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Anche il critico spietato si ravvede sul Citati della Follia follia degli antichi

Alfonso Berardinelli

L'ultimo libro del critico letterario è scritto con un’insolita essenzialità, fatta di sintesi, enumerazioni e accostamenti fulminei. Uno stile diverso, più asciutto e laconico

Pur riconoscendo e apprezzando la vastità delle sue letture e della sua erudizione, non ho mai amato i libri di Pietro Citati e lo stile della sua critica letteraria. Il suo riassumere con enfasi i grandi classici era, nello stesso tempo, un sublimare ulteriormente ciò che è già grande di per sé, e un’astuzia commerciale di reintrodurre nel mercato dei capolavori letterari tradotti nella prosa liquida delle sue parafrasi. E’ per questa sua ambiguità (commercializzare il sublime) che più di una volta ho parlato di lui piuttosto spietatamente. E’ vero che Citati non aveva i difetti più frequenti degli accademici, che riducono grandi scrittori e grandi opere ad alcune formule analitiche in gergo teorico, servendole agli “addetti ai lavori” in una prosa legnosa e priva di spirito. Ricordo per esempio un paio di pagine su Verga in cui Citati dice di più e meglio rispetto a quasi tutto ciò che si trova nella massa di studi universitari sullo scrittore siciliano. Ma spesso le evocative riscritture di Citati hanno qualcosa di ridicolo, come se chi le scrive gonfiasse il petto per arrivare all’inarrivabile grandezza di Omero o Tolstoj, Proust e Kafka, i Vangeli e Leopardi.

Ricevo perciò con un certo scetticismo La follia degli antichi. Scrittori greci e latini da Omero a Lorenzo Valla (Feltrinelli, pp. 195, euro 17), la raccolta di testi con cui Citati accompagnava le edizioni di classici antichi nella collana della Fondazione Lorenzo Valla Mondadori, da lui diretta. Ma il mio scettico pregiudizio viene meno se riconosco in quei testi un tipo di scrittura che apprezzo particolarmente e che di solito Citati non pratica: il genere cioè della critica laconica, così difficile e preziosa, tanto umilmente e utilmente pratica quanto tecnicamente ardua.

Sono arrivato da tempo alla conclusione che la critica, soprattutto quella letteraria ma anche culturale, è bene che sia espressa in breve. Tra i miei preferiti esemplari di tale critica ci sono alcuni piccoli tascabili come quelli di Giorgio Colli Per una enciclopedia di autori classici; di Giacomo Debenedetti Preludi (note editoriali per la “Biblioteca delle Silerchie”); di Franco Fortini Ventiquattro voci per un dizionario di lettere; di Piergiorgio Bellocchio Oggetti smarriti su vecchi libri introvabili nelle librerie e da ristampare.

La capacità di sintesi è infatti tipica dei critici scrittori, di chi ha la vocazione non del professionista specializzato, ma dell’eterno dilettante che legge autori e libri che gli servono per pensare, per tenersi mentalmente in vita e ai quali torna sempre di nuovo per rinfrancarsi.

Provo perciò con le note editoriali di Citati. Nella prima dedicata all’Odissea si nota subito un felice uso dell’enumerazione, a cominciare dai classici moderni influenzati dall’Odissea, come Cervantes, Defoe, Stevenson, Kafka, Joyce. E questo perché l’Odissea è il libro che contiene “il senso più profondo della ricerca, del viaggio, della fantasia, del sogno, della lucidità, dell’ironia, della maschera, dell’infinita capacità di metamorfosi”. Invece che dilungarsi, Citati velocizza enumerando. Così il materiale poetico dell’Odissea “prepara, accenna, allude e concentra, chiude”. Infatti “ad ogni verso siamo in preda all’avventura, alla magia, alla stregoneria, all’irreale, alla favola, all’immenso”. Enumerazione vuole dire pluralità, varietà, mutamenti, e per enumerare bisogna avere una certa passione e padronanza del lessico.

Nella nota su Eraclito, il filosofo del fluire, del divenire e degli opposti, Citati usa la duplicità, l’uguale e il suo contrario, anima del dinamismo e delle connessioni per rovesciamento e contraddizione: “Intero e non intero, convergente e divergente, giorno notte, inverno estate, guerra pace, sazietà fame”. La realtà è dialettica, in movimento, è sorpresa, sia per natura che per lotta e conflitto.

Parlando della poesia di Pindaro viene sottolineato che se “l’uomo è sogno di un’ombra”, questo limite può essere superato solo nel mito creato dalla poesia e allora “tutto è illuminato, alonato dal mito”, “tutto gronda mito”.

E’ con lo storico Erodoto che però cala una “onnipresente ironia sugli orgogli, le vanità, le pretese, la follia, la hybris dell’uomo (…) Niente è sicuro tra le cose umane”. “Tutto nell’uomo è caso e circostanza”. Da cui nuove enumerazioni, quelle della storia: “i fatti politici, economici, militari, i costumi, le leggende, le favole, il folklore, la geografia, i monumenti”.

Per dominare nel regno degli “spazi aperti” Erodoto deve avere una mente “complessa, molteplice, intrecciata, polimorfa” nell’“infinito labirinto delle concatenazioni”. Erodoto, insieme a Plutarco, è l’autore antico a cui Citati dedica più pagine. Poi si arriva ai misteri orfici e dionisiaci, ad Alessandro, a Cristo: fino alla lunga storia di Bisanzio. Ma qui mi fermo… e buona lettura. Il Citati laconico si può anche leggere dieci minuti alla volta. 

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