
Aristotele Onassis a una festa di Carnevale nel ’67 (foto Olycom)
Aristotele Onassis, il megalomane del Novecento
La sua favola mediterranea non ha nulla a che fare con gli oligarchi di oggi. Il bel libro di Anna Folli, “Prendersi tutto”, ne ripercorre con grazia la vita rampante, prestando un occhio attento al contesto storico
A voler scrivere una storia della megalomania del Novecento, secolo in cui vigeva ancora la separazione delle carriere tra l’ambizione politica e quella economica, Aristotele Onassis occuperebbe uno spazio centrale non solo per la ragguardevole portata della sua impresa di vita, ma anche per il vigore con cui ha tratteggiato una figura che, con molti aggiustamenti, ancora ci accompagna. Con lui nasce il self-made man globale, il “povero coi soldi” per dirla con Donald Trump, con la piscina minoica a fondo mobile e i rubinetti d’oro nel panfilo, una buona dose di ombre e una determinazione feroce – e si sottolinea feroce – a intrecciarsi con la storia del suo tempo attraverso le scelte d’amore, in particolare con Maria Callas prima e Jackie Onassis più o meno dopo. Il 15 marzo sono cinquant’anni che “Ari” è morto di una morte da tragedia, ovvero una rapida malattia seguita alla perdita di un figlio stupendo, Alexander. Il bel libro di Anna Folli, Prendersi tutto (Neri Pozza), ne ripercorre con grazia la vita rampante, prestando un occhio attento sia al contesto storico mutevole di un uomo di inizio secolo, rimasto orfano di madre e di città natale nel giro di poco, sia ai moventi psicologici e affettivi di ognuna delle evoluzioni nella sua mirabile brama di accumulo.
A Buenos Aires arriva senza niente e guadagna il suo primo milione prima dei vent’anni origliando le conversazioni degli uomini d’affari come telefonista
In un giorno mai del tutto accertato del gennaio del 1906, Onassis nasce a Smirne poco prima che Smirne muoia, in una famiglia greca molto unita e che già aveva dimostrato una marcata vocazione al successo, grazie al padre mercante di tabacco. Quando nel 1922 Atatürk si prende la città dopo giorni di massacri e devastazioni che colpiscono da vicino gli Onassis, per l’adolescente Aristotele è il primo banco di prova per mostrare la sua intraprendenza fuori scala: riesce a portare in salvo quasi tutti, tranne l’amata nonna, e a preservare parte delle ricchezze di famiglia. Un padre ingrato e molto difficile da conquistare, la fine tragica degli zii troppo schierati in politica e l’immagine di Smirne distrutta da un giorno all’altro sono i tre ricordi – traumi – che porterà per sempre con sé. La prima tappa è Buenos Aires, dove arriva senza niente e guadagna il suo primo milione prima dei vent’anni origliando le conversazioni degli uomini d’affari come telefonista e, una volta imparate un po’ di lezioni, riprendendo l’attività paterna del commercio del tabacco e cogliendo tutte le opportunità più o meno lecite di una città di avventurieri e di europei in cerca di oblio. Poi approda nel mondo del trasporto navale grazie all’amicizia con Costas Gratsos, greco come lui ma figlio di armatori e laureato alla London School of Economics, amico per la vita e spalla tecnica delle sue ambizioni. Una capacità di persuasione fenomenale lo porta a farsi strada ad Atene con Venizelos e a viaggiare per le capitali europee per il suo shopping di imbarcazioni rimaste vuote durante la crisi del Ventinove. Arriva la prima donna importante, Ingeborg Dedichen, più grande di lui e figlia di un magnate navale norvegese, si mettono insieme, lei gli insegna a stare a tavola e a limare almeno un po’ quell’aria da biscazziere levantino che non si toglierà mai del tutto e che, forse, sarà una delle ragioni della fascinazione che il grande pubblico avrà sempre nei suoi confronti. La devota Inge gli apre anche le porte dei vari salotti buoni della finanza e del settore navale nell’Europa del nord, lui ormai viaggia nelle grandi capitali e passa molto tempo a Londra, che lascia poco prima che inizi il blitz tedesco. Ha un’ammirazione sconfinata per Winston Churchill, a cui di lì a poco offrirà bellissime vacanze nel Mediterraneo.
La rivalità con Stavros Niarchos, i figli Alexandros e Christina. Le sue donne-simbolo non sono modelle, ma quelle che si portano dietro un’aura
Apolide nell’anima, si trasferisce a New York e lì porta tutta la famiglia, confrontandosi con la comunità rigida e conservatrice degli armatori greci della generazione precedente, gente fiera e poco aperta nei confronti di uno che non ha più una città di provenienza e che non ha intenzione di apparire diverso da com’è, a differenza dell’eterno rivale e futuro cognato geniale, Stavros Niarchos, che invece fa di tutto per comportarsi come un aristocratico e parlare il linguaggio della distinzione. Il più potente di tutti è Stavros Livanos, uomo all’antica, radici nell’isola di Chios, votato agli affari, al risparmio e alla famiglia. Ha due belle figlie, Eugenia e Athina, ma quest’ultima è più carina, bionda, vivace, e piace sia a Niarchos che a Onassis, che dopo una corte serrata la spunta e riesce a sposarla, sebbene lei abbia solo 17 anni e nessuna idea di quello che l’aspetta con questo ruvido ultraquarantenne. Poco dopo Eugenia sposa Niarchos e la vita va avanti così, di competizione in competizione, a corroborare quell’aura di mito che circonda tutto quello che fa Onassis. Lui del mito si nutre, lo conosce, si vanta di venire dalla città di Omero, si rilegge l’Iliade di notte – dorme pochissimo, si è addestrato a rinunciare al sonno per sfruttare meglio la vita – e la recita agli amici.
La sua immagine umana incredibilmente ne giova: uno squalo, ma non un traditore, con una radicale fedeltà a sé stesso, un passato tragico e un antagonista di tutto rispetto, a cui guarda ossessivamente anche quando ci sarebbero cose più interessanti da fare, tipo conoscere il vicino di casa in Costa Azzurra, Pablo Picasso. I due rivali non si fermano davanti a niente, Aristotele fa due figli con “Tina”, prima Alexandros e poi qualche anno dopo, non voluta, Christina, bambina con le occhiaie e il naso del padre, povera ragazza ricca il cui nome è stato usato per uno yacht più amato di lei, bersaglio prediletto dai rotocalchi che ne descrivevano i drammi sentimentali e ne enfatizzavano il fisico molto mediterraneo, così lontano da quello della bella madre. Che comunque a un certo punto è costretta a mollare pure lei perché sul Christina O., castello sull’acqua con gli sgabelli da bar foderati in pelle di scroto di balena, spinta dalla giornalista Elsa Maxwell, sale Maria Callas, icona greca di fama stellare, insieme al marito Meneghini, che ci mette poco a capire che era meglio restarsene nella casa di Sirmione. Con Aristotele la fiammata parte subito, si amano, si capiscono, litigano tanto, lei si appassiona di navi, lo ascolta, lui è esaltato dalla sua carriera, cerca di rilanciarla, sono i due greci più famosi del mondo, lei è più giovane ma non è ancora la stagione in cui si cerca tutti di sembrare ragazzini, essere adulti va bene, conferisce qualcosa di eterno. Maria rimane incinta, il bimbo – Omero – muore poco dopo la nascita, la relazione è violenta, lei è sempre più instabile, lui sempre più duro. Nel frattempo, Onassis sta raccogliendo l’ingratitudine del principe Ranieri dopo averlo aiutato a rilanciare un principato di Monaco in bancarotta, rilevando la Société des Bains de Mer e facendo di Monte Carlo un magnete per i ricconi di tutto il mondo, un luogo in grado di far sognare: solo che l’arrivo di Grace Kelly, se da una parte ammanta tutto di un glamour inarrivabile, dall’altra segna la fine di Aristotele, che l’ex attrice è troppo snob per sopportare.
Anna Folli nel suo Prendersi tutto ha fatto un lavoro notevole nel cercare una direttrice nella biografia di un personaggio all’inseguimento di un’idea di gloria che potremmo definire olistica: tutto quello che porta lustro, dai soldi allo splendore al potere alle donne-simbolo – non le modelle, ma quelle che si portavano dietro un’aura – doveva essere suo. Una gazza ladra brizzolata e con gli occhiali spessi. Usando la politica senza mai avere la tentazione di entrare nell’arena, anche un business non così lucrativo come Olympic Airlines aveva senso, davanti al prestigio che dava l’essere il principe dei cieli greci. Non ha cercato di cambiare il mondo, come certi oligarchi di nuovo conio, e certo l’epica discreta ma altrettanto eccezionale di Gianluigi Aponte, armatore di Sant’Agnello ormai residente in Svizzera, sposato da sempre con la donna con cui ha costruito tutto dal niente dopo averla incontrata su un traghetto per Capri di cui lui era capitano, è quanto di più lontano ci sia dalla poetica esibizionistica di Onassis. Anche se le traiettorie e soprattutto i punti d’arrivo hanno qualcosa in comune: Msc, Mediterranean Shipping Company, di Aponte ha superato Maersk, gestisce il 20 per cento del trasporto marittimo globale, e lui ha un patrimonio di 37,7 miliardi di dollari secondo Forbes. Onassis cercava altro e anche se le tecniche negoziali possono ricordare quelle di un riccone balzachiano che balbetta per sfiancare l’interlocutore e ottenere tutto quello che vuole – lui predilige le trattative notturne, in cui sa di avere la meglio visto che non dorme – non ha nulla dell’avaro, anzi, l’esibizione è parte del suo progetto, del suo self-fashioning da novello Ulisse con una punta di Padrino.
Tornando alla sua vita privata, che privata non è mai stata, a un certo punto conosce Jackie Kennedy, dopo aver avuto anche un flirt con la sorella Lee, poco prima prima dell’assassinio di Dallas. Le offre turismo d’alto bordo sulla Christina e protezione dagli sguardi indiscreti mentre si riprende dalla perdita di un figlio appena nato, dai tradimenti dell’amatissimo marito presidente, che da lì a poco viene ucciso, facendo di lei un’icona avvolta in uno Chanel insanguinato. I Kennedy odiavano Onassis, per i suoi scandali e i suoi problemi con la legge, i suoi accordi con i sauditi e, principalmente, quella volgarità esibita che sapeva di passato torbido e successo raggiunto con mezzi discutibili, forse troppo simili a quelli del primo Patrick Kennedy, arrivato dall’Irlanda con nulla. E per Ari si presenta l’occasione di sposare la donna più famosa del mondo, Jacqueline, vedova da qualche anno e incapace di superare il trauma da una parte, ma anche di trovare un altro uomo in grado di finanziare la costosissima semplicità del suo stile di vita. Se Alexandros e Christina Onassis odiavano Maria Callas, nei confronti della vedova di Jfk i Kennedy avranno un’avversione viscerale. Non che la coppia si mostrerà mai particolarmente affiatata, anzi. Dopo il matrimonio sull’isola privata di Skorpios, feudo di Aristotele che aveva cercato invano di comprare Itaca, senza riuscirci, Jackie farà quello che anni prima aveva fatto per la Casa Bianca: una bella, costosissima ristrutturazione. Cosa che avrebbe fatto anche col Vaticano se avesse potuto, secondo gli amici; ma lui è tutt’altro che entusiasta, lei spende davvero troppo, se le piacciono delle scarpe ne compra trenta paia e i pettegoli dicono pure che lei fa degli accordi con i commessi per riportarle in negozio e prendersi i soldi in cash. Comunque si vedono poco insieme, basta il nome, la foto di tanto in tanto, l’avere accanto un pezzo di storia americana, anche se negli Stati Uniti la scelta di lei non piace, come se avesse disonorato la memoria del presidente. Lui ha tutto, ma il cuore è ancora con Maria Callas, che va a trovare a Parigi e che accetta più o meno la situazione, così come la accetta l’altra. Le foto di loro due insieme hanno qualcosa di magnetico, emanano un fascino eterno, sembra di vedere la foto dei nonni in un giorno di festa.
Non è stato un innovatore né un visionario, a lui bastava possedere il vecchio mondo. In questa semplicità sta il fascino della sua parabola
Poi la tragedia colpisce e il figlio Alexandros muore in un incidente aereo assurdo. E’ il 1973, Folli racconta in pagine avvincenti come l’onnipotenza vada a sbriciolarsi contro la realtà della vita, come a Smirne, come quando la volontà non basta più. Nel frattempo Onassis fa accordi con i regimi più corrotti, è vicino ai colonnelli in Grecia, non si ferma davanti a niente, non vuole che la figlia sposi un ebreo perché ha paura che la cosa lo danneggi nel mondo arabo. Tina, che nel frattempo ha sposato Niarchos poco dopo la morte sospetta della sorella Eugenia – barbiturici, ma con qualche segno di troppo sul collo – muore anche lei per un eccesso di farmaci e di lì a poco anche Aristotele si spegne, vittima della miastenia grave che lo tormentava da anni. E’ il 1975, Jackie eredita pochino e dà battaglia, Christina resta sola e riempie i vuoti con il cibo, si fida solo della gente che può pagare, ha una figlia con un aitante francese erede di una casa farmaceutica (ma che chiede soldi per stare con lei). Muore giovane, infelice, nel 1988 a Buenos Aires, la città dove tutto era iniziato. Il jet set infelice di quegli anni perde la sua regina. Nel frattempo sono arrivati altri oligarchi, entrati nei palazzi del potere dalla porta principale, non più solo per chiedere favori, hanno esteso la loro immagine di gloria e con le loro idee geniali hanno rivoluzionato il mondo. A Onassis non è mai interessato, non è stato un innovatore e sicuramente non un visionario, a lui bastava possedere il vecchio mondo. La sua è una favola mediterranea polverosa ed eterna, un capitolo della storia dell’ambizione vieux jeu. E in questa linearità, questa semplicità di tratto e di intenzione si trova il segreto dell’interesse che la sua parabola può avere. E’ la forza delle idee platoniche: sono la forma pura.


Una fogliata di libri
Saper scrivere (e leggere) è un fatto d'orecchio
