
FACCE DISPARI
Oana Bosca-Malin: “L'amorosa sfida di tradurre Leopardi e Calvino in romeno”
Tra l'Erasmus e Ceaușescu, l'intervista alla scrittrice che porta la letteratura e la narrativa italiana in Romania
È ipotesi verificata che l’incanto di un libro possa orientare un destino, ma è suggestivo apprenderlo quando succede. Oana Bosca-Malin s’accese d’amore per l’Italia con la scoperta di una vecchia guida turistica nella casa natale di Bucarest. Se oggi i lettori romeni possono apprezzare le “Mici Opere Morale” di Giacomo Leopardi con apparato critico aggiornato, o “Le città invisibili” (“Orasele Invizibile”) di Italo Calvino, è per le traduzioni di Oana, professore associato all’università di Bucarest, distaccata dal 2018 all’Accademia di Romania in Roma come vice direttore e responsabile dei programmi
culturali.
Come scoprì l’Italia?
Con una guida di Firenze degli anni ’60 che un’amica aveva regalato a mia nonna. La sfogliavo in continuazione tornando sempre alla pagina del Cristo Pantocratore nel Battistero. Quell’immagine ha contrassegnato la mia infanzia. Quando fu ripristinato il liceo bilingue avevo due opzioni: francese o italiano. Non ebbi esitazioni.
Il primo viaggio nella Penisola?
Al secondo anno di liceo. L’emozione più forte fu salire sul tetto del Duomo di Milano. La cultura italiana divenne una seconda pelle. Proseguii all’università e partecipai a varie “olimpiadi” nazionali, vincendo anche un premio per la traduzione del “Bruto minore” di Leopardi. Ciò mi permise un soggiorno di due settimane a Recanati con altri studenti nel 1998, bicentenario della nascita del poeta. Ricordo l’affetto della popolazione per quei
secchioni romeni riconoscibili dalle cartelline gialle, cui tutti offrivano il caffè. Appartengo a una generazione molto fortunata.
Perché?
Siamo stati i primi a usufruire di borse di studio all’estero e degli Erasmus, ma abbiamo anche fatto in tempo a vivere la dittatura: quella memoria ci basta per sapere cosa non vogliamo più. Quando cadde il regime di Ceasescu avevo dodici anni e appartenevo all’organizzazione obbligatoria dei “Pionieri”, dopo essere stata “Falchetto della Patria”. Ricordo come adesso i frangenti della rivoluzione: nel giorno della contestazione in piazza
a Ceausescu facevo la coda per comprare il burro quando vidi gli operai delle industrie chimiche che, lasciate le fabbriche, marciavano su un viale del mio quartiere. Mollai la fila e li seguii affascinata, mentre mia sorella maggiore avrebbe portato da mangiare agli studenti nel Politecnico indossando il bracciale tricolore. Negli anni successivi, a Natale, mio padre metteva sull’albero quella fascia. La tagliò in due quando mia sorella si sposò,
affinché potesse appendere la sua metà sull’albero addobbato nella nuova casa.
Per lei, dopo la laurea, il dottorato di ricerca, la docenza e l’attività di traduttrice cui si dedica da anni.
Sono stati frutto, per dirla con Leopardi, di “studio matto e disperatissimo”, ma non mi è mai pesato. L’italianistica è la mia vita.
Per tradurre le “Operette morali” un po’ di coraggio c’è voluto?
Fu la mia docente a indirizzarmi. Disse: “Ti voglio far nuotare dove l’acqua è profonda”. Esisteva già una traduzione in romeno delle “Operette”, ma incompleta, che non beneficiava degli studi più recenti. È stata una fatica che mi ha procurato qualche capello bianco, al contempo una provocazione e un regalo. Era il 2016, avevo ventinove anni. Le “Operette morali” uscirono per l’editrice Humanitas con cui avevo già tradotto “Vite brevi di idioti” di Ermanno Cavazzoni. Per lo stesso editore ho lavorato poi su vari autori, come Erri De Luca, ma ho pubblicato anche con altre sigle.
Quali titoli ricorda con più soddisfazione?
“Le ceneri di Gramsci” di Pasolini, a quattro mani, e Calvino: “Ultimo viene il corvo”, “Il sentiero dei nidi di ragno”, più recentemente le “Lezioni americane”, ma fu quando mi proposero di mettere in romeno “Le città invisibili” che stavo per svenire di gioia. C’è però un libro al quale sono particolarmente affezionata: “Vita”, con cui Melania Mazzucco vinse il Premio Strega. Coincise con la nascita di mia figlia: mentre la traduzione procedeva
gliela leggevo a voce alta per farla dormire. La prima lettrice romena di Melania fu una neonata.
Com’è la ricezione della letteratura italiana in Romania?
Molto favorevole sia per i classici sia per la contemporaneità, anche perché l’italiano si studia in diversi licei bilingui e università. Oltre a Bucarest ci sono Cluj, Iasi, Costanza, Craiova, Timisoara. Nei giorni scorsi è stato in Italia Mircea Cartarescu e di recente sono stati pubblicati in edizione integrale i racconti fantastici di Eliade.
Quali scrittori consiglia agli editori e al pubblico italiano?
Alcuni molto amati in patria e quasi sconosciuti qui. Due importanti voci femminili sono Ana Blandiana e Ioana Pârvulescu. Aggiungo Radu Paraschivescu, autore di romanzi storici e libri di costume. E poi la nuova letteratura per l’infanzia fiorente in Romania, una miniera di opere già apprezzata alla Bologna Children’s Book Fair.
Cosa programma all’Accademia di Romania?
La comunità romena conta in Italia oltre un milione e duecentomila persone, più di centomila solo a Roma e dintorni. Mi preme che le seconde generazioni non perdano le radici e le considerino un valore aggiunto all’identità italiana. Perciò organizziamo numerose iniziative, dai corsi di romeno gratuiti alla conoscenza del nostro patrimonio immateriale, rappresentato per esempio dalla festa del Martisor, dalla Giornata universale della camicia tradizionale, dai canti classici di Natale.
Continua a tradurre?
Sto preparando un’antologia di testi brevi di Calvino. Mi appaga tornare al pc e cercare con ostinazione le parole per trasporre bellezza da una lingua all’altra.