(Ansa)

La quercia da cui ancora risuona la voce di Torquato Tasso. Una mostra

Tommaso Ricci

La mostra, al Museo di Roma in Trastevere, celebra il leggendario albero presso il convento di Sant’Onofrio, legato agli ultimi giorni del poeta. Un tempo simbolo culturale e paesaggistico, oggi ridotto a un relitto dimenticato, la quercia diventa emblema del degrado della memoria storica romana. Lappello per la sua tutela

"Si j’ai le bonheur de finir mes jours ici, je me suis arrangé pour avoir à Saint Onuphre un réduit joignant la chambre où Le Tasse expira”. Poi René de Chateaubriand mutò i suoi programmi e decise di morire nella sua patria francese, ma descrisse come “un des plus beaux sites de la terre”, la chiesa convento di Sant’Onofrio a Roma, dove morì e fu sepolto, 430 anni fa, il poeta Torquato Tasso. Un autentico topos romanus, cittadino e internazionale, popolare e colto, paesaggistico e storico, reso locus amoenus dalla plurisecolare presenza – fisica e poi memoriale – d’una frondosa quercia, denominata “quercia di san Filippo, volgarmente detta del Tasso”, come recita la didascalia d’una anonima acquaforte d’inizio Ottocento esposta al Museo di Roma in Trastevere, in una mostra a cura di Roberta Perfetti e Silvia Telmon.

Che tristezza, senso d’abbandono e di oblio, come fosse una decaduta RSA della memoria, davanti a quel tizzone annerito cui è ridotta la quercia più celebre di Roma, atterrata nel 1843 da un fulmine e mai più ripresasi, nonostante vari tentativi di rivitalizzarla.

Eclatante paradosso d’un gigante arboreo vivente divenuto rimpicciolito, morto e malcustodito cimelio, eppure tuttora fonte d’una vasta risonanza. Come eco squillante di voce ormai spenta, la quercia – cui si giunge superando il Vaticano e salendo, a man destra, sul trasteverino colle Gianicolo, qui detto un tempo anche “Monte Ventoso” e oggi sito di patrie memorie e di dilettevole spasseggio – racconta storie, come quella di san Filippo Neri, vera origine della fama quercesca. “Pippo bono” nel 1583 aveva fatto “risuscitare”, per breve tempo, il giovane nobile Paolo Massimo appena deceduto, intrattenendosi con lui per qualche minuto (e da allora la famiglia Massimo apre al pubblico la stanza del ragazzo ogni 16 marzo, data del prodigio); per riconoscenza la zia di Paolo, Plautilla Lante, prestò a Filippo un pezzetto di terra adiacente alla villa sul Gianicolo da poco acquistata che s’ergeva panoramica (hinc totam licet aestimare Romam) sulla Città eterna, e lì il santo sacerdote prese a radunare i suoi ragazzi e a infervorarli alla fede, alla musica e al teatro: “Tra liete grida si faceva coi fanciulli fanciullo, sapientemente” si legge sulla lapide lì posta a fine XIX secolo. I celebri “trattenimenti devoti” filippini.
La mostra dedicata alla quercia si intitola però “L’albero del poeta”, giacché l’albero non a Filippo è associato, bensì a Torquato Tasso, che negli ultimi mesi di vita soggiornò nel convento dei padri girolamini: “Mi son fatto condurre in questo Monastero di Sant’Onofrio non sol perché l’aria è lodata da’ medici che più d’alcun’altra parte di Roma, ma quasi per cominciare da questo luogo eminente, e con la conversazione di questi devoti padri, la mia conversazione in cielo”. Tasso avrebbe trascorso molte ore alla frescura dell’arboreo colosso, mentre non c’è da prestar fede alla credenza secondo cui sotto quelle fronde il tormentato poeta sorrentino abbia posto mano e ritoccato per l’ennesima volta la sua Gerusalemme liberata. 


Fatto sta che grazie alla sua fama di artista sopraffino, ma travagliato da precarietà psichica e dall’incomprensione e persecuzione dei contemporanei – notorietà amplificata al massimo da Johann Wolfgang von Goethe, uno degli eccellenti grand touristi del Gianicolo, col suo dramma Torquato Tasso – la stanza del suo decesso e la quercia son diventati un santuario culturale preromantico (Giacomo Leopardi, 15 febbraio 1823: “…fui a visitare il sepolcro del Tasso e ci piansi. Questo è il primo e l’unico piacere che ho provato a Roma”; Stendhal, 7 ottobre 1828: “Quando si sentì vicino a morire il Tasso si fece trasportare qui. E non senza ragione ché questo è uno dei luoghi più belli del mondo”). Quercia di Filippo o di Torquato dunque (morti a distanza di un mese, nel 1595)? Quercia del bel volto di Roma rispondono le curatrici, come documentano stampe, incisioni, schizzi, acquarelli, acqueforti e dipinti in mostra, nei quali la quercia è protagonista. Iconici souvenir de Rome, riprodotti e smerciati in tutta Europa, in cui la rigogliosa quercia incornicia il panorama sottostante, come nel caso del magnifico olio su tela di Arthur John Strutt. Oggi quell’antica cartolina romana è degradata, irriconoscibile, dimenticata. Di qui un contrappello al plotone di artisti guidati da Martin Scorsese, riuniti in un recente appello per salvare dalla speculazione edilizia i luoghi culturali di Roma: anche incuria e oblio depauperano culturalmente l’Urbe che adorate, ergo, Paperoni di Hollywood, mettete mano al portafogli e ripristinate dignità a Torquato, alla sua quercia e a Roma. 

Di più su questi argomenti: