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L'intervista
Educare le macchine restando pronti all'imprevedibile. L'AI vista da Cacciari
“Oggi l’esistenza stessa dell’AI mostra come la nostra età sia caratterizzata dal primato dell’homo technicus”. Ma la macchina non deciderà mai da sola. Intervista al filosofo sulle sfide della nuova tecnologia
Massimo Cacciari è senza dubbio il più noto filosofo italiano. Il suo ultimo libro, Metafisica concreta, è un richiamo costante a pensare e a tentare di dire ciò per cui sembra non abbiamo parole, e che pure costituisce il tessuto stesso delle nostre esistenze: quello sfondo illimitato e inafferrabile senza cui sarebbe il nulla piuttosto che qualcosa, e dove la grande ricerca scientifica e la grande ricerca filosofica convergono. Allo stesso tempo, la sua riflessione è da sempre ben piantata in una continua attività politica, intesa sia come pratica amministrativa, sia come attività diretta del pensiero nelle cose che fanno pulsare la nostra quotidianità e danno forma al mondo che ci circonda giorno dopo giorno. In questo senso, in questa doppia veste, non potevamo non interrogarlo sulla grande questione dell’intelligenza artificiale che questo giornale, e nel suo piccolo questo ciclo di interviste, cerca di indagare e capire nella sua costante evoluzione.
Professor Cacciari, riflettendo sull’intelligenza artificiale penso che la prima cosa su cui portare l’attenzione, a livello filosofico, sia il tentativo di comprendere la distinzione, se vi è per lei, tra intelligenza e pensiero. Si può guardare all’intelligenza come alla “componente calcolante” della nostra ragione, considerando invece il pensiero come la sua parte “creativa”, ossia quella che “dà vita” a cose che altrimenti non sarebbero? Oppure ritiene questa distinzione oziosa o errata?
“Kant parlava di tre facoltà-forze fondamentali della nostra anima. Con la prima, strettamente connessa alle nostre capacità di calcolo, condizione di ogni mathesis, noi legiferiamo sui fenomeni, ta phaionomena, le cose in quanto e solo in quanto ci appaiono, e cioè stabiliamo leggi della natura. La seconda riguarda il nostro dover essere, indirizza secondo forme anch’esse a priori il nostro agire. Nella terza si esprime quella componente essenziale della nostra natura per cui noi speriamo esista una relazione essenziale tra essa e la natura “esteriore”, ovvero che la Natura nel suo insieme abbia come suo intrinseco fine la nostra felicità. Non resterebbe allora che chiedersi: può una Macchina presentare una tale complessità? Se riflettiamo un po’ potremmo facilmente vedere come le opere più straordinarie dell’uomo la manifestino, spesso drammaticamente, spesso mostrando la disarmonia tra le sue parti. Potrebbe una Macchina interrogarsi, come noi facciamo, intorno al problematico rapporto tra intelletto, ragione e giudizio teleologico? Potremmo giungere a dover ammettere: non lo sappiamo. Se il comportamento della Macchina corrispondesse al senso delle domande che ho appena posto come potremmo decidere sulla sua “natura”? Che sia ‘natura’ è certo, poiché nulla può esistere che non sia prodotto di Physis, ma ‘quale’ parrebbe impossibile deciderlo. Il test potrebbe svolgersi così: quali domande porre al nostro ‘interlocutore’ tali che le sue risposte accertino che si tratta di una Macchina? Ti angoscia la morte? Che intendi per morire? Sogni? Come hai amato o odiato? Ma non potrebbe, se la Macchina è ‘vissuta’ abbastanza, aver imparato da noi, frequentandoci, osservandoci, tutte queste ‘passioni dell’anima’, così da saperle perfettamente imitare? (E sarebbe allora ancora proprio parlare di imitazione?). Il self-learning non potrebbe giungere a comportare anche questo? O il costruttore vorrà a priori renderlo impossibile? Non credo si possa ora dare una risposta attendibile. Lo sviluppo dell’AI, come tutte le grandi imprese del general intellect tecnico-scientifico, è aperto all’imprevedibile. E l’imprevedibile è sempre deinon, ha sempre in sé tremendi pericoli”.
In una recente conferenza all’Accademia dei Lincei lei dice che la natura umana non è un dato, un fatto, ma un fieri, un farsi. In questa ottica, esiste un limite che si possa porre alla possibilità di una co-evoluzione tra essere umano e macchina?
“Co-evoluzione tra intelligenza e Tecnica vi è sempre stata. Per questo la Tecnica è sempre più che un affare tecnico. L’Homo technicus influisce sull’oeconomicus, sul politicus, sul poeticus – e reciprocamente. A seconda delle epoche l’una dimensione può emergere prepotentemente sulle altre e ognuna assumere forma diversa. Oggi l’esistenza stessa dell’AI mostra come la nostra età sia caratterizzata dal primato dell’homo technicus. E la forma specifica che la Tecnica assume in essa è quella che ho definito faustiana: il progetto di trasformazione della stessa intelligenza umana, più in generale: il progetto di trasformazione dello stesso soggetto della Tecnica. In questo senso, è già del tutto possibile pensare all’impianto nel cervello umano di dispositivi artificiali, di reti neurali artificiali. La co-evoluzione diverrebbe allora un matter of fact”.
A volte si teme il fatto che le macchine diventino più intelligenti di noi. Ma non lo sono già, se con intelligenza si intende semplicemente la capacità di calcolare? E quindi non dovremmo forse esaltare la potenza calcolante delle macchine di risolvere problemi pratici, e semplicemente capire come utilizzarle al meglio, per quello che potremmo chiamare, con parola desueta se utilizzata con maiuscola e priva di connotazioni moralistiche, il Bene? Ma in tal senso, quale il destino della politica? Ossia, nel momento in cui l’algoritmo processa tutto il calcolabile con “esattezza”, quale lo spazio della decisione?
“Se l’AI è chiamata – e lo è ogni giorno più profondamente – a fornire almeno la base conoscitiva di progetti e scelte riguardanti ambiti essenziali della nostra vita, dall’amministrazione pubblica alla sanità, dal campo della giustizia alla scuola, ecc., dovranno per forza trovar spazio, tra gli input che la formano, anche imperativi di ordine etico. Il comportamento oggettivamente riscontrabile dell’AI dovrà saperli manifestare. Questo diviene allora il problema politico di fondo: quali saranno i soggetti che ‘educheranno’ l’AI? I loro ‘padroni’? E chi sarà in grado di controllarli, se non governarli? Quale ordine politico potrebbe non essere costantemente in ritardo rispetto alla formidabile accelerazione del sistema, Gestell, tecnico-scientifico-economico? Questa è la domanda esatta. La Macchina non deciderà mai da sola – essa ha l’equivalente della nostra base genetica – e poi su di essa impara, si evolve, si può anche trasformare – ma sempre relativamente a quella base. Chi ha il potere di impostarla, di determinarne la direzione fondamentale? La perfetta distopia sarebbe: il soggetto-padrone dell’AI ne decide la struttura genetica e la Macchina autonomamente determina la sua evoluzione epigenetica. E il sistema così formato decide sul bios, sulla vita del nostro genere.