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La Havre, in Francia (Foto Getty)
In libreria
Ventiquattr'ore a Le Havre per riesumare il passato di una vita e della città
Una donna parigina e uno spericolato viaggio all'indietro. “Giorno di risacca” dell’implacabile e precisa Maylis de Kerangal è un’ottima risposta per chi ancora osi chiedere qualcosa alla letteratura
Quanta Le Havre, in “Giorno di risacca” (Feltrinelli, 183 pp., 16 euro) di Maylis de Kerangal. Le Havre, Le Havre, Le Havre. Viva, morta, distrutta e ricostruita, mentale e vaga ma anche stridente e troppo fisica. Le Havre: quella di oggi, sdraiata sotto nuvole di zucchero e abbacinata da improvvise pozze di luce, e quella di ieri, uscita stremata dalla Seconda guerra mondiale con la forma di un’immensa voragine. Quella dell’adolescenza, col suo mare di ferro e silice e una spiaggia impossibile, pietraia ricoperta da una flora anomala e puzzolente, buona per sognare riviere e palme dimenticandosi le raffinerie e i cantieri navali; spiaggia ostile, che rende ruvidi e lunatici anche gli amorazzi di gioventù, una stesa di tutte le sfumature del grigio che sotto la pioggia di novembre assume l’aspetto “di un magazzino di proiettili” in riva a un mare “petroliere e impressionista”, e poi tanto cemento malmostoso, il porto rude e scuro, le strade deserte già alle sei di sera e un clima anti turistico, perché qui, già dalla prima sera, ci si soffia il naso “certi di essersi beccati un malanno”.
Le Havre è l’epicentro di una storia che sembra sgorgare dalla città stessa e dalla sua acquosa umoralità, dai suoi presagi, dalla sua volubile contrarietà – eppure attraente, vera, sudicia e trasparente, è perfino capace, questa Le Havre, di smentirsi all’improvviso, di spiazzarti, di imporsi alla bellezza.
Le Havre in una sola giornata: ventiquattro ore nella vita di una donna parigina, doppiatrice di serie tv, che proprio là viene chiamata, nel luogo in cui è nata e cresciuta, per riconoscere il cadavere di un uomo ritrovato “sulla pubblica via”, nei pressi del porto. Sgomenta, lei parte e si fa inghiottire dal maltempo, dal mare scuro, dall’atmosfera di una città che ne fa un suo cattivo pensiero. Intanto l’investigatore Zambra la tallona con le domande, cerca di guidarla verso qualcosa, una traccia, un brandello, davvero non ricorda niente? Madeleine indigesta, la foto di quel cadavere irriconoscibile. Che metterà in moto, nella protagonista, uno spericolato viaggio all’indietro, disuguale e caparbio, fatto perlopiù di lacune e ipotesi, di stralci e di scollegamenti, costringendola a misurarsi coi cerchi non chiusi del tempo, con l’impotenza dei ricordi, col tutto è possibile, compreso starsene lì a frugare in un semibuio di nomi, volti, possibilità – intorpidita, instupidita, del tutto travolta.
Chi è quell’uomo? Riesumare il passato di una vita e di una città mentre anche la storia irrompe, perché ogni città è l’eredità di sé stessa – splendide, davvero splendide le pagine in cui la protagonista incontra due profughe ucraine che stanno fuggendo in Inghilterra mentre nel loro paese infuria la guerra scatenata dai russi, e ancor più splendida e toccante, immersa nell’uggiosità stillante di Le Havre, la scena del passaggio delle cicogne dopo i bombardamenti a Kharkiv: due città che si parlano, vite che non sono la tua e di cui non sai niente. “Rendersi conto che la tua vita è in pericolo, che la vita di quelli che ami è in pericolo, tu non lo sai, avere il presentimento che sopravvivere sarà una questione di fortuna, tu non lo sai…”.
Maylis de Kerangal vive questo tempo e lo sa raccontare come pochi perché ha gli occhi aperti e non solo: sa pensare col corpo e sa trovare, in spazi noti a tutti eppure apparentemente inesplorabili, uno sguardo laterale, che cade di sbieco come il sole di Le Havre. E’ proprio grazie a questo sguardo che riesce a “vedere”, e lo fa attraverso una scrittura precisa, implacabile, forse a tratti un po’ sigillata in sé stessa, eppure anche lieve, spesso lirica, che aderisce alle cose e trova movimenti musicali pieni di grazia e intelligenza (menzione speciale per la traduttrice Mara Baiocchi). Fa tutto a pezzi e tutto ricompone con la gioiosa arbitrarietà che compete a una scrittrice che ama chi legge – e che ama disegnare: anche il bellissimo “Canoe” partiva da un centro, da un tema, e poi allargava, in ampie note musicali, il tema principale. “Giorno di risacca” è una buona notizia, e Maylis de Kerangal è un’ottima risposta per chi ancora osi chiedere qualcosa alla letteratura.