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rimandi filosofici

Il modello delle leggi di Platone e il caso di Israele

Tommaso Tuppini

L'idea platonica che la pace si costruisca con la preparazione militare costante, anche in tempi di quiete, trova attualizzazione nell’organizzazione difensiva di Israele. E' l’inequivocabile lezione dell’Ateniese: esser pronti alla guerra, sempre

"E’ lui o non è lui?” avrebbe chiesto Ezio Greggio banditore dell’asta tosta. E’ stato davvero Platone a dire: se vuoi la pace, prepara la guerra? Al centro della diatriba ci sono le Leggi, uno degli ultimi dialoghi del filosofo, un libro coriaceo, appesantito da lunghe prescrizioni rituali, con ripetizioni e ridondanze che hanno fatto pensare si trattasse di una bozza, che solo la grande mietitrice impedì a Platone di limare. Eppure, in un passaggio decisivo, la frase incriminata appare, chiarissima: “Se in tempo di guerra comandanti e soldati devono essere addestrati alla guardia, questo dev’essere fatto anche in tempo di pace”. Più esplicito di così non si può. Le attività militari devono continuare anche quando non c’è alcuna guerra guerreggiata, “perché di fatto ogni stato è per natura sempre in guerra, anche se non dichiarata, contro un altro stato”. La pace, insomma, è una guerra condotta con altri mezzi. Qui, però, intervengono i micragnosi, ricordando che a parlare è Clinia, incaricato di stilare le leggi per una nuova colonia cretese, mentre il portavoce di Platone sarebbe l’Ateniese.

A parte che voler individuare il portavoce di Platone nei suoi dialoghi è sensato quanto cercare quale personaggio di Guerra e pace sia Tolstoj, è pur vero che l’Ateniese precisa: i buoni legislatori non preparano la città alla guerra per la guerra, perché hanno nel cuore l’obiettivo della pace. Gli uomini di stato non devono essere guerrafondai. Ma ciò non significa che sono mollaccioni. Su questo punto l’Ateniese è fin troppo eloquente: “Bisogna che lo stato intelligente ogni mese si eserciti alla guerra, almeno per un giorno, senza tener conto di freddo e caldo; e tutti, anche donne e bambini, vi partecipino, quando ai magistrati sembrerà necessario condurre fuori dalla città tutto il popolo”. Le esercitazioni permanenti, dunque, hanno un’importanza fondamentale: servono a cementare la comunità, insegnando “a non conoscere cosa significhi l’agire separatamente dagli altri”.

Non a caso, lo stato contemporaneo più simile a quello immaginato da Platone è Israele. Le unità militari israeliane riuniscono periodicamente giovani provenienti da retroterra diversissimi – religiosi e laici, sefarditi e ashkenaziti, immigrati recenti e discendenti dei pionieri – che mangiano insieme, dormono negli stessi spazi angusti, spartiscono ogni fatica, imparando a muoversi, a riconoscere i pericoli, ad affrontare condizioni fisiche estreme: caldo, freddo, fame, sete, nel deserto del Negev, tra le alture del Golan. E’ esattamente ciò che Platone prescriveva per uomini e donne, chiamati a esercitarsi regolarmente fuori dalle mura cittadine, in ogni condizione climatica, per prepararsi al momento della necessità. “Mangiare insieme, comandanti e soldati, per ragioni di sicurezza”, educandosi non solo alla difesa, ma anche al cameratismo. E se fosse questo il modello da seguire per formare i futuri europei? Se vuoi l’Europa, prepara il suo esercito, e avrai la pace.

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