intervista

Vargas Llosa: “Ho capito che quello del politico non è il mio mestiere”

Maurizio Stefanini

Lo scrittore dopo sette anni di volontario esilio: “Il regime di Fujimori non può essere definito in altro modo che come una dittatura. C’è un fantoccio civile alla presidenza della Repubblica. Ma l’esercito ha un controllo assoluto su un Parlamento-burla, sul potere giudiziario, sui mass-media”

Questa intervista a Mario Vargas Llosa è stata pubblicata sul Foglio quotidiano del 10 giugno 1997. Lo scrittore peruviano, vincitore del Premio Nobel per la letteratura 2010 e membro dell'Académie française, è morto domenica 13 aprile 2025 all'età di 89 anni a Lima, dove era tornato a vivere da qualche mese.


  

È passato un anno, nella finzione. E il piccolo Fonchito, il ragazzino terribile di “Elogio della matrigna”, bussa alla porta di Lucrecia, la donna che la sua torbida passione ha separato da suo padre Rigoberto. Comincia così “I quaderni di Don Rigoberto”, l’ultimo romanzo di Mario Vargas Llosa. “Ma se i personaggi sono gli stessi, ciò non vuol dire che questo libro sia la continuazione dell’altro”, spiega colui che, con Gabriel García Màrquez, è uno dei due mostri sacri della letteratura latino-americana. “Semplicemente, un giorno mi sono sorpreso con un’immagine su cui poi ho iniziato a fantasticare. E mi sono reso conto che avevo già sviluppato l’embrione di questa storia”. È passato un anno nella finzione, ma sette nella vita reale. Al tempo di “Elogio della matrigna” lei era candidato alle elezioni presidenziali del Perù, e gli avversari si valsero di quel libro per accusarlo di oltraggio alla morale cattolica...

“Sì. Il governo arrivò a far leggere ‘Elogio della matrigna’ in televisione per presentarmi come uno scrittore immorale e indegno di ascendere alla presidenza del paese. In fondo, ricordo questa storia con una punta di divertimento”.

Adesso, però, Don Rigoberto sembra essersi riconciliato con il cattolicesimo. Arriva addirittura a farne l’elogio...

“Don Rigoberto pensa che la religione ha creato intorno all’amore una serie di tabù che, evidentemente contro l’intenzione di chi li ha creati, finiscono però per arricchire straordinariamente la vita erotica della persona. Alla fine si scopre che l’amore, nelle società cattoliche, è molto più ricco e immaginativo che non nelle società permissive. La sua conclusione, dunque, è che la trasgressione è inseparabile dal piacere erotico”.

 

Uno slogan che le è stato attribuito è: “No al puritanesimo, sì al legalismo”.

“Sono un partigiano della libertà, e penso dunque che non si possa imporre né l’erotismo né l’ascetismo. Come in tutto, anche in amore bisogna lasciare spazio alla discrezione della persoMISSIONI DI PACE E DIRITTI UMANI LETTERE na. Chi vuole vivere da stoico, deve avere il diritto di farlo. Ma deve avere il diritto di vivere secondo le proprie inclinazioni anche chi, come Don Rigoberto, non si vergogna di ricercare i piaceri materiali. L’importante è rispettare sempre la diversità umana. Non solo in campo politico, ma anche in quello sociale, in quello spirituale, in quello culturale. E, naturalmente, in quello erotico”. Sembra un manifesto del liberalismo applicato alla morale sessuale. “E lo è. Rispettare la diversità, nel rispetto della legalità. L’importante è che la libertà dell’uno finisca sempre dove comincia quella dell’altro. Non si può, in nome del piacere, uccidere una persona, o abusare di un bambino. Ma a parte il limite della violenza, Stato e società non hanno il diritto di interferire nelle scelte dell’individuo”.

 

E’ la differenza tra liberalismo e anarchismo. Il liberale Don Rigoberto contrapposto all’anarchico De Sade. Anarchico nel senso estremista e asociale di Max Stirner o di una certa interpretazione spuria di Nietzsche.

“Sì. La differenza tra un liberale e un anarchico è appunto nel non voler accettare che in nome della libertà si crei la legge della giungla. Anche se è vero che in ogni liberale c’è sempre la tentazione dell’anarchismo. Così come nei comunisti staliniani c’era la tentazione del trotzkysmo. E’ il fascino dell’eresia”.

 

Anche lei, in campagna elettorale, fu accusato di volere un liberalismo da legge della giungla.

“Se è solo per questo, mi hanno accusato anche di altre cose. Sono stato accusato di tutto”. E qual è oggi il suo commento su quell’esperienza di intellettuale prestato alla politica? “E’ stata certamente un’esperienza straordinaria. Un intellettuale dalla sua scrivania vede la politica, appunto, essenzialmente come attività intellettuale. Un dibattito di idee, in cui sono molto importanti i valori. Vivere la politica vera significa scoprire un mondo in cui domina l’arte della manovra e dell’intrigo. Un’attività congiunturale che spesso finisce per imporsi a ogni considerazione di principi, di convinzione, di etica. In conclusione, ho scoperto che aveva ragione Machiavelli”.

 

Sembra un quadro molto pessimista.

“Non lo è. Credo ancora che sia possibile ottenere progressi tramite la politica. Ma la politica è un’attività per la quale ho scoperto di non essere tagliato. Come leader ho fatto molti errori, forse troppi. E’ meglio dunque che continui a fare politica come scrittore, partecipando al grande dibattito civico in corso sul futuro dell’America Latina. I nostri restano comunque paesi con problemi troppo grandi per consentire agli intellettuali di rinchiudersi in una torre d’avorio”.

  

Parliamo allora di questo dibattito. E’ dall’inizio dell’Ottocento che l’America Latina è divisa nella lotta tra quelli che l’argentino Sarmiento divise crudamente in “la civiltà e la barbarie”, e per cui altri hanno preferito invece i termini più soft di “partito europeo” e “partito americano”. Col suo impegno politico, con le prefazioni da lei concesse a pamphlet liberali come “El otro sendero” o “Manual del perfecto idiota latino-americano”, col suo ultimo saggio critico dell’ideologia indigenista “L’utopia arcaica”, lei si è proposto con forza come uno dei massimi ideologi del “partito europeo”.

“Perché l’America Latina è senza dubbio parte della cultura occidentale. Con caratteristiche proprie, perché nel nostro melting pot sono state importanti anche le influenze indigene e africane. Ma le nostre lingue di cultura sono europee. E’ venuta dall’Europa quella religione cattolica che tanto influenza i valori di tutti i latinoamericani. Compresa quella minoranza di persone che, come me, non sono credenti. Soprattutto, è di impronta europea la nostra cultura democratica. Una cultura ormai saldamente radicata, e che è quella delle società aperte, pluraliste, con una società civile indipendente dallo Stato. Naturalmente, con questo non intendo dire che il nostro rapporto con l’Europa deve essere di tipo coloniale. L’America Latina è un Occidente con tratti caratteristici. All’interno di una ricchezza di differenze, tradizioni, riti che è la nostra vera fortuna”.

 

La sua sconfitta elettorale contro Fujimori, però, sembra aver segnato l’inizio della fortuna di un terzo partito. Quello asiatico. Qual è oggi il suo giudizio su questo modello?

“Poche settimane fa sono tornato in Perù per la prima volta dopo sette anni. Dal punto di vista economico ho trovato degli importanti miglioramenti, anche se certe riforme avrebbero potuto essere fatte meglio e con meno corruzione. E’ stata comunque vinta l’inflazione, e ci sono molti investimenti stranieri. Ma dal punto di vista politico il regime di Fujimori non può essere definito in altro modo che come una dittatura”.

 

Proprio una dittatura? Non una democrazia con forti tratti autoritari?

“C’è un fantoccio civile alla presidenza della Repubblica. Ma l’esercito ha un controllo assoluto su un Parlamento-burla, sul potere giudiziario, sui mass-media. E le violazioni massicce dei diritti umani, le sparizioni, le torture, l’immunità assoluta del potere ci danno il quadro di un classico regime militare latino-americano. Con solo l’accortezza di rispettare certe apparenze, in omaggio a un clima internazionale che non è più quello di vent’anni fa. Ma è una dittatura che sta perdendo consensi. Proprio in questi giorni gli studenti di diritto hanno fatto importanti manifestazioni contro l’espulsione dalla Corte costituzionale dei quattro giudici che avevano dichiarato illegittima la legge che consentirà a Fujimori di ricandidarsi nel 2000. E per la prima volta l’ambasciata degli Stati Uniti ha attaccato le violazioni dei diritti umani”.

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