sconfitta: l'avvento del nazismo
Se ha ragione Domenico Starnone quando dice che gli scrittori sono pessimi conoscitori della propria opera e, in definitiva, di sé stessi, allora si può anche dire per la letteratura ciò che vale per la matematica secondo Gödel: e cioè che nessun sistema può comprendersi fino in fondo e ha dunque bisogno di un altro sistema che lo guardi da fuori. Così Ernst Weiss, un uomo la cui spinta a voler restare fuori da qualsiasi perimetro, sia quello puramente letterario che quello sociale, contrastava con gli eventi che lo resero un “disperso” e un “soccombente” – il suicidio dopo che i nazisti occuparono Parigi su tutti – è diventato nel tempo un sistema utile alla lettura di un grande suo contemporaneo: Franz Kafka. Immaginiamo questa metafora forzando il significato immediato della biografia: l’aspetto più irragionevole della matematica, quello smascherato dai teoremi del logico di Princeton (in un certo senso anche lui morto suicida), combacia con un autore che fece della sragionevolezza, del “credo quia absudrum”, dell’eppure, come ricorda Ginevra Quadrio Curzio, il centro della sua attività letteraria. Detto altrimenti, Weiss aveva visto l’idilliaca matematica del mondo sprofondare sotto i colpi della logica genocidaria nazista.
Ed è proprio questa ingenuità di taluni che Weiss, appunto, smaschera in Uomini nella notte, un romanzo su Balzac, scritto a settantacinque anni dalla morte del romanziere francese, per la prima volta pubblicato in Italia solo ora dalla casa editrice Medhelan (180 pp., 20 euro: da oggi in libreria), a cento anni esatti dalla pubblicazione originaria. Weiss, si diceva, svela la “donchisciotteria di Balzac”, un genio considerato dai più e anche dai suoi avversarsi teorici, si pensi a Marx e Engels, un cronista fedele, un diagnosta della sua epoca. Lo stesso uomo lucido e brillante che avrebbe dovuto dimostrare l’innocenza di Sébastien Peytel, accusato di aver ucciso sua moglie e il cocchiere, il 1° novembre 1838. Compito che, nonostante l’impeto sciasciano e l’effettiva naturalezza con cui Balzac si prodigava in vicende del genere, non gli riuscì. In questo fallimento c’è un po’ un fallimento delle grandi narrazioni, anche quella secondo cui per rammendare la giustizia basta urlarle contro o, meglio, accusarla.
Weiss, che baserà Uomini nella notte proprio su questa vicenda, è invece disincantato, in qualche modo cinico, libero da quelle reazioni antiscettiche spesso dettate dalla paura, quella sicurezza incrollabile che nasce come reazione a un trauma. Lui pare che il trauma che si sarebbe apprestato a vivere, e cioè l’avvento del Nazismo, lo stesse aspettando. Ma in Uomini nella notte, la débâcle della ragione, che altro non vuole essere se non una débâcle della Storia, non è circoscritta all’individuo Balzac, che diventa solo uno dei tre nodi che permettono di comprendere l’estensione della convinzione weissiana secondo cui nulla, ragionevolmente, può essere in definitiva ragionevole, poiché il mondo funziona al di là delle conseguenze previste, e cioè delle conseguenze razionali. Gli altri due nodi sono Napoleone e il fischiettatore de Blince: il primo rappresenta la politica, il Potere. Il secondo rappresenta l’arte, che del Potere dovrebbe essere il controcanto. Balzac è, qui, più che uno scrittore un uomo, un personaggio da intendersi in modo radicale, e cioè tale che la sua attività principale, il suo lavoro, è alla fine del tutto trascurabile rispetto alla serie di eventi che si troverà ad affrontare o subire.
Così Balzac diventa nient’altro che un intreccio di pulsioni e tentativi (falliti), di esperienze, coerentemente all’idea di Ernst Mach, studiato da Weiss come da altri suoi contemporanei (per esempio Robert Musil), secondo cui la realtà è il mondo dei sensi, poiché non esiste la cosa in sé. Una pesca senza nocciolo, come si potrebbe dire di questo romanzo stiloso, alto, che mette in mostra tutte le capacità dello scrittore e della storia di aprirsi (di recente qualcun altro ha tentato questa strada: Martin Amis); e che forse compie, in definitiva, lo stesso peccato di uno dei personaggi, Balzac appunto: “Volevo riconciliare con sé stesso l’amico. E’ stata ossessione e vanità?”. A dimostrazione che anche la matematica di questa “letteratura minore” (la stessa, pur con le sue differenze, di Kafka) resta incompleta e, come tale, deve sapersi confrontare con la tradizione. A maggior ragione, come avvenne nel 1925, alla vigilia di un violentissimo stordimento.