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Non solo punizione

Tra le mura del carcere va in scena l'opera di Verdi. Un progetto che unisce arte e dolore

Mario Leone

“Rigoletto” alle Vallette di Torino con le scene allestite dai detenuti (attesi in futuro al Regio): la bellezza della musica e del melodramma lega insieme teatro e riabilitazione

Che cosa significa pagare per degli errori commessi? Il carcere può essere luogo di vera riabilitazione umana? Sono tante le domande che si susseguono quando si parla di reato, pena, colpa, ma anche di libertà. Argomento delicatissimo, perché ci sono delle vittime, ci sono dei colpevoli, ma soprattutto ci sono uomini: persone a cui la vita, a un certo punto, si è drammaticamente complicata. Nella casa circondariale “Lorusso e Cutugno” di Torino – più nota come “Vallette” – sta per inaugurarsi un progetto in cui la bellezza incontra il dolore e l’abbandono. E’ la bellezza della musica e del melodramma a unire teatro e carcere della stessa città. Per la prima volta, il Teatro Regio porta l’opera all’interno della casa circondariale: il Rigoletto di Giuseppe Verdi, in una versione curata da Vittorio Sabadin. Negli stessi giorni, il capolavoro verdiano è in scena al Regio, con la direzione di Nicola Luisotti e la regia di Leo Muscato. Quello proposto alle Vallette vede protagonisti il Regio Ensemble: Janusz Nosek (Rigoletto), Albina Tonkikh (Gilda), Daniel Umbelino (il duca di Mantova), Siphokazi Molteno (Maddalena), Tyler Zimmerman (Sparafucile e il Conte di Monterone). Nel cast, c’è anche l’attrice Chiara Buratti.

“Quello che mi ha impressionato – dice Cristiano Sandri, direttore artistico del Regio – è l’immediato coinvolgimento di tutte le persone che ho interpellato. Tutti hanno aderito prontamente, dimostrando un fuoco e una passione contagiosa.” Al centro del progetto c’è la persona – prima di tutto, i detenuti. Alcuni hanno costruito le scenografie, realizzando praticabili, sgabelli, pedane e oggetti di scena in legno, e dipingendo i periacti. Dunque, non si tratta solo di uno spettacolo, ma anche di un’esperienza che unisce formazione e partecipazione attiva.

“Questa iniziativa ha un valore davvero speciale – dice Stefano Lo Russo, sindaco di Torino e presidente della Fondazione Teatro Regio – perché è l’occasione per ribadire che il carcere deve avere un ruolo di educazione e riabilitazione, oltre che di semplice punizione, mettendo in primo piano il rispetto e l’importanza delle persone, che non devono mai essere perdute di vista”. Lo spettacolo va in scena nel teatro del carcere e, per il momento, non sarà aperto al pubblico esterno, ma dalle parti del Regio si guarda già al futuro. “E’ un progetto che vogliamo rendere stabile – continua Sandri – proponendo ogni anno almeno un’opera e coinvolgendo sempre più detenuti e il pubblico esterno. Non è semplice, perché ci sono numerosi passaggi burocratici che devono essere considerati”.

Intanto si va in scena e, tra le mura del carcere, cresce l’attesa. “A opera conclusa, vogliamo raccogliere i pareri dei detenuti – dice Sandri –. Tutti stanno lavorando strenuamente e non vedono l’ora di assistere allo spettacolo”. Il futuro è tutto da scrivere. Sandri, però, ha ancora un desiderio: “Il mio sogno è quello di poter ospitare regolarmente i detenuti al Regio. E’ tra le missioni di un vero teatro. Fare cultura significa anche questo”.