
Una scena da “Matrimonio al convento” Sergej Prokof’ev, per la regia di Michieletto al Theater an der Wien di Vienna (foto Verlobung © Werner Kmetitsch)
I russi sanno pure ridere
Prokof’ev maestro della commedia. Che non tronca i nodi, ma li scioglie. Quello che serve in tempi di divisioni
In questo frangente storico, avere la possibilità di lavorare a uno spettacolo teatrale formato completamente da un cast russo, con direttore d’orchestra russo e una pianista russa che accompagna le prove è un fatto raro. Mi trovo infatti a Vienna, al Theater an der Wien, un piccolo teatro con una storia gloriosa, da Schikaneder a Beethoven, per allestire “Matrimonio al convento”, un’opera piuttosto sconosciuta di Sergej Prokof’ev. Si tratta di una commedia con una trama elaborata, che ruota attorno a una promessa di matrimonio destinata a crollare sotto le mosse astute di una vecchia domestica, scaltra e inarrestabile. Infatti, il titolo originale da cui proviene questa storia è “The Duenna” cioè la governante: lei è il perno della storia con tutto il classico contorno fatto di scambi di identità, innamorati che fuggono le mura paterne, mercanti corrotti e frati beoni che intonano odi al vino mentre gozzovigliano indisturbati tra le mura del convento. La lingua russa è particolarmente adatta alla commedia: suoni plastici, enfatici e solenni che Prokof’ev usa in modo funambolico e fragoroso.
Prokof’ev si ispira a una ballad opera inglese della seconda metà del Settecento, un genere di spettacolo che utilizzava brevi canzoni, alcune delle quali anche già preesistenti e conosciute dal pubblico. Un genere leggero e scanzonato che costituiva la risposta anglosassone all’opera lirica seria di matrice italiana. L’esempio più famoso di ballad opera è “The beggar’s opera” di John Gay, a cui si rifece poi Bertolt Brecht per scrivere “L’opera da tre soldi”, resa celeberrima dalle canzoni immortali di Kurt Weill.
“Matrimonio al convento” ha il suo perno in una governante con tutto il classico contorno di scambi di identità, innamorati in fuga, frati beoni
“The Duenna” fu un autentico blockbuster a Londra: il pubblico amava quel genere immediato e coinvolgente e probabilmente cantava in platea le canzoni dello spettacolo, un po’ come succede oggi a un concerto pop.
Evviva la commedia! Soprattutto se a tesserne il ritmo e a marcarne gli accenti è una musica così grintosa, sfaccettata, ricca di colori e fantasia come questa che Prokof’ev inventa nel 1946. Una musica in grado di essere popolare e al tempo stesso sofisticata. Una musica che avvolge e sorprende, che invita alla danza e al brindisi, che non rinuncia alla melodia romantica di una serenata e al tempo stesso lascia spazio a momenti coreografici con maschere surreali e feste chiassose.
La personalità di Prokof’ev testimoniata nei “Diari”, che ci consegnano un uomo di spirito, pronto a pungere con una battuta sagace
Prokof’ev procede agile e svelto intrecciando una trama fin troppo complicata (questo è l’unico difetto), utilizzando giochi di parole e giochi musicali. Il lato scherzoso, leggero, imprevedibile è la cifra di questa composizione, che rispecchia certe caratteristiche della personalità di Prokof’ev testimoniate nei suoi “Diari”, che ci consegnano un uomo di spirito, leggero e imprevedibile, pronto a pungere con una battuta sagace e una risposta bruciante. Quest’opera è un titolo meraviglioso nella storia del teatro musicale: un intreccio scoppiettante, con sfumature surreali, incursioni di marcette circensi, sghembe e frizzanti suonate da un improbabile trio di musicisti ingaggiati per allietare la festa di matrimonio.
Su tutti emerge il personaggio di Mendoza, che sembra venuto fuori direttamente da una commedia dei Vanzina, splendido spaccone borioso, impenitente dongiovanni sempre pronto a cavalcare l’onda del piacere, simpaticissimo nella sua onesta imbecillità.
Mendoza è un mercante di pesce, ma il suo pesce è marcio, lo sanno tutti. Una canaglia insomma. Uno che la sa lunga negli affari e non si perde mai di coraggio nemmeno di fronte alle situazioni più paradossali, come riuscire a corrompere un gruppo di frati fingendo che la provvidenza abbia fatto cadere dal cielo una bustarella piena di soldi proprio lì davanti ai loro piedi. Mendoza è il personaggio che si impone con la sua presunzione e goliardia. Della sua reputazione non sembra curarsi affatto: il suo pesce è marcio, ebbene, che problema c’è? L’importante è venderlo! “Dove uno ci vede solo pesci, io ci vedo solo ducati!”, questa è la sua filosofia, fare soldi. La vecchia domestica lo ingannerà per ottenere proprio quei ducati, che brilleranno tra le sue mani prima che lei esca di scena trionfante, diretta probabilmente a godersi gli ultimi anni della sua vita in un bel resort di lusso con tutti i confort possibili. Cinica e istrionica, la Duenna è un tipo goldoniano, degna di figurare tra i maggiori personaggi comici della letteratura teatrale. E’ la cameriera brillante, la vedova scaltra, la femminilità che sa addomesticare il maschile. In fondo, lei e Mendoza sono una coppia perfetta.
Attorno a questa coppia ne ruotano altre due. Sono i giovani innamorati, simili a quelli del Sogno di una notte di mezza estate: scappano di casa, scalpitano e litigano, si minacciano e si abbracciano, si baciano, si affrontano in duello, confusi da invidie e gelosie. Sono insicuri e fragili, teneri nella loro incapacità di trovare quiete. In loro c’è una fibrillazione continua, un correre avanti e indietro, un affanno dato dalla loro condizione: sono innamorati e perciò confusi, ma in grado di generare i momenti lirici più dolci e appassionati, a cui Prokof’ev non rinuncia. L’aria che Antonio, uno degli innamorati, canta a Luisa, è una romanza intrisa di passione pucciniana, cantata a cuore aperto, nobile, schietta e popolare con quella spontaneità che la rende commovente. L’altro innamorato è Ferdinando, incapace di trovare un ruolo nell’ambito famigliare, smozzica parole e tenta di inserirsi nelle conversazioni senza mai riuscirci. E’ quello che alle feste se ne sta col cellulare in mano fingendo di massaggiare pur di riuscire a mimetizzarsi in qualche modo e non rivelare il suo disagio; ma quando canta il suo amore per Clara, mentre se ne sta da solo, in compagnia di qualche gatto randagio nottambulo come lui, ecco che Prokof’ev ci rivela finalmente la vera intimità di Ferdinando.
A chiudere la storia è un padre vedovo, Don Jerome, un uomo solo e indaffarato a gestire i figli ribelli che alla fine accetta di accogliere con clemenza festeggiando i matrimoni in modo curioso: prende sette bicchieri, li riempie con un po’ d’acqua e inizia a suonarli con delle bacchette: un’ennesima trovata di Prokof’ev, un tocco magico in stile Papageno, ora che si arriva alla fine e il dramma si è sciolto.
Chi la sapeva lunga a proposito di finali e scioglimenti era Arrigo Boito, che in una lettera scrive: “La commedia disfa il nodo, la tragedia lo rompe o lo taglia”. Prima di essere sciolto, un nodo va allentato: ecco quindi che il compito del bravo drammaturgo è quello di non far prevedere come si scioglierà la vicenda, altrimenti tutto l’interesse dell’enigma è svelato.
Arrigo Boito riflette su “Le allegre comari di Windsor” e scrive in una lettera: “La commedia disfa il nodo, la tragedia lo rompe o lo taglia”
Boito riflette su questo tema mentre sta immaginando come ridurre “Le allegre comari di Windsor” per ricavarne un copione adatto a essere messo in musica da Verdi. Si tratta delle regole precise e immutabili della narrazione teatrale e Boito cita infatti Molière, Beaumarchais, Goldoni, i grandi maestri di nodi e scioglimenti. E poi, verrebbe da dire, esistono vari tipi di nodi, no? Un nodo piano per unire due funi, un nodo scorsoio per fare un cappio, un nodo barcaiolo per strozzare le corde senza legarle… Non esiste un solo nodo perché non esiste una sola emozione: tanti nodi per tante emozioni diverse, è una combinazione molto lampante. La trama di una commedia deve nascere da concretezza e necessità, così come il primo nodo che impariamo è quello che facciamo per allacciarci le scarpe, e lo impariamo da bambini.
Attenzione, ci avverte Boito: quando nella platea il pubblico dice “è finita” ma invece sulla scena non è ancora finita, accade il guaio peggiore per una commedia, che segue leggi teatrali diverse rispetto alla tragedia, dove il nodo viene strappato in modo inaspettato. La natura teatrale della tragedia è quella di essere tagliente e di coglierci impreparati. Per questo diciamo che “ci colpisce”. Un evento tragico ci fa piangere e soffrire. Non eravamo pronti. La tragedia non allenta il nodo, lo taglia e per farlo compie un gesto che ha sempre una dose di crudeltà. La tragedia serve a questo: ci racconta che la vita può essere aspra e violenta, può colpirci in viso, in modo inspiegabile, può metterci al tappeto, può prenderci alle spalle senza cautele, senza avvisare. Perciò Boito dice che la tragedia taglia il nodo: non perde tempo a disfarlo e riportare le corde al loro posto. Piuttosto lo tronca con un colpo di mannaia. Sarà compito dello spettatore provare a rimettere insieme i pezzi, come nella vita quando in mano ci restano i cocci di un lutto o di un amore infranto.
La via di uscita dipende dal narratore. Chi si sveglia trasformato in insetto può essere il protagonista di una terribile tragedia o di una commedia spassosa
La tragedia ci consegna un compito di riflessione. Otello uccide Desdemona, per quale motivo? Per quale motivo Jago ha macchinato il suo complotto? La vicenda poteva sciogliersi in altro modo, invece viene strappata, e la morte pone fine al travaglio umano dei personaggi. Nella commedia invece non si muore, c’è sempre una via di uscita e questo dipende solo dalle scelte del narratore: uno che si sveglia un bel mattino e si trova trasformato in un terribile insetto può essere il protagonista di una terribile tragedia o di una commedia spassosa. Immaginate indossare un paio di pantaloni ora che si hanno otto zampe invece di due gambe. Prokof’ev con “Matrimonio al convento” ha scelto la commedia e un’opera così rara e poco rappresentata merita di essere conosciuta, non solo per il suo valore storico e teatrale, ma perché è dalla conoscenza che nasce la nostra capacità di comunicazione.
In un momento storico in cui il dialogo con la Russia è complicato e in cui la creatività artistica rischia sempre di essere incasellata dentro alle opportunità e alle convenienze politiche, è importante ribadire l’importanza della cultura come possibilità di confronto e di conoscenza. La pace non si costruisce senza la volontà di un dialogo, che a sua volta non esiste se non c’è la gioia della conoscenza reciproca. Nell’ignoranza non può esserci rispetto, non può esserci confronto. La condivisione di un palcoscenico, la condivisione di una letteratura teatrale e musicale è condivisione di lingua e immaginazione. Le mani e il fiato dei musicisti, i gesti e le parole degli attori e anche una schietta risata in platea possono essere un invito a vivere da cittadini in uno spazio reale, non appiattito dietro a uno schermo virtuale. Uno spazio fatto di profumi e sudori, uno spazio abitato, dove fare esperienza di bellezza e umanità.