(Unsplash)

Romanzi scritti dalle donne per le donne

Le protagoniste dei nuovi bestseller sono eredi di Liala, ma più femministe

Lucetta Scaraffia

Qualcosa è cambiato nell'immaginario e nei sogni femminili, anche nei più incofessati. Se un tempo, leggendo il vecchio rosa, rimpiangevano amori mai vissuti, principi mai arrivati, oggi a queste si aggiunge la frustrazione della mancata affermazione professionale

Le donne leggono molto più degli uomini, ma in prevalenza romanzi. Era così nell’800, quando è nato il genere romanzo, ed è così ancora oggi, come ci confermano tutte le classifiche di libri venduti. Qui non intendo però parlare di quei romanzi che entreranno nella storia della letteratura, come per esempio gli scritti di Elena Ferrante o Elisabetta Rasy, ma di quelli più modesti che furoreggiano in testa alle classifiche. Non solo sono donne quelle che li leggono, ma pure quelle che li scrivono: i best seller, spesso anche quelli di più lunga durata nella classifica, sono opera di autrici che nascono come outsider della letteratura, donne che spesso oggi esercitano altri mestieri – insegnanti, avvocati, medici – ma che negli spazi di tempo libero si sono buttate a scrivere romanzi, e romanzi di successo. Sono come le ciliegie: non solo in genere sono molto prolifiche, ma l’una ispira l’altra, sia nella scelta dello pseudonimo inglese, sia nelle caratteristiche della trama. Perché, bisogna riconoscerlo, le trame sono molto simili, l’unica variante si trova nel ricorso a episodi erotici, che può non esserci affatto, essere blando – il cosiddetto porno soft – o più ampio. Se pure in altra forma, si ripete la vecchia esperienza di successo della serie Harmony, che offriva – ma forse lo fa ancora – due linee di narrativa, una più romantica e una romantico erotica. E ricordiamo che anche per Harmony i nomi delle scrittrici erano inglesi, anche se quasi sempre pseudonimi di scrittrici italianissime, come la mamma di Giorgia Meloni, che allevò due figlie grazie a questa sua vocazione di romanziera.


Accanto a queste finte inglesi oggi in testa alle classifiche ci sono scrittrici con il loro vero nome italiano, e sono le più brave – anche se non sempre quelle che vendono meglio – che hanno anche ottenuto la trasposizione dei loro scritti in opere cinematografiche o serie televisive. Cioè la massima consacrazione. Come Stefania Auci, autrice della saga sulla famiglia Florio – I leoni di Sicilia  –  che è diventata una serie televisiva di successo ed è anche riuscita ad incrementare il turismo nell’isola, oltre alla vendita del Marsala. La saga storica – da poveri emigrati calabresi a re della borghesia emergente isolana – si prestava alla rievocazione, a cui dava corpo l’esistenza delle ville da loro costruite e abitate negli anni della ricchezza. Un esempio di eccezionale capacità commerciale intrecciata a complicate vicende amorose, che stava lì pronta da tempo senza trovare il suo autore, o meglio la sua autrice, che oggi, come professoressa, ha assicurato una più che dignitosa cornice storica. L’idea della saga familiare, nella quale ovviamente il protagonismo delle donne si può dispiegare, ha dato luogo a svariate imitazioni, più o meno riuscite, più o meno di successo. Il protagonismo assicurato alle donne – d’obbligo per interessare il pubblico femminile – induce anche ad attribuire spesso iniziativa e volontà di indipendenza a donne che forse nella realtà non riuscivano neppure a pensarle. Ma non si può fare altrimenti: il tempo delle donne vittime, passive nel sopportare le decisioni altrui è finito: nessuna lettrice di oggi le leggerebbe, ormai sono tutte nel profondo del cuore femministe. Avviene così che donne vissute nel passato tradite e trascurate, che avrebbero trovato qualche soddisfazione solo nei gioielli e nella vita mondana, vengono descritte come protagoniste di salvataggi commerciali, progetti culturali, tentativi di sperimentare vie dell’arte. Nessuna sembra essersi rassegnata alla sua sorte: tutte vengono descritte come potenziali ribelli, anticonformiste e coraggiose. Nell’affermare questa nuova tendenza le autrici che si sono tenute più lontane dalla realtà storica sono quelle che hanno potuto sbizzarrirsi più liberamente.


Prendiamo ad esempio La portalettere di Francesca Giannone, di lungo ed eclatante successo, che sta diventando una serie televisiva. La protagonista è una giovane donna dell’Italia del Nord che, negli anni 20 e 30 del ’900, per amore si trasferisce in Puglia, dove il marito dirige un’azienda agricola. Qui non fa che dare scandalo con il suo comportamento moderno: gira in bicicletta, lavora come portalettere anche se di famiglia benestante, protegge le donne povere in pericolo. Incrocio insomma fra una suffragetta e una suora di carità, ma graziosa, che vive un idillio mai consumato con il cognato  che la capisce e l’ammira molto più del marito, restìo ad accettare tanta modernità. In questo romanzo la differenza fra un Nord più moderno – forse però non così tanto come viene dipinto – e un Sud arretrato, viene esasperata dalla protagonista, che risulta molto più “emancipata” e coraggiosa di quanto la realtà del tempo consentisse a una madre di famiglia. Ma è proprio questo, e non la sua credibilità storica, che ne ha decretato il successo. In questo romanzo – La portalettere – comincia a comparire anche un filone politico, che conoscerà fortuna: sempre una fortuna antifascista. La protagonista, femminista ribelle, coglie subito nel fascismo l’aspetto misogino e si schiera contro.


Antifascista è anche Beatrice,  – così come il padre che lavora all’ambasciata d’Italia a Londra negli anni del fascismo – la protagonista dei romanzi di Alessia Gazzola, che intreccia la trama rosa con qualche elemento di giallo. Decisamente attratta dai giovinotti aristocratici, ma anche lei decisa a “realizzarsi” per conto suo, magari creando originali paralumi, miss Bee – così la chiamano gli inglesi – naturalmente molto bella e capace di abbigliarsi con originale eleganza, anche se povera rispetto all’aristocrazia con la quale vuole mescolarsi, sfiora appena l’incidente erotico, pur non arrivando mai alle ovvie conseguenze finali. Anche lei, ovviamente, come antifascista è ribelle al ruolo imposto alle signorine dell’epoca, è “creativa” e naturalmente molto intelligente: risolve ogni delitto, e si nega al momento opportuno ai corteggiatori aristocratici.  Una  Liala  rivisitata, come tutte le altre. Si torna al tema storico con un altro recente successo, La prima regina di Alessandra Selmi. Protagoniste la regina Margherita e la sua cameriera, Ottilia. Qui la regina è un po’ sullo sfondo – anche se non ci viene risparmiata la minuziosa descrizione del primo amplesso fra lei e Umberto – la vera protagonista è Ottilia, una giovane povera ma piena di idee, che di nascosto scrive racconti per una rivista, e frequenta giovanotti politicamente impegnati, coinvolti nell’omicidio del re. Anche Ottilia – se pure povera e ingiustamente umiliata nel suo ruolo di cameriera – non vuole pensare al matrimonio, ma alla sua “realizzazione” come scrittrice. 


Ma non ci sono solo scrittrici. Stupisce trovare lo stesso tipo di trama nell’ultimo romanzo scritto da Dario Franceschini, Aqua e tera: due donne, ovviamente bellissime, protagoniste, sullo sfondo la lotta antifascista, con uno scatto di modernità: la storia d’amore è lesbica e il figlio di una di loro sarà considerato come figlio dall’altra. Anche qui evidenti forzature nella ambientazione storica: mentre i fascisti ovviamente perseguitano le due povere lesbiche, i braccianti invece le accettano di buon grado, dando prova di una apertura mentale del tutto improbabile. Purtroppo però Franceschini deluderà le sue lettrici su punti essenziali: non descrive come si vestono e, soprattutto, niente lieto fine. Nessuna delle autrici fin qui nominate commetterebbe mai questo errore. Infatti il  successo di Franceschini è stato molto inferiore al loro. Niente politica, invece, ma solo schermaglie amorose e lieto fine nelle nuove epigone di Liala, quelle che vendono tanto senza nessuna ambizione di essere considerate autrici di vera letteratura. Parlo delle due più vendute, Felicia Kingsley (architetto) e Anna Premoli (economista), entrambe tradotte in inglese: anche le emancipate donne anglosassoni amano il rosa, dunque! In genere l’uomo che finirà per sposare la protagonista è impegnato nella finanza, e – questa è la novità – bellissimo, con i muscoli scolpiti. Dovrà usare tutte le sue armi per convincere la protagonista, bella e ritrosa, ad interessarsi a lui invece che alle mille prospettive del suo avvenire professionale, il suo vero centro di interesse. Mi sembra che – tenuto fermo questo plot – possa variare solo il ricorso all’erotismo: Premoli più prude di Kingsley ma chissà, ho la sensazione che ne vedremo ancora delle belle…

Tutte letture di evasione, nel senso letterale di fuga immaginaria da una quotidianità noiosa e forse anche squallida, le quali non si basano più, però, sulla tradizionale figura del principe azzurro, ma che devono ormai – per essere presentabili – offrire anche la realizzazione professionale. Sono la prova che qualcosa è cambiato anche nell’immaginario, nei sogni delle donne, anche nei più inconfessati. Ma qui si apre un baratro: se proviamo a immedesimarci nelle lettrici, che probabilmente hanno una vita priva di prospettive di “realizzazione” personale, la frustrazione al momento di ritorno alla realtà sarà ancora più forte. Se un tempo, leggendo il vecchio rosa, rimpiangevano amori mai vissuti, principi mai arrivati, oggi a queste si aggiunge la frustrazione della mancata affermazione professionale. E se, nel primo caso, almeno metà della colpa si poteva attribuire al principe distratto, nella seconda è difficile sfuggire al senso di incapacità e di inferiorità che può cogliere una donna che magari non ha mai  pensato di costruire nulla, neppure paralumi. Cosa succederà quando se ne accorgeranno?

Di più su questi argomenti: