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Una boccata d'aria nel nichilismo novecentesco. (Ri)leggere Conrad

Carlo Maria Simone

Giuseppe Mendicino racconta lo scrittore che non conobbe confini. Colui che aveva fede nel fatto che l'uomo, pur avendo in sé il peccato originale, è in grado di usare la propria libertà per sfidare le tempeste

Qualche giorno fa m’infilai in una lezione aperta di una facoltà di lingue. Giuseppe Mendicino stava presentando la sua ultima fatica, un invito alla lettura di Joseph Conrad (Conrad. Una vita senza confini, edito da Laterza per il centenario dalla morte). Mendicino domanda alle studentesse chi abbia mai letto Conrad: è tanto se si sono alzate un paio di mani. Un buon motivo per battere la testa contro il muro, e le nostre, di mani, a Mendicino, che non ha scritto soltanto un libro dettagliato, scorrevole e appassionante, ma oserei dire necessario. Leggetelo per imbarcarvi sul bastimento di Conrad: è un aiuto per i neofiti, e un arricchimento per gli esperti. Da tanta abbondanza, offro tre spunti.


Uno: riprendiamo Conrad per riscoprire lo spirito europeo. Conrad, nell’Empireo degli scrittori inglesi, era tutto fuorché inglese. Polacco, nato nel 1857 in una regione che oggi sarebbe Ucraina, aveva i genitori finiti nei guai coi russi (guarda un po’!) per napoleoniche illusioni di libertà, dunque fuggì in Francia; ma chi gli aprì le porte fu la marina mercantile inglese, all’epoca vorace di imbarcare chiunque. Immigrato, dunque: e sempre gli inglesi glielo fecero pesare, chiamandolo “slavo” (Virginia Woolf, quando Conrad morì, scrisse “il nostro ospite ci ha lasciato”). Ma lui raggiunse le vette della carriera in vent’anni di marina, dichiarò che se non avesse scritto in inglese non avrebbe mai scritto, e oggi dagli oceani del cielo fa le pernacchie a tutti i suoi detrattori. Due: leggiamo Conrad per guardare lontano. Noi affondati nei nostri smartphone; lui che, adolescente, senza aver mai visto il mare in vita sua, decise che avrebbe fatto il capitano. E lo fece. Poi, non pago, davanti alla “certezza del grigio uniforme” che ammanta anche la vita di chi è all’apice della carriera, scelse di prendere la penna in mano per dedicarsi “a un elemento altrettanto inquieto e pericoloso e mutevole del mare, anzi più vasto – l’implacabile oceano della vita umana”. Se non è d’ispirazione questo per i giovani, allora cos’altro? Tre. Suo padre nacque vivente Napoleone, Conrad vede il mare svuotarsi delle maestose vele per riempirsi di piroscafi; guida (male) le prime automobili; contempla il figlio inoltrarsi oltre la “linea d’ombra” della Grande Guerra. Conobbe le fatiche personali e i grandi travagli della Storia. Tuttavia, aveva fede nel fatto che l’uomo, pur avendo in sé il peccato originale di un heart of darkness, può usare la propria libertà per sfidare le tempeste. “Non abbiamo forse noi, tutti insieme, navigando sul mare immortale, strappato un senso alle nostre vite peccatrici?”, fa domandare a un marinaio al termine del racconto Il negro del Narciso. La dignità della statura umana, la vita concepita come lotta e solidarietà: una voce che riscalda il cuore (specie il nostro, generazione ansiosa), e porta una ventata d’aria nel brullo panorama nichilista novecentesco. L’aveva ben capito Italo Calvino: “Amo Conrad perché naviga l’abisso e non ci affonda”.