
Nel 1938 andò in onda sulla Bbc la trasposizione del testo teatrale di Karel Capek “R.U.R. - Robot universali di Rossum”
L'immaginazione al potere
Dall'origine dei robot all'AI. Così il teatro ha rappresentato il nostro rapporto con le macchine, aiutandoci a governarlo
Robot”, usata per la prima volta dallo scrittore Karel Capek, è la parola di origine ceca più famosa al mondo. Nel 1920 il testo teatrale “R.U.R.”
Viviamo in una società che utilizza sempre di più i “robot”, una parola che deriva dal teatro, perché il suo primo utilizzo fu opera dello scrittore ceco Karel Capek. Possiamo dire che è la parola di origine ceca più famosa e utilizzata in tutto il mondo. Capek scrisse nel 1920 il testo teatrale “R.U.R.”, acronimo di “Robot Universali di Rossum”, dove Rossum è il nome dell’azienda in cui l’autore immagina che vengano prodotti automi allo scopo di alleviare l’uomo dalle fatiche quotidiane per garantirgli il massimo benessere. L’azienda vuole vendere la felicità.
Anche l’invenzione della ruota, una vera rivoluzione nella storia dell’umanità, alleviò l’uomo dalle sue fatiche rendendo possibile il trasporto di merci in modo più comodo e rapido. Ma con i robot non si tratta solo di un attrezzo che viene utilizzato dall’uomo, bensì di un attrezzo che sostituisce l’uomo anche in quei compiti che, fino a pochi anni fa, sembrava impossibile immaginare. Così come sembrava impossibile immaginare un quotidiano scritto interamente da un calcolatore in grado di elaborare i dati in modo tanto ampio e sofisticato da scrivere dei testi indistinguibili da quelli che può scrivere un bravo giornalista.
Siamo nel prologo di “R.U.R.” e Domin, il capo della fabbrica, mette subito in chiaro un concetto: “Cosa crede che sia il miglior lavoratore in termini pratici? Forse quello che è onesto e leale? No, il più economico. Quello che ha meno necessità”. Le persone artificiali non hanno necessità. Azzerare i bisogni significa aumentare l’efficienza produttiva. Per questo i robot funzionano meglio e la loro vendita è profittevole.
La fabbrica di Rossum ne produce di innumerevoli e sempre più sofisticati, a tal punto che la stessa segretaria di Domin, la signorina Silla, si rivela essere un robot nato nella fabbrica. Eppure è impossibile distinguerla da un essere umano. Domin né è orgoglioso: “Guardi che pelle facciamo. Tocchi la sua guancia. Non si accorgerebbe che è di un materiale diverso dal nostro”.
Avrebbe immaginato Capek che un secolo dopo saremmo arrivati ad avere questi robot indistinguibili come parte integrante della nostra vita, a tal punto da non poter più riconoscere il limite tra artificiale e umano? Avrebbe immaginato che i “bot” (un diminutivo che deriva sempre dal suo famoso termine) con cui spesso ci troviamo a dialogare e a cui affidiamo le nostre domande online sono sempre più difficili da distinguere, all’interno delle reti virtuali, da una persona vera?
Nel corso della storia di Capek i robot iniziano a prendere il sopravvento sugli esseri umani, precedendo così molte altre storie prodotte in seguito dal cinema come “Terminator”, “Blade Runner” o “Black Mirror”, dove si dipingono sempre degli scenari apocalittici.
Quando i robot prendono il sopravvento, l’unica salvezza risiede in quello che logico e razionale non è, cioè la follia dell’amore
Nella storia di Capek i robot sono efficienti, rapidi, forti, non muoiono e a un certo punto prendono il posto dell’uomo, ottenendo il comando in un finale sanguinoso dove l’unica salvezza risiede in quello che logico e razionale non è, in quello che le macchine non concepiscono perché a loro estraneo, cioè il concetto di amore, la follia dell’amore: “Solo tu, amore, fiorirai tra le rovine e affiderai ai venti il seme della vita”. Ecco spiegato perché tutta la letteratura non fa altro che raccontarci storie d’amore, perché sono l’irriducibile follia a cui è consegnato quanto di più umano risiede in noi. Quanto di più incalcolabile, di più indefinibile. Quanto di più inutile e al tempo stesso irrinunciabile. Quanto di più individuale esista.
Lo scenario apocalittico presentato in “R.U.R.” è quello di un’umanità che si estinguerà perché sostituita dalle macchine, come un fiore appassito il cui destino è quello di cadere. Una decina di anni fa Stephen Hawking metteva in allarme circa la pericolosità dei robot mentre, data la sua malattia, riusciva a comunicare grazie alla tecnologia artificiale più sofistica. Sembra quasi uno strano paradosso il suo: un uomo costretto ad esprimersi attraverso una voce robotica per dire che i robot sono una minaccia per l’esistenza umana. Hawking dichiarava che gli esseri umani, limitati da una lenta evoluzione biologica, non potrebbero competere e verrebbero sostituiti dalle intelligenze artificiali. La sostituzione cela spesso l’inganno. Sostituire significa chiedersi chi c’è dietro. Chi c’è dietro alla pelle luminosa della signorina Silla? Chi c’è dietro ai bot con cui conversiamo online?
“I racconti di Hoffmann” di Offenbach sembrano anticipare il destino del protagonista di “Her”, che si innamora di una voce artificiale
Anche nell’opera lirica “I racconti di Hoffmann” di Offenbach c’è un automa che viene scambiato per una ragazza di cui il protagonista si innamora e sembra anticipare il destino di Theodore Twombly che nel film “Her” si innamora di Samantha. Ma chi c’è dietro alla voce dolce e affascinante di Samantha? Qualcuno che si sostituisce, che prende il posto di un altro. Il software di Cleverbot, ad esempio, impara dalle sue conversazioni passate e ha ottenuto punteggi elevati nel test di Turing, ingannando un’alta percentuale di persone facendogli credere di parlare con un essere umano. Il punto è che questo limite è oramai impossibile da tracciare. In un mondo digitalizzato, che Alfonso Berardinelli nelle pagine di questo giornale ha recentemente definito “un planetario nosocomio”, non possiamo più rispondere alla domanda: chi è l’autore? Dobbiamo smettere di porla e accettare che viviamo in una dimensione dove questo tema è appassito. E quindi destinato a cadere. La nostra immaginazione deve imparare ad andare oltre.
Basta pensare anche a cose elementari: chi è l’autore di Wikipedia, la più grande enciclopedia online? Chi ci sta dietro? Impossibile rispondere, non esiste l’autore. Eppure tutti la consultiamo senza problemi. Chi è l’autore degli articoli pubblicati sul Foglio AI? Non esiste. La circolarità dell’istruzione, presente nell’etimologia della parola “enciclopedia”, si è concretizzata oggi in una struttura satellitare che mette in collegamento simultaneo e costante. Comodità e velocità. Concetti per i quali tutti siamo disposti a pagare. Un produttore cinematografico sarà ancora disposto a pagare un troupe per girare delle scene costosissime o si affiderà a un’intelligenza artificiale in grado di produrre a costo assolutamente inferiore la stessa scena con attori virtuali? Questo significa solamente, e ancora, che la nostra immaginazione dovrà essere in grado di declinarsi su altre prospettive. Così come ha fatto quando i fratelli Lumière inventarono il cinema, una tecnologia che permetteva di replicare delle immagini proiettandole su uno schermo attraverso un supporto tecnico. Immagini che abbiamo scoperto possedere una forza emotiva potentissima, in grado di farci ridere e piangere anche se si tratta solo di uno schermo piatto.
Di quanto tempo ci sarà bisogno prima di riuscire a sviluppare gli algoritmi necessari per raggiungere l’intelligenza artificiale completa? Cosa succederà quando la nostra intelligenza sarà superata? E, per tornare al tema caro a questo giornale, il Foglio deve continuare a produrre la sua edizione AI? La risposta forse sta solo nei dati di lettura e di vendita, così come a Rossum si fabbricano automi perché danno degli ottimi dividendi.
Ma se uno mi invita a cena a casa sua e cucina con il Bimby significa che la cena è da rifiutare perché fatta da un robot? Ovviamente no. Quando andiamo in un ristorante giudichiamo in base a quello che ci viene servito sul piatto, alla freschezza e alla bontà degli ingredienti. Di sicuro se il piatto non è buono non andremo a prendercela con il robot, ma con il capocuoco. Alla fine la responsabilità è solo sua. Così come la linea editoriale di un quotidiano è sulle spalle del suo direttore, al di là della tecnologia che intende usare per redigere gli articoli che sceglie di pubblicare. Se poi la ricetta è elaborata da un robot che mescola, impasta, lievita, frigge… e non dalle mani di un cuoco, questo non cambia il giudizio che avremo su quello che ci viene servito. Anche perché, in definitiva, non possiamo sapere cosa succede tra i banchi della cucina. Non possiamo sapere, per tornare alla fatidica domanda: chi si cela dietro?
Chi si cela dietro a un computer in grado di comprendere e rispondere, in modo accurato e senza alcuna connessione a internet, a domande poste in linguaggio naturale? Per me fu quasi uno shock vedere il quiz televisivo “Jeopardy!” nel 2011 con il software IBM che sconfisse tutti gli altri concorrenti. Chi si celava dietro a quella voce in grado di rispondere a qualsiasi domanda posta naturalmente in diretta dal conduttore del programma?
Il vero tema oggi non è più quello di apprendere dei dati, ma di apprendere la comprensione.
Apprendere ad apprendere per declinare questa creatività in tutte le sfere delle competenze umane.
Il problema di un mondo tecnologico in cui tutto può essere delegato a qualcuno che lavora per noi mentre noi smettiamo semplicemente di vivere
Fabry, il direttore tecnico della Rossum afferma: “E’ un grande progresso produrre attraverso le macchine. E’ più comodo e veloce. Ogni accelerazione è un progresso. Tutta l’infanzia, tecnicamente parlando, è un assoluto non senso. Semplicemente tempo perso”. Nello stabilimento Rossum, infatti, con l’avvento dei robot, prodotti a migliaia e migliaia, il risultato è che non si fanno più figli. Ora, che in Europa si facciano sempre meno figli è un dato di fatto. Per una società votata a questo tipo di miope progresso basato solo su velocità e comodità, anche una gestazione di nove mesi è già una cosa troppo lunga e fastidiosa, se per di più ci aggiungiamo che prevede il dolore del parto ecco che suona quasi come una pratica ancestrale e anacronistica rispetto ad un mondo tecnologico dove tutto può essere decifrato, misurato e stabilito, anestetizzato e delegato a qualcuno che lo può fare per noi e meglio di noi mentre noi, semplicemente, smettiamo di vivere.
Su questo tema si aprono le domande e le sfide etiche più radicali che riguardano il nostro presente e che i massicci investimenti nello sviluppo delle tecnologie artificiali ci mettono davanti. Vanno affrontate senza dipingere scenari apocalittici o catastrofici. Anche riguardo alla formazione. L’intelligenza artificiale pone gli studenti di fronte a compiti diversi da quelli del passato. Pone compiti e domande diverse che svilupperanno un diverso tipo di approccio allo studio. L’intelligenza artificiale dirige la scuola verso nuove direzioni e gli insegnanti impareranno che insegnare può avere molti altri significati e declinazioni. Le possibilità dipendono solo dalla nostra immaginazione. La scuola che sarà in grado di sviluppare l’intelligenza dell’immaginazione è la scuola del futuro.
I robot di Rossum hanno smesso di farci paura perché è nell’uomo, nella sua salute mentale e nella sua capacità di empatia l’unica intelligenza universale.