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La sofisticata arte di scegliere il posto in treno secondo Björn Larsson
Senza regole e meccanismi del “poème de métro”, lo scrittore svedese racconta la sua vita da pendolare, fra preferenze su chi vuole il finestrino o il corridoio, guerricciole per il bracciolo e altre fissazioni. Dalla Danimarca alla Svezia, e ora anche in Italia
I poeti dell’OuLiPo – c’erano Raymond Queneau, George Perec, Italo Calvino – coltivavano la letteratura “fatta a macchina”, secondo regole e vincoli. Per esempio, i “Poèmes de métro”. Nel 1995, Jacques Jouet (vuol dire “giocattolo”, non abbiamo mai controllato se è il nome vero o uno pseudonimo) descrive così le poesie scritte in metro. Non in generale, su linee precise – Parigi ne ha tante, Londra pure, Milano e Roma offrono meno varietà.
Per fabbricare un “poème de métro” bisogna scegliere un percorso, contare le fermate e sottrarne una. Il primo verso va pensato tra la prima e la seconda stazione, scritto durante la sosta. Quando la metropolitana riparte bisogna pensare il secondo verso, e trascriverlo alla terza fermata. Mai trascrivere quando il treno viaggia. Mai comporre quando il treno è fermo. L’ultimo verso, sul marciapiede della stazione.
Non un lavoro da pendolare, come Björn Larsson è stato per gran parte della vita. Tra Danimarca e Svezia, e ora anche in Italia. Prima aveva vissuto tre anni a Parigi, i lettori italiani lo conoscono (soprattutto) per “La vera storia del pirata Long John Silver”. L’ultimo pendolarismo, per amore, è nella piantina che apre il nuovo volumetto. Conduce lo scrittore svedese dalle parti di Milano. Il luogo si chiama Sedriano, per essere precisi (9 ore di viaggio quando va bene, al cuore non si comanda). In “Filosofia minima del pendolare” (Iperborea) racconta tutto.
Senza regole e senza i meccanismi dell’OuLiPo – che sta per “laboratorio di letteratura potenziale”, pochi testi leggibili li ha pure prodotti – Larsson osserva e prende nota. Per esempio, sulla complicata arte di scegliere il posto in treno. Non è detto che per i pendolari sia più facile, o che non ci facciano caso. Alcuni vogliono andare nel senso di marcia, altri vogliono stare con le spalle al moto (e trovano più posti liberi). Chi vuole il finestrino e chi vuole il corridoio. Poi c’è la borsa sul sedile, e altri trucchetti, come fingersi addormentati (la borsa tiene lontano i timidi che non osano chiedere: “E’ libero?”, vale anche ai festival di cinema affollati). C’è la guerricciola per il bracciolo, e altre fissazioni: uno si siede subito, l’altro prima sistema borse e cappotto, pure la valigetta per il computer.
L’aereo peggiora le cose, le sale d’attesa comode un po’ le migliorano. Sempre che non abbiano, come nella provincia italiana, ancora le panche in legno. Al capitolo “Insulsaggini”, un po’ di “discorsi da treno”. In Italia “butta la pasta”, su al nord “butta le patate”. Larsson cita uno studioso, autore – se anche questo non è un titolo costruito in base alle regole dell’OuLiPo – di “Cialtronologia. Fisiologia e tecnica delle scempiaggini”. L’ipotesi è che le chiacchiere degli umani abbiano lo stesso scopo dello spulciarsi a vicenda delle scimmie: tengono insieme la società.
Larsson riporta un “sì mamma, ho mangiato!” (in italiano nel testo), colto al volo dalla telefonata di una studentessa universitaria in trasferta. “C’è mancato poco che ci divertissimo!”, è una danese che racconta il suo Capodanno. La suocera dello scrittore – che ama riferirsi a se stesso sempre come “il testimone” – chiede ai parenti in Salento: “Novità? Morti?”. Il testimone ha 40 anni e centinaia di viaggi alle spalle, e ancora non resiste alle acrobazie necessarie per sbirciare il titolo del libro letto da un altro passeggero. A Milano succede di rado: trovare qualcuno che legga un libro non scolastico in metropolitana è rarissimo.
Vale comunque e sempre, dappertutto, la regola aurea del pendolare: “Prendi il primo treno che arriva al binario. Del futuro non ci si può fidare”. Neanche lassù, nel profondo nord.