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la storia

Quirico Filopanti, il visionario italiano che anticipò i fusi orari e la rivoluzione del tempo

Massimiano Bucchi

Scienziato, politico e scrittore, il garibaldino fu il pioniere della proposta che avrebbe unificato il mondo attraverso la divisione del globo in fusi orari, un'idea che divenne realtà solo decenni dopo. Una vita dedicata alla scienza e alla lotta per la democrazia, ma ignorata troppo a lungo dal suo stesso tempo

"Ah! quel briccone che mi raccontava tante storie sui meridiani, sul sole, sulla luna! Se si desse ascolto a lui e ai suoi simili, si fabbricherebbero davvero dei buoni orologi! Ero ben sicuro che un giorno o l’altro, il sole si sarebbe deciso a regolarsi sull’orologio mio! Passepartout non sapeva questo: che se il quadrante del suo orologio fosse stato diviso in ventiquattro ore, come quello degli orologi italiani, non avrebbe avuto nessun motivo di rallegrarsi, perché avrebbe capito che le sfere del suo orologio segnavano le nove del mattino, mentre quelle del cronometro di bordo segnavano le nove della sera, vale a dire la ventunesima ora dopo mezzanotte; differenza corrispondente appunto a quella che passa tra il meridiano di Londra e il centottantesimo meridiano”

(Jules Verne, Il giro del mondo in ottanta giorni, 1873).

Quando Jules Verne scrive Il giro del mondo in ottanta giorni, uno dei suoi libri di maggiore successo, la suddivisione del globo in fusi orari non è ancora una realtà, un accordo internazionale destinato a rivoluzionare i trasporti e il commercio. La proposta di introdurre la suddivisione è infatti di qualche anno dopo, proviene dall’ingegnere capo delle ferrovie canadesi Sandford Fleming, e sarà proposta ufficialmente a livello internazionale solo nel 1884. Con il suo caratteristico fiuto e senso di preveggenza, nel romanzo Verne costruisce un colpo di scena formidabile e per gran parte dei lettori dell’epoca inaspettato: Phileas Fogg vince per un soffio la scommessa di compiere un viaggio intorno al mondo in ottanta giorni, avendo guadagnato un giorno viaggiando verso est. 

Tuttavia, qualcun altro aveva avuto molti anni prima di Fleming e Verne quell’intuizione: si trattava di uno scienziato, scrittore e uomo politico italiano oggi quasi dimenticato: Quirico Filopanti, nome d’arte di Giuseppe Barilli

Barilli nasce a Budrio, in provincia di Bologna, il 20 aprile 1812, da una famiglia con pochi mezzi economici, in cui il padre è falegname. Studia al seminario e poi all’università, laureandosi in Matematica e Filosofia (all’epoca unite in un un’unica facoltà) dopo iniziali studi in Teologia. Fin da giovane coltiva numerosi interessi: scienza, letteratura, politica, ambiziosi progetti tecnici tra cui un nuovo tipo di idrometro e un progetto per la linea ferroviaria Roma-Civitavecchia. Appassionato di storia classica e fautore dell’importanza del progresso sociale e civile, nel 1837 assume lo pseudonimo di Quirico Filopanti (“colui che vuol bene a tutti”). Un nome in linea con la sua figura bonaria, capelli folti e baffoni alla Mark Twain, sempre impeccabile in marsina e cappello a cilindro come nel ritratto che ne farà Riccardo Bacchelli ne Il Mulino del Po (1938). “Faccia di galantuomo il buon Quirico: gli occhi limpidi, la fronte chiara, la bocca schietta, le guance pacate, il mento mansueto, il bel paio di baffi rigogliosi e brizzolati, e l’onesta zazzera, che soleva uscire abbondante e riccioluta di sotto il cappello a cilindro […] e il perpetuo sigaro toscano fra le labbra, eran ormai da anni e anni i contrassegni del suo dignitoso portamento e della figura popolarissima in Bologna”.

Una decina di anni dopo diviene professore di Meccanica e Idraulica all’Università di Bologna. Ma la politica esercita su di lui un richiamo troppo forte. Portatore di un “ideale mazziniano dell’unità permeato di venature sociali sansimoniane”, è dapprima attivo in Romagna e a Bologna, poi a Roma. Alla fine del 1848, con Pio IX rifugiatosi a Gaeta, si unisce alla richiesta di un’Assemblea costituente. Una volta eletto all’Assemblea, Filopanti è uno degli estensori del “Decreto fondamentale” che dichiara decaduto il potere temporale del Papa scrivendo che “la forma di governo sarà la democrazia pura e prenderà il glorioso nome di Repubblica romana”. Nello stesso decreto propone, vincendo le resistenze di altri rappresentanti, di assegnare alla Repubblica il compito di curare “il miglioramento morale e materiale di tutti i cittadini”. 

Con l’arrivo delle truppe francesi e la fine della Repubblica romana, Filopanti è costretto all’esilio, trovando rifugio dapprima in Inghilterra, poi negli Stati Uniti. Si stabilisce a New York dove frequenta altri esuli politici italiani, perlopiù repubblicani mazziniani. Nel 1850 è nel comitato che accoglie Garibaldi al suo arrivo negli Stati Uniti. Garibaldi è ospite di Antonio Meucci sull’isola di Staten Island, dove l’inventore che in seguito si disputerà con Bell l’invenzione del telefono ha allestito una fabbrica di candele. Nella stessa casa per un certo periodo va ad abitare anche Filopanti. “Io ebbi la fortuna di abitare per qualche tempo nel 1850”, ricorderà anni dopo, “sotto un medesimo tetto con Garibaldi, a Staten Island vicino a Nuova York in America, presso Antonio Meucci, il quale fabbricava le candele steariche con un nuovo metodo da lui inventato. Vidi spesso Garibaldi aiutare qualche volta manualmente il nostro buono ospite nella fabbricazione delle candele. Poscia Garibaldi riprese la sua primitiva carriera di marinaio”.

Nonostante l’esilio, gli anni americani sono per Filopanti densi di attività e interessi: articoli, conferenze pubbliche, progetti. E’ tra l’altro uno dei primi a produrre uno studio sistematico di un dirigibile per gli spostamenti in zone non raggiunte da navi o treni, ad esempio verso la costa occidentale degli Stati Uniti. Il suo progetto prevede “una nave aerea capace di trasportare 328 persone, di forma oblunga di circa 300 metri, riempita d’aria ad una temperatura di 170 °C più alta rispetto all’aria esterna, mossa a terra da una macchina a vapore a una velocità di circa 18 chilometri all’ora”. 

Per motivi mai del tutto chiariti, alla fine del 1851 Filopanti lascia gli Stati Uniti per l’Inghilterra. Forse pesano le crescenti difficoltà economiche, forse ancora una volta il suo impegno politico: il suo nome infatti figura in una lista di mazziniani potenzialmente pericolosi inviata dal rappresentante del Regno sabaudo a Washington a Cavour, che potrebbe averne chiesta l’espulsione al governo americano. A Londra, oltre a incontrare Mazzini, Filopanti riprende i suoi studi pur trovandosi ormai in grave povertà. Qui tra il 1858 e il 1859 pubblica in inglese Miranda. A Book Divided into Three Parts Entitled Souls, Numbers, Stars col quale intende fondare “una religione divina della ragione, della libertà e della fratellanza” mettendo insieme storia, astronomia, filosofia e matematica. In quest’opera ponderosa trova spazio la sua proposta, tanto semplice quanto rivoluzionaria. Viaggiando, osservando le rapide trasformazioni della tecnologia, infatti, Filopanti ha avuto modo di constatare il caos che regna nella regolazione del tempo e che condiziona i trasporti, il commercio, la comunicazione. Come nota lo storico Stephen Kern nel suo Il tempo e lo spazio. La percezione del mondo tra Otto e Novecento (il Mulino, 2007), “un viaggiatore da Washington a San Francisco, che avesse voluto regolare il suo orologio in ogni città per la quale passava, avrebbe dovuto farlo duecento volte”. In Francia, ogni città aveva un’ora locale, e alcune regioni quattro ore diverse. La proposta di Filopanti per mettere ordine in questa confusione è tanto semplice quanto geniale.

“Pel tempo locale dividete tutta la superficie del globo per mezzo di meridiani, in 24 zone longitudinali, o fusi, che differiscono uno dall’altro di un’ora. La prima di codeste zone avrà nel suo meridiano medio il Campidoglio e comprenderà una gran parte dell’Italia, della Germania, della Svezia e dell’Africa. Per tutto codesto fuso il giorno locale comincerà quando suonano le sei del mattino, a tempo universale. Per tutto il secondo fuso procedendo verso Occidente, il giorno civile comincerà un’ora dopo, e così via. Con questo provvedimento sarà facilissima la riduzione reciproca del tempo universale e dei vari tempi locali, gli uni agli altri. Per esempio sapremo con certezza che quando saranno 14 minuti di una determinata ora, dove che sia, saranno 14 minuti di un’ora od altra, dappertutto”.

Sepolta in quel libro astruso, nessuno o quasi apprezza l’idea, ennesima cartuccia di un uomo che ne ha sparate tante e in direzioni molto diverse. Nel 1859 Filopanti riesce comunque finalmente a tornare in Italia e riprende con più entusiasmo di prima l’insegnamento a Bologna. Spesso fa lezione fuori dall’aula universitaria portando gli studenti nelle fabbriche o sugli argini dei fiumi. Oltre alla parte tecnica, insiste sull’importanza che quei futuri ingegneri divengano una classe dirigente capace di dare il proprio contributo alla democrazia. Ma pochi anni dopo, avendo rifiutato di giurare fedeltà al Re, Filopanti è nuovamente destituito dall’insegnamento. Gli studenti lo reclamano a gran voce, e si trova l’escamotage di farlo insegnare senza che figuri ufficialmente nell’organico. Nel 1866 lo troviamo addirittura al fronte a combattere come volontario contro l’Austria al fianco di Garibaldi, con cui l’anno dopo partecipa al tentativo fallito di conquistare Roma. 

Negli stessi anni intensifica un’attività divulgativa rivolta al grande pubblico pionieristica per l’Italia, valorizzando anche la propria esperienza nel Regno Unito, dove l’hanno molto colpito i Mechanics’ Institutes per l’istruzione delle classi lavoratrici. Filopanti è fermamente convinto “che l’umanità potrà raggiungere la felicità e il benessere ai quali è destinata solo attraverso un’opera di educazione” (così una bella mostra a lui dedicata all’Archiginnasio di Bologna nel 2012).  Crede che la conoscenza, e in particolare, quella scientifica, possa offrire a tutti un’opportunità di sviluppo e riscatto sociale così come era avvenuto per lui da bambino. Così tiene lezioni popolari di astronomia nelle piazze di Bologna e nelle principali città italiane e per attirare pubblico non si fa scrupolo di condividere il palco con la banda musicale. Memorabile il resoconto che di una di queste conferenze fa lo scrittore Alfredo Testoni: “Appena seppi che il professore Filopanti si era preso l’incarico di istruire il popolo nella piazza della Montagnola senza spendere niente, ci andai una sera anch’io con la migliore volontà di imparare qualche cosa. Egli stava su di un palco certamente poco solido a giudicare dal continuo traballio, illuminato da due sole lampade a petrolio, per modo che nell’oscurità della piazza, appena appena lo si vedeva scuotere la lunga zazzera e agitare una bacchetta che aveva in mano […] Ed era tanto condiscendente verso gli ascoltatori, che appena sentiva voci e risa incredule sull’enorme distanza di una stella da noi, veniva subito a patta con il pubblico per non disgustarselo: – Vi sembrano molte centomila miglia? Ebbene dirò settantacinque mila! – E’ troppo! – si seguitava a urlare – E’ troppo! Ed egli, allargando le braccia: – Ebbene facciamo cinquantamila e non se ne parli più! Anche in quell’occasione il buon cuore di Filopanti non si smentiva!”.

Con lo stesso spirito propone con successo al comune di Bologna l’istituzione di un “cannone del mezzogiorno, per un pensiero di carità e di gentilezza verso quelli che non hanno orologio” che da allora diverrà un punto di riferimento per la vita cittadina. Le lezioni popolari iniziano a uscire in fascicoli nel 1871 con l’ambizioso titolo L’Universo: sempre più in bolletta, Filopanti ricorre a sottoscrizioni simili al moderno crowdfunding. Tra i lettori più entusiasti c’è anche Garibaldi. “Illustre sacerdote del vero”, gli scrive, “voi portate la luce alle cieche popolazioni, che dovrebbero, ascoltandovi, scuotere le meschine superstizioni che le deturpano moralmente e materialmente. Io ben vi ricordo difendendo Roma colla parola e col fucile, e mio compagno a Mentana, e dovunque sia un pericolo da affrontare per questo popolo infelice”. Nel 1876 arriva infine un riconoscimento politico importante con l’elezione alla Camera dei deputati, dove siede proprio vicino a Garibaldi. 

Nel frattempo l’idea dei fusi orari si sta concretizzando indipendentemente dall’intuizione di Filopanti. In una conferenza tenuta alla Société de Géographie poco dopo l’uscita de Il giro del mondo in ottanta giorni, Verne fa risalire la sua ispirazione a un articolo letto sul giornale, a uno studio sulla rivista scientifica Nature e infine a un racconto del 1849 di Edgar Allan Poe, Tre domeniche in una settimana, in cui una sfida ritenuta impossibile è risolta grazie a due viaggiatori che hanno solcato il globo in direzioni opposte. Nel 1884 si tiene a Washington la International Meridian Conference che propone una soluzione molto simile a quella ideata a suo tempo da Filopanti, salvo il fatto che il riferimento scelto non è Roma, ma Greenwich, “in forza del traffico delle navi che era regolato su quel meridiano”. I vari paesi si adeguano gradualmente al nuovo sistema: l’Italia lo fa con altri stati europei nel 1893. 

Ma insieme all’ora del “meridiano zero” è scoccata anche l’ultima per Filopanti, che si spegne in una stanza d’ospedale “dove muoiono i poveri” il 18 dicembre 1894 all’età di ottantadue anni. “Rivedo una folla di popolo”, scrive Alfredo Panzini, “e, sopra la folla, l’abito nero e la tuba di Quirico Filopanti. La sua miseria era spettrale: ma abito nero e tuba. Doveva essere ancora l’abito che indossò quando era deputato della Costituente della Repubblica romana nel 1849. Patria, onore, eroi, repùblica classica erano le sue parole, E poi le stelle, perché Quirico Filopanti si occupava anche di Dio e delle stelle. Tutte cose che non usano più”. Per Bacchelli, “era uno di quelli che credono che gli uomini saran felici quando conosceranno le leggi del pendolo e l’astronomia”. Cinque anni prima della morte, invitato a partecipare all’inaugurazione del monumento a Giordano Bruno in Campo de’ Fiori, aveva concluso con amarezza il suo intervento: “Miei cari contemporanei, soffrite che vi dica in sul viso ciò che vi meritate. Voi farete cosa buona rendendo omaggio ai filosofi spenti; ma non sarebbe male il prestare qualche attenzione a coloro che anche oggi osano di proclamare idee diverse dalle attualmente dominanti, ma che saranno per avventura (o almeno ne ho fede) la tranquilla persuasione dei secoli che verranno”.

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