
L'insignificante crosta che si rivelò essere il Mantegna da tempo perduto
Creduta dispersa per secoli, la Deposizione riemerge inaspettatamente al Santuario di Pompei. Restaurato e autentificato, il dipinto è ora esposto alla Pinacoteca Vaticana, accolta come un evento storico dell’arte
"Pictor rarissimus”, “Il primo homo al mondo in tal arte”. Il vento stava già mutando (col Perugino in ascesa e quel che ne seguì), ma sul finire del Quattrocento Andrea Mantegna, da Isola di Carturo, Veneto, era l’artista top in Italia, per apprezzamento dei committenti, per guadagni, per quantità di copie, imitazioni e riproduzioni su incisione. Secondo Giovanni Santi, Mantegna era superiore a tutti gli artisti del suo tempo e persino a quelli dell’antichità. Santi era pittore di buon grido nonché papà di Raffaello. Si muove a doppio filo, all’interno della polarità morte-resurrezione, la vicenda della Deposizione di Andrea Mantegna, rinvenuta dal nulla cinque anni fa e rinata a vita nuova e pubblica nel 2025. Intanto, a quel che oggi consta, l’opera è venuta a concepimento e alla vita come omaggio funebre, come gesto di riguardo verso antenati defunti. Fu infatti commissionata all’artista veneto, “artefice sovra tutti gli altri accorto e ingegnosissimo” (Jacopo Sannazaro), da Federico d’Aragona, re di Napoli, imparentato coi Gonzaga presso i quali Mantegna era ingaggiato a Mantova, con una sorta di esclusiva dalla quale molto raramente lo esentavano rispetto ai molti richiedenti la sua arte (ecco, qualcuno direbbe, l’atavico, italico familismo). Il dipinto, in cui è raffigurata la sepoltura di Cristo, doveva fare da pendant ornamentale alle sepolture di Alfonso I, Ferrante I e poi Ferrandino, nella Basilica napoletana di San Domenico.
L’altro tirante della dialettica mors/resurrectio riguarda la sorte fisica del quadro mantegnesco che a un certo punto scompare dai radar, cioè da inventari, archivi e qualsiasi altra segnaletica documentaria; nelle guide ottocentesche dedicate alla Basilica non se ne fa menzione, dove sarà mai finita l’opera d’un autore così celebre? Probabilmente ingoiata – si presumeva – nel fondo “pozzo dell’arte perduta” riempito dalle traversie della storia, incuria, guerre, furti e catastrofi. E invece, nel 2020, il coup de théâtre reso possibile dalla archiviazione digitale dei beni artistici delle diocesi italiane (BeWeb, sia lodato il web): in quella di Pompei, e precisamente al Santuario della Vergine del Rosario, risulta conservato un quadro severamente danneggiato, dalla scarsa leggibilità, catalogato genericamente come “ambito italiano del XIX”, insomma un ottocentone di scarso valore. Ma lo studioso Stefano De Mieri aguzzando occhi e memoria intravvede somiglianze con copie accreditate della Deposizione mantegnesca: chissà, potrebbe essere questo il prototipo, la matrice? Da lì si mette in moto una poderosa macchina di ricerca fornita dai Musei Vaticani: indagini storico-artistiche, diagnostiche (fluorescenza, infrarosso, riflettografia, radiografia, spettrometria etc.), interventi di restauro (su superficie, supporto e retro). La sentenza, l’esito, è incontrovertibile: si tratta proprio dell’opera di Andrea Mantegna creduta persa! Vittoria, resurrezione, festa!
Ma come è finito il Mantegna a Pompei da Napoli? Finora solo congetture: la più plausibile è che lo stesso sacerdote che procurò al Santuario l’immagine – oggi veneratissima, ma allora opera di scarto – della Vergine del Rosario dal convento di San Domenico annesso all’omonima Basilica – il padre Alberto Radente, divenuto da priore a san Domenico il primo Rettore del santuario pompeiano – abbia portato con sé anche quella tela sconosciuta che aveva si origini regali ma che ormai era considerata un’insignificante crosta. E la scelse magari in ragione di un particolare del dipinto, quel rosario che pende dalle mani della piangente Maria Maddalena. Lorenza D’Alessandro e Giorgio Capriotti, i restauratori ospitati nel laboratorio vaticano diretto da Francesca Persegati, hanno certosinamente riportato alla luce tutte le otto figure del dipinto, perfino la Madonna contristata che dal cono d’oscurità, il sepolcro di dolore nel quale l’ha rinchiusa Mantegna, lancia l’ultimo sguardo al Figlio morto trasportato nel sepolcro di pietra. Ora il quadro è esposto nella Pinacoteca vaticana (che non possiede un Mantegna) ed è quasi un provvidenziale risarcimento per i Musei Vaticani, momentaneamente orfani della splendida Deposizione del Caravaggio, in prestito all’Expo di Osaka in Giappone, ritrovarsi in casa, sia pur provvisoriamente, la rediviva Deposizione di Mantegna! Più che giusto che alla tela smarrita e poi ritrovata facciano da subito festa i milioni di occhi che transitano nei Musei del Papa.