
Foto Unsplash
L'intervista
Conoscere non significa scegliere. Così l'uomo cela all'AI il segreto della vita
“In quanto a pura capacità linguistica, oggi l’intelligenza artificiale ci ha superato. Ma l'essere umano è capace di trovare il significato della conoscenza che manipola”. Parla Riccardo Manzotti, professore ordinario di Filosofia teoretica allo Iulm
Riccardo Manzotti, professore ordinario di Filosofia teoretica allo Iulm e in passato Fulbright Scholar al MIT, si è inizialmente formato come ingegnere, ed è uno dei massimi esperti italiani dell’interazione tra mente umana e intelligenza artificiale.
Professor Manzotti, alla luce della sua esperienza e dei suoi insegnamenti, potrebbe subito chiarirci se vi è per lei una distinzione tra intelligenza e pensiero? O se si tratta invece di una categorizzazione inutile e vecchia?
“Il pensiero è sempre stato una causa invisibile immaginata per giustificare il linguaggio. Fino a ieri l’uso della parola sembrava essere l’espressione del pensiero che si credeva occupare una dimensione metafisicamente invisibile, cioè la tanto decantata interiorità, che però è sempre stata un po’ ‘l’isola che non c’è’. Oggi i Large Language Model (Llm) dimostrano che il linguaggio non è la voce di questo residuo animista, ma è semplicemente l’articolarsi di una struttura logica derivata dal mondo. Le macchine come ChatGPT parlano perché ‘sanno’, cioè sono in grado di estrarre la struttura logico-causale dal nostro linguaggio. La differenza è che noi esseri umani, in quanto dotati di corpo, lo facciamo con le cose del mondo, mentre oggi l’IA deve accontentarsi di materiale di seconda mano, un po’ come Salgari che non era mai stato in India e doveva andare in biblioteca a Torino per documentarsi sull’India. L’intelligenza è la capacità operativa di raggiungere un obiettivo dati una serie di strumenti. Il pensiero è ormai un concetto inutile e lo si può tranquillamente mettere da parte, parafrasando Russell, come la monarchia. Ovviamente, noi esseri umani, oltre all’intelligenza abbiamo anche un corpo, delle emozioni, ma soprattutto volontà e libertà. Ma questo fantasma inutile o, per dirla con l’Amleto di Shakespeare, ‘questa pallida ombra del pensiero’, anche no!”.
In questa ottica vuole quindi dire che non vi è alcuna “unicità” umana legata all’atto del pensare? Ossia ritiene che la peculiare unicità umana risieda nel nostro corpo? Ma tutti gli animali hanno corpo. Allora dove sta, se vi è, la differenza tra l’intelligenza degli umani, quella degli animali, e quella dell’AI?
“La differenza fondamentale sta nel fatto che gli animali sono incarnati nel senso di avere un corpo situato nel mondo, ma non hanno il linguaggio. Quindi mancano della capacità di articolare la conoscenza del mondo. L’AI, per ora, non ha un corpo e deriva la sua conoscenza dal linguaggio umano grazie ai nostri testi e all’interazione con noi. L’AI è come un cieco che parla di colori, anzi pure sordo e anosmico e tetraplegico. Ma parla. Noi abbiamo entrambe le cose. Siamo nel mondo, anzi direi che siamo dei mondi e abbiamo la capacità di articolare la nostra conoscenza attraverso il linguaggio. Potremmo dire che, in quanto a pura capacità linguistica, oggi l’AI ci ha superato, sia per numero di linguaggi padroneggiati sia per quantità di lettura (Gpt ha letto tutto). L’essere umano, grazie al fatto di dare voce al mondo (e non a una presunta interiorità), è capace di trovare il significato della conoscenza che manipola. Sintetizzando un po’ potremmo dire che gli animali esistono, ma non sanno. L’AI sa ma non esiste. Noi esistiamo e sappiamo (con qualche limite)”.
Le devo necessariamente porre un’ulteriore domanda intorno a tali questioni che penso reggano l’intera riflessione sull’AI. In un ragionamento che va al fondamento, mi sembra lei rintracci questo “fondamento” nel linguaggio. Ma se pensiamo il logos, inteso come linguaggio-pensiero, non troviamo proprio nel pensiero, in questa attività così peculiare e inafferrabile, la peculiarità dell’uomo. Non è forse questo ciò che vi è di “inimitabile” da parte dell’AI?
“L’essere umano, come aveva capito benissimo Pico della Mirandola, deve la sua grandezza al fatto di non essere definito e chiuso. Proprio per questo può essere bestiale e divino, angelico o diabolico. L’essere umano è al confine tra quella rete di relazioni che è il linguaggio e l’infinito inesauribile della realtà di cui, finora, ne abbiamo appena grattato la superficie. Non logos ma physis, physis sive logos. La parola è il mondo. Non credo che l’Homo sapiens abbia alcuna esclusiva metafisica, ma è evidente che, nella nostra specie il mondo abbia trovato una voce che annuncia quello che verrà. Se mi concede una metafora, la peculiarità dell’essere umano sta nel guardare all’orizzonte, che è cosa ben diversa dal ‘guardare l’orizzonte’ che non si può in quanto l’orizzonte non è un vero oggetto, ma è il limite del noto. L’uomo getta sempre lo sguardo oltre i limiti del mondo per dar voce all’inaudito”.
In questo sguardo sempre gettato oltre sta forse lo spirito peculiare dell’attività umana. Che ruolo gioca la libertà in questa attività, o, per essere più puntuali, ritiene che la libertà sia un’illusione necessaria o una realtà concreta dell’agire dell’uomo? O, per essere ancora più precisi, esistono tanti modi buoni di fare una cosa o ve ne è invece solo uno? E qui chiaramente mi ricollego alla possibilità che le “macchine” possano arrivare a dirci con esattezza, proceduralmente e funzionalisticamente, ciò che è “giusto” fare.
“La libertà è una condizione necessaria per la nostra esistenza e perché ciò che facciamo abbia valore. La libertà è strettamente correlata alla capacità di ognuno di fare una differenza e quindi di rappresentare qualcosa che, senza di lei o di lui, non ci sarebbe stato. Le macchine, come dicevo prima, oggi sanno, hanno la conoscenza. Ma la conoscenza non è la scelta. Le macchine possono dirci qual è il percorso migliore per andare da Lavagna a Fermo, ma non possono dirci in base a quale valore scegliere quel percorso: il più breve, il più ecologico, il più economico. La scelta del valore per il quale vale la pena vivere e quindi sulla base del quale calcolare un percorso o prendere decisioni è sempre libera o non è una scelta. Questo le macchine non ce l’hanno perché i valori esistenziali, quelli per cui si vive, sono incommensurabili, cioè non possono essere frutto di un calcolo, di una funzione. Come facciamo a essere liberi? Questa, insieme alla domanda sulla nostra coscienza, è la domanda cruciale di tutta la filosofia”.
Ritiene sia possibile dare una “direzione” all’AI o essa è semplicemente il prodotto delle nostre interazioni, una struttura dal carattere emergente di cui non possiamo conoscere la direzione futura?
“Non credo nell’emergenza che è, da un punto di vista scientifico e logico, una specie di miracolo. In Fisica non ci sono fenomeni genuinamente emergenti. Ci sono però novità. A monte di esseri umani e delle macchine, c’è la physis, che, grazie a creature biologiche e macchine, realizza tutto il possibile, dagli organismi unicellulari a quelli multicellulari, fino a organismi dotati di sistema nervoso e di linguaggio. E’ ragionevole credere che siamo arrivati alla fine? Non lo credo affatto. Alla natura non piacciono i limiti e nemmeno agli esseri umani. Oggi la tecnologia ha creato un ecosistema anche per l’artificiale che può così mutare, selezionarsi e trasmettere i mutamenti. Ogni giorno porta con sé qualcosa che è radicalmente nuovo e che ieri non era nemmeno concepibile. Questa è la vita”.