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Altro che nazione, patria e tricolore. L'Italia non esiste, dice Rondolino

Carlo Stagnaro

Dalle origini alla vocazione unitaria, passando per l’inno, la bandiera, le classi dirigenti e ovviamente la triade famiglia-mafia-mamma: lo scrittore demolisce ogni cosa di questo paese. Qualcosa ci unisce, ma quel qualcosa è il peggio di noi. E proprio da qui deriva la nostra costante autoassoluzione

“Tanto per cominciare, l’Italia non esiste”. E’ lapidario l’incipit del libro di Fabrizio Rondolino, “L’Italia non esiste (per non parlare degli italiani)” (Piemme). Per l’autore, il nostro stare assieme è frutto del caso, non della storia. Infatti, si stava meglio prima, quando eravamo suddivisi in una pluralità di regni, repubbliche e granducati. “L’unico stato preunitario mal governato e peggio amministrato – dice Rondolino – era lo stato pontificio, e questo oggi siamo: una vasta, inefficiente suburra di peccatori bigotti”. 

Dell’Italia Rondolino demolisce tutto: le origini, la vocazione unitaria, l’inno, la bandiera, le classi dirigenti, la Chiesa e ovviamente la triade famiglia-mafia-mamma. Si potrebbe, a questa selva di iperboli, obiettare che, per essere un paese che non esiste, bene o male l’Italia sta assieme da centocinquant’anni e passa; e pure con un certo successo, o almeno senza troppi insuccessi. 

Rondolino risponderebbe (e risponde), intanto, che qualcosa ci unisce, ma quel qualcosa è il peggio di noi. “La nostra caratteristica principale – scrive – pare proprio essere l’autodenigrazione: non c’è periodo della storia d’Italia, pre e postunitaria, in cui scrittori, filosofi, politici e intellettuali non abbiano preso la parola e la penna per parlar male, anzi malissimo dei propri conterranei” (lui stesso fa, ovviamente, parte del club). Da questo non deriva l’umile e faticoso tentativo di migliorare: anzi, ne viene la costante e sistematica autoassoluzione. Infatti, gli italiani si affermano, quando lo fanno, non in virtù del loro essere italiani, ma ciononostante; e, non a caso, trovano all’estero la loro fortuna. Nemo propheta in patria on steroids. 

Piero Gobetti, nel 1922, fu il primo a riconoscere nel fascismo “l’autobiografia della nazione” o meglio, il punto d’arrivo inevitabile di chi “rinuncia per pigrizia alla lotta politica”. La sinistra italiana, che Rondolino conosce bene e a cui dedica un capitolo, ha spesso trovato in queste parole un lasciapassare per rimarcare la propria differenza. Ma, li irride Rondolino, non sono anti italiani: sono italianissimi cultori di quella medesima autoassoluzione che abbiamo visto essere una delle stigmate dell’italiano. “E’ una sinistra talmente smarrita, la nostra, che riesce persino a discutere seriosamente e a spaccarsi sull’essere o meno il MoVimento 5 stelle (la V maiuscola sta per “vaffanculo”) un partito “di sinistra”, mentre è, limpidamente, la versione più feroce, intollerante e naturaliter fascista del qualunquismo italiano”

Insomma, aver forzato gli italiani dentro una medesima architettura statuale ne ha fatto emergere quei difetti che sono culminati nel fascismo. E’ una constatazione importante, proprio nel momento in cui sembrano tornare in auge la Nazione, la Patria, il Tricolore e via maiuscoleggiando. Ma gli italiani non hanno bisogno dell’Italia per esistere: forse, con buona pace del marchese d’Azeglio, anziché fare gli italiani sarebbe stato meglio dedicarsi a disfare l’Italia (cosa che, secondo questo libro, ci riesce benissimo).
 

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