Foto Getty

Mostre

Le personali di Levini e Salvatori al Mattatoio si parlano e si guardano 

Giuseppe Fantasia

In due padiglioni distinti c'è un mondo contemporaneo in crisi che si richiama a un passato presente nei pensieri, nei gesti, nelle opere stesse

Felice Levini e Giuseppe Salvatori, due uomini, due artisti oggi affermati e amati, entrambi romani e nati a solo un anno di distanza l’uno dall’altro. Nel 1956 il primo, nel 1955 il secondo. Sono colleghi, ma soprattutto amici, e insieme, negli anni, hanno osato e sperimentato, studiato e conosciuto, amato, odiato, creato e distrutto fino a creare ancora, da soli o insieme. Tra i tanti progetti fatti, la creazione nel 1978 dello spazio autogestito di S. Agata de’ Goti a Roma dove arte, poesia e musica si sono sempre alternate nel nome di una libertà espressiva e culturale di reazione alla violenza degli anni Settanta. Entrambi hanno raccontato e raccontano le storie e la Storia, entrambi entrano nella stessa e nei suoi meandri reinterpretandola e rivivendola. Quel che ci raccontano è un mondo contemporaneo in crisi che si richiama a un passato presente nei pensieri, nei gesti, nelle opere stesse. 

Le ammiriamo e li troviamo entrambi in due padiglioni distinti del Mattatoio di Roma La Pelanda, protagonisti di due personali che si guardano negli occhi anche se si conoscono già molto bene. Progettare il Caos è il titolo di quella di Levini curata da Massimo Belli; Centuria quella di Salvatori a cura di Matteo Di Stefano. Entrambe sono organizzate da Azienda Speciale Palaexpo, in collaborazione con Associazione Palatina, e saranno visibili fino al 21 aprile 2025. Levini e Salvatori: due racconti diversi, per certi versi analoghi, ideali, non solo politici, dei loro trent’anni di carriera in cui ognuno di loro ha raccontato un mondo. 

E’ caotico – quindi “aperto”, se si vuole seguire il significato etimologico del termine – quello di Levini, che proprio per il titolo ha preso spunto da due lavori omonimi fatti con il pennarello su carta (Progettare il Caos II/ III; 2022 e 2024) in cui sviluppa le sue idee, emozioni e sensazioni con immagini iconiche dell’ultimo secolo della Storia dell’uomo. Tele, carte, installazioni e dispositivi si alternano senza un senso – o forse sì, ma ci piace pensare a un no sense come ricorda il titolo –  e creano una vera e propria lettura ironica del sistema-mondo. Tra i suoi colori, i giochi di luce, un Gladiatore (1989) e una Donatrice di Pulci (2003), spunta fuori un Autoritratto feroce (1992) e una Vittoria (già esposta alla Biennale di Venezia nel 1988) con un letto o viceversa, tutti escamotage o vie dirette per raccontare la stessa Storia in maniera differente. 

La Storia, dunque, ma soprattutto l’eleganza, la fanno da padrone nelle tavole che Giuseppe Salvatori dedica alla basilica di San Gaudenzio di Novara, che già compariva nei disegni (e nei progetti) di Aldo Rossi, molto amato dall’artista romano che così ci fa immergere tra edifici, animali, uomini, piante, pochi o (quasi) nessun colore, astraendo ed attraendo. Prima ancora stupisce il visitatore con gli oltre centocinque ritratti che vanno a comporre la sua grande opera Centuria (che poi dà il titolo alla sua mostra), un lavoro in progress con i profili delle diverse e inesauribili figure della vita dell’artista in cui motivi floreali si trasformano in volti e ci conducono in un territorio di incanti metafisici, sospeso tra il reale e il fantastico. Splendida la sua Margherita, che poi non è un fiore, ma una donna, anche se probabilmente, conoscendo la poetica di Salvatori potrebbe essere entrambe le cose insieme, l’immagine nera di un profilo femminile che spicca sulla tela verde. Ad accompagnarla, un passo del Faust di Goethe: Pesa il mio cuore / pace non ho / né mai più in terra la troverò. Che, volendo o no, si rifà al caos raccontato e mostrato da Levini (già protagonista di due Biennali – la XLIII del 1988 e la XLV del 1993 – e di due Quadriennali, nel 1986 e nel 1996), una corsa a vuoto in un mondo contemporaneo frustrato a sua volta dall’impossibilità di raccontarsi in maniera ordinata. 

Siamo tutti confusi e a volte non ci si rialza neanche volgendo gli occhi al cielo (alzate gli occhi al soffitto, le sue tele in movimento sono anche lì), tra altri fiori e altri uomini, tra satiri e ballerine, meravigliose farfalle nere, navigatori e cantanti, sagome di persone note accanto ad altre che lo sono meno e alla fine, “precipitano nell’oscuro le stelle e insieme gli elementi”.
 

Di più su questi argomenti: