
la storia
Gatsby Story, cent'anni del capolavoro di Fitzgerald
Incompreso al momento della pubblicazione, la svolta arrivò con la lettura dei soldati in trincea. Il libro conobbe un successo ancora maggiore quando a interessarsene fu il mondo dello spettacolo
Scrivere il “grande romanzo americano”, salire il gradino dalla semplice narrativa alla grande letteratura, diventare immortale e catturare in poche centinaia di pagine l’essenza reale del paese. Non c’è autore negli Stati Uniti che non coltivi segretamente quest’ambizione. E’ l’American Dream in versione letteraria. Ma è un’impresa praticamente impossibile, perché qualcuno ha già raggiunto il traguardo ed è difficile scalzarlo dalla vetta. Se esiste davvero una Great American Novel, è stata pubblicata giusto cento anni fa e il suo mito, un secolo dopo, non mostra crepe. Era il 10 aprile 1925 quando l’editore newyorchese Scribner presentò al pubblico “Il Grande Gatsby”, capolavoro di uno scrittore che a soli 28 anni aveva già all’attivo due grandi successi ed era diventato la voce della sua generazione, l’incarnazione di quella che lui stesso aveva ribattezzato la Jazz Age. Francis Scott Fitzgerald era famosissimo tra i contemporanei per “Di qua dal paradiso” e “Belli e dannati”, ma è “Gatsby” che lo ha consegnato alla storia. Un romanzo che nel tempo è diventato un’ossessione. E’ il libro che si studia nelle scuole e nei college americani con la cura che l’Italia dedica ai “Promessi sposi” o la Francia ai “Miserabili”. Pochi altri titoli continuano a vendere e ad avere un peso letterario in America paragonabile a “Gatsby”: a tenere il passo di Fitzgerald sono “La capanna dello zio Tom” di Harriet Beecher Stowe, “Il Giovane Holden” di J.D. Salinger, “Sulla strada” di Jack Kerouac e vari libri di Ernest Hemingway o William Faulkner.
Innumerevoli analisi sono state scritte, generazione dopo generazione, sul misterioso Jay Gatsby, sul suo amore impossibile per Daisy, sui significati nascosti dietro immagini simboliche che offrono chiavi di lettura del libro (una luce verde sulla baia, il cartellone pubblicitario di un oculista), in generale su vizi e virtù dei ricchi e dei miserabili di New York e sull’intreccio tra le loro vicende. Che alla fine si risolvono in due morti ammazzati e tanti interrogativi irrisolti. “Quello che noi americani pensiamo di Gatsby – ha scritto il critico A.O. Scott sul New York Times, riflettendo sui cento anni del capolavoro di Scott Fitzgerald – in fin dei conti illumina ciò che pensiamo su soldi, razza, amore e storia. Il modo in cui ci immaginiamo lui, ha molto a che fare con come vediamo noi stessi”. E allora cent’anni dopo l’America ancora si interroga sul fascino che esercita sulla propria cultura popolare la figura dell’ex ragazzo povero che diventa milionario – in modo non proprio pulito – solo per poter avere una possibilità di riconquistare la ragazza ricca da cui si era dovuto allontanare per la troppa differenza tra le loro classi sociali. Da dove siano arrivati i soldi di Gatsby non è chiarissimo, ma si intuisce che c’entri il contrabbando di alcolici, un’attività redditizia in pieno Proibizionismo. Ed è evidente che abbia fatto di tutto, senza troppi scrupoli, per poter comprare la gigantesca villa nel Queens dove tutta la Manhattan che conta si trasferisce una volta la settimana per partecipare a feste mai viste prima. E’ peraltro singolare che cento anni dopo l’America festeggi l’anniversario e rifletta su quel personaggio tanto amato, in un momento in cui alla Casa Bianca c’è un altro milionario del Queens che ha fatto i soldi in modo rocambolesco e che è nato e cresciuto a pochi chilometri dalla baia dove Fitzgerald ha ambientato la villa del romanzo. Donald Trump non è Gatsby, ma non è difficile immaginare The Donald tra i protagonisti delle feste a ritmo di charleston e champagne raccontate da Fitzgerald.
La storia del “Grande Gatsby” è sorprendente anche perché quello che oggi è ritenuto un capolavoro e un enorme successo editoriale, all’epoca non fu tale. Almeno non subito. Fitzgerald e il suo editor Max Perkins – lo stesso che ha scoperto altri giganti della letteratura americana come Hemingway e Thomas Wolfe – erano certi che avrebbe superato il trionfo di “Belli e dannati”. Il giovane Scott ci contava anche per rimettere in sesto le proprie finanze, dopo aver sperperato molto insieme alla moglie Zelda. Ma nonostante buone recensioni, non entusiaste ma positive, a fine 1925 “Gatsby” aveva venduto ventimila copie, ben lontano dalle settantamila che aveva registrato il suo precedente romanzo nei mesi del debutto. Fu una delusione enorme per Scott e l’inizio della sua discesa. Il resto della sua vita sarebbe stata una continua ricerca di un nuovo successo, accompagnata da compromessi artistici come la scrittura di sceneggiature per il cinema o testi per il mondo pubblicitario. Scott aveva sempre bisogno di soldi, anche per far fronte alle cure di Zelda, la cui schizofrenia finì per rendere inevitabile il ricovero in una casa di cura dove finì i suoi anni. Quando Francis Scott Fitzgerald morì nel 1940, a 44 anni, era convinto di essere stato uno scrittore fallito e il suo più grande rimorso era il mancato successo di “Gatsby”, il lavoro in cui credeva di più.
Il libro alla sua uscita nel 1925 probabilmente non fu capito dall’America distratta della Jazz Age, che cercava storie a effetto. Il vero successo di quell’anno, il romanzo che sconfisse duramente “Gatsby” e che tutti volevano leggere, lo aveva scritto un’autrice oggi dimenticata, Anita Loos. Era uscito prima a puntate su Harper’s Bazaar, poi in forma di libro a novembre e aveva fatto scrivere ad alcuni critici che era finalmente arrivato il grande romanzo americano. James Joyce disse che, dopo aver cominciato a leggerlo, non riusciva a mettere giù il libro. Aldous Huxley si disse “catturato” dalla storia e Faulkner mandò alla Loos lettere in cui esprimeva le sue “invidiose congratulazioni”. Il libro si intitolava “Gli uomini preferiscono le bionde”, superò le centomila copie in pochi mesi e oggi è ricordato soprattutto per la sua versione cinematografica del 1953 con Marilyn Monroe e Jane Russell e per l’interpretazione iconica che una Marilyn vestita di rosa e ricoperta di brillanti diede di “Diamonds Are a Girl’s Best Friends”. Che un libro satirico e dissacrante come quello della Loos sia diventato il vero caso editoriale di quel momento, dice molto sull’America distratta e dissipatrice degli anni ruggenti, che andrà poi a schiantarsi con il crollo di Wall Street del 1929 e la conseguente Grande Depressione.
Anche Fitzgerald fece i complimenti alla Loos, ma fu sopraffatto dallo sconforto nel vedere come fosse stata poco apprezzata la profondità del suo romanzo pieno di ossessioni. Dietro Gatsby c’era la storia vera e personale dello stesso Scott, il suo amore giovanile per la ricca debuttante di Chicago Ginevra King, dalla quale fu allontanato con una frase del padre della ragazza che ricompare anche nel libro: “I ragazzi poveri non dovrebbero neanche immaginare di sposare le ragazze ricche”. Ginevra sarà l’amore di tutta la vita per Scott e i personaggi del libro sono la sua vendetta, sono la riproposizione di quelli reali che lo avevano ostacolato e di cui Fitzgerald si prende gioco rappresentandoli con i loro vizi e limiti. Scott si immedesima in Gatsby, Daisy è l’invenzione letteraria ispirata da Ginevra e tutta l’avventura del libro è un inno all’amore impossibile, al desiderio, ai limiti della fama e della ricchezza, ai vizi e alle virtù dell’America. Ma i critici all’inizio fecero fatica a capire tutto quello che era nascosto in “Gatsby”. “Tutte le recensioni, anche le più entusiaste – scriveva nel 1925 un Fitzgerald esasperato – dimostrano di non aver capito niente riguardo a ciò di cui parla il libro”.
Se Scott fosse vissuto ancora qualche anno, si sarebbe sbalordito di fronte all’improvviso cambio di fortuna del suo libro, che è legato allo scoppio della Seconda guerra mondiale. La morte di Fitzgerald per un attacco di cuore spinse molti a riprendere in mano i suoi libri. L’America nel frattempo era molto cambiata, la Depressione aveva lasciato il segno, il paese sapeva di essere sull’orlo della possibile entrata in guerra e la sensibilità collettiva era diversa dal recente passato. Forse anche per questo, i critici nel rileggere “Gatsby” ne cominciarono a intuire la profondità e i tanti messaggi che mandava. E lo videro come un grande romanzo capace di ispirare il paese. E’ il motivo per cui nel 1942, con l’America ormai in guerra dopo l’attacco a Pearl Harbor, fu deciso che il libro di Francis Scott Fitzgerald era il perfetto “compagno” per i soldati che andavano al fronte. Le forze armate americane ne distribuirono 150 mila copie ai propri militari e un’intera generazione scoprì la storia d’amore di Gatsby e Daisy mentre trascorreva il tempo in trincea, sulle brande delle navi e dei sottomarini da combattimento o nelle pause di relax seduti sui cingoli dei carri armati. Quando alla fine della guerra tornarono in patria e misero su famiglia, “Gatsby” era diventato il libro da trasmettere alla generazione successiva, da far leggere nelle scuole e da condividere.
Ormai esploso nella cultura popolare, il romanzo di Fitzgerald conobbe un successo ancora maggiore quando a interessarsene fu il mondo dello spettacolo. Prima con le letture alla radio, le versioni teatrali e i musical, e poi con il cinema. Hollywood aveva prodotto una prima versione di “Gatsby” per il grande schermo già nel 1926, che ebbe uno scarso successo analogo a quello del libro. Nel 1949 arrivò un nuovo film che provava a trasferire il racconto su pellicola, ma il vero balzo verso il grande pubblico risale al “Grande Gatsby” di Jack Clayton del 1974, con Robert Redford nei panni del protagonista e Mia Farrow in quelli di Daisy. A quel punto il lavoro di Fitzgerald stava cominciando a venir riconosciuto come il grande romanzo americano. Gatsby non è più uscito dall’immaginario collettivo e si è rafforzato nel tempo, fino al successo della fantasmagorica versione cinematografica di Baz Luhrmann del 2013, con Leonardo DiCaprio come protagonista, affiancato da Carey Mulligan e Tobey Maguire. Il film di Luhrmann è un esempio della capacità della storia di Gatsby di diventare senza tempo e senza confini, come tutte le grandi opere. Il volto di DiCaprio sorridente che offre una coppa di champagne agli ospiti è diventato un meme su tutti i social media e ha conquistato anche le generazioni più giovani. Così come la colonna sonora del film, che parte dalla “Rapsodia in blu” di George Gershwin, contemporaneo di Fitzgerald, per poi lanciarsi in un collage di pop e hip-hop dei giorni nostri, con Lana Del Rey, Florence and the Machine e Beyoncé ad accompagnare le vicende di Gatsby e Daisy di un secolo fa (non è un caso che il rapper Jay-Z sia stato produttore esecutivo del film). Anche in questo non c’è niente di più americano, incluso il problema razziale che emerge oggi come cento anni fa: “Gatsby” è una storia di bianchi che si svolge tutta con il sottofondo di note di neri, il jazz nel 1925 e l’hip-hop oggi. Tom Buchanan, il ricco e arrogante marito di Daisy, è un suprematista bianco che disprezza apertamente i neri e teme che l’immigrazione rovinerà l’America.
Tra le tante eredità lasciate da “Gatsby” all’America, ce ne sono alcune che non appartengono al contenuto del libro, ma al suo contenitore. La prima edizione del volume è celebre anche per la sua sovracopertina, che viene ritenuta da molti la più bella mai disegnata per un libro. Non fu sufficiente a trainare le vendite, ma è diventata a sua volta parte della cultura pop americana e fonte di ispirazione per il mondo della pubblicità, che deve tantissimo a “Gatsby”. L’immagine è quella dominata da un volto di donna con il taglio di capelli flapper dell’epoca, con due occhi giganteschi e tristi dentro ai quali si vede il riflesso di immagini femminili nude. Una grande lacrima e le luci di un luna park, forse quello di Coney Island, completano un’opera che oggi è conosciuta come “Celestial Eyes” e conservata all’università di Princeton, dove fa compagnia ai manoscritti di F. Scott Fitzgerald. L’autore era un pittore di strada catalano, Francis Cugat, che ricevette l’incarico dall’editore Scribner di disegnare la copertina mentre girovagava nelle strade di New York in cerca di lavoro. Scott, che era con Zelda e Hemingway in Costa Azzurra a completare la scrittura del romanzo, quando vide quell’immagine cambiò molte parti del libro, lasciandosi ispirare dagli occhi e dalle luci immaginati da Cugat. Anche questo è diventato parte della leggenda di “Gatsby”, della sua attualità e della sua immortalità.