Il maggio musicale fiorentino

La "Salome" di Alexander Soddy è travolgente e teatrale come poche

Alberto Mattioli

Quella del quarantaduenne britannico è una direzione concreta e chiarissima, affiancata dalla regia di Emma Dante. Uno Strauss incalzante e fiammeggiante

La “Salome” per l’inaugurazione del Maggio musicale è soprattutto la “Salome” di Alexander Soddy. Il quarantaduenne maestro britannico è in predicato di diventare direttore musicale a Firenze e fin dalle prime note si capisce pure perché. Intanto, l’orchestra lo ama e suona magnificamente; e poi Soddy non ha solo un braccio sicurissimo, ma anche delle idee. L’opera è da sempre considerata la summa di ogni estenuatezza & sfrenatezza decadenti, da delibare soprattutto come alchimia di colori e preziosità orchestrali assortite. Soddy invece non si dirige addosso e fa uno Strauss incalzante e fiammeggiante, fra ritmi sostenuti, colori brillanti e una magistrale differenziazione di piani sonori.

E così capita anche che talune perfide frasette nel mare magnum dell’orchestra straussiana, per esempio certe sottolineature degli ottoni, evidenzino quanto di sarcastico c’è nel testo di Wilde e di conseguenza nell’opera (Strauss, com’è noto, lavorò direttamente sulla sua traduzione tedesca), specie nella coppia ormai scoppiata formata da quei volgarissimi nouveaux riches del Tetrarca e della Tetrarchessa. Insomma, una direzione teatrale come poche, molto concreta e risolta, spesso travolgente e sempre chiarissima, con tutti temi che ritornano intellegibili e riconoscibili, quasi da Salome “for dummies”. Infatti anche politici, mondani autoctoni o d’importazione, turisti di passaggio e tutta la fauna che dice Salomè con l’accento sulla “e” se l’è bevuta d’un fiato.


Questi momenti da ritratto di famiglia grottesco sono anche i migliori dello spettacolo di Emma Dante che, al solito, fa la Dante. Tutto si svolge davanti a un mostro di Bomarzo dalle cui fauci sbuca Jochanaan, tenuto dai carcerieri per i suoi lunghissimi dreadlocks. I manierismi danteschi ci sono ovviamente tutti: le guardie sono dei pupi siciliani che indossano armature di porcellana curiosamente simili ai barattoli dell’Amarena Fabbri e immancabilmente picchiano, o peggio, le ancelle, mentre una ballerina-luna volteggia qua e là. Il meglio, lo si diceva, è la caratterizzazione della coppia regnante ma sragionante; lo spettacolo alla fine funziona ma non sorprende e, soprattutto, non si capisce bene dove voglia andare a parare. Buona la compagnia. Nikolai Schukoff è il miglior Erode ascoltato e visto da tempo (che artista), ed è molto brava anche Anna Maria Chiuri come Erodiade. Più normale Brian Mulligan, Jochanaan, che quando è nella cupa cisterna mi è parso amplificato troppo e male; del Narraboth purtroppo posso dire nulla perché la sua voce non passa le prime tre file di poltrone, e io ero nella quarta. Resta la protagonista, Lidia Fridman, che qui funziona molto meglio che in Bellini o Donizetti, per esempio per gli acuti sempre un po’ avventurosi. E poi: gran tenuta, timbro pieno e notevole presenza scenica, dato il fisico da modella: la primavera-estate della Galilea 2025 prevede meravigliosi pepli rossi, da cui peraltro la Prinzessin non si separa nemmeno nella danza, tenendosi addosso tutti e sette i veli.