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il libro

L'odio religioso lega i due genocidi del Novecento. L'analisi di Robiati Bendaud

Alessandro Litta Modignani

Il legame tra il genocidio armeno e la Shoah è segnato da un comune denominatore profondo. Le antiche strutture di sottomissione e stereotipi razzisti hanno preparato il terreno per entrambe le tragedie del secolo scorso. Un libro lo racconta con un approccio originale

Il genocidio armeno e quello ebraico sono strettamente interconnessi: quanto più si risale alle origini dell’uno, tanto più si trovano elementi comuni con l’altro. Con un approccio particolare e originale, Vittorio Robiati Bendaud offre una interpretazione “religiosa” di entrambe le grandi tragedie del Novecento. Non ti scordar di me. Storia e oblio del genocidio armeno (Liberilibri, 180 pagine, 18 euro) è un saggio di carattere “pionieristico”, scrive Antonia Arslan nella postfazione; possiede cioè un carattere “inedito”, e forse offre “la giusta chiave per lucchetti che attendevano di essere aperti”. Anche se Metz Yeghérn (il “Grande Male”, così gli armeni chiamano la cancellazione del loro popolo) è stato realizzato dal nazionalismo laico dei Giovani Turchi e poi ultimato da Ataturk, le sue radici affondano nell’istituto islamico della dhimma, lo status di sottomissione cui gli armeni (come gli ebrei e altre minoranze cristiane) erano sottoposti da secoli nell’ambito dell’impero ottomano.

“Solo l’archetipo misogino” – scrive Bendaud –  “basato sulla subalternità della donna dominata al maschio dominante, spiega e rende tristemente ben evidente nel sistema politico-religioso della dhimma il significato di parole quali protezione, fedeltà, infedeltà, ribellione, arroganza, nonché l’unilateralità assoluta di tali giudizi”. Analogamente, la Shoah avviene fattualmente per mano dei nazisti, ma scaturisce dalla sedimentazione di un substrato plurisecolare di antigiudaismo cristiano. Centrali, nell’analisi di Bendaud, sono gli studi dello storico tedesco Stefan Ihrig e della filosofa cattolica americana Siobhan Nash-Marshall. Entrambi mettono in rilievo come l’anti-armenismo tedesco, di impronta schiettamente razzista, abbia preparato il terreno per l’odio anti-ebraico del nazismo. I grandi massacri degli armeni a fine Ottocento sono l’avvio del processo genocidario, e possono contare sulla piena copertura ideologica e politica della Germania guglielmina.

Nel 1898 il Kaiser Guglielmo II si proclama a Damasco “amico dei musulmani di tutto il mondo”, mentre gli intellettuali del Reich definiscono gli armeni “razza astuta e sediziosa” e propongono lo stereotipo dell’“usuraio armeno”, fino alla definizione degli armeni come “super-ebrei”: un accostamento che ispirerà Adolf Hitler, anch’egli alla ricerca – come la nuova Turchia – di uno “spazio vitale” per il popolo tedesco e di una “soluzione finale” per una minoranza mostrificata. Il saggio si conclude con riferimenti di strettissima attualità: “E’ individuabile un fil rouge nel modus operandi del dispotismo islamico – da Abdul Hamid II al contemporaneo Ilham Aliyev, dai Fratelli Musulmani a Hamas, dal tardo Ottocento ai giorni nostri (…): si tratta del ribaltamento della realtà e della sua mistificazione, raggiungendo livelli paradossali di menzogna”. E ancora: “L’indipendenza di questo antico popolo cristiano risulta insopportabile (…). Una situazione non dissimile da quanto accade a Israele: minuscolo nei fatti, ma enorme nell’ossessione di una soverchiante maggioranza arabo-islamica che si estende, sovrana e indiscussa, su territori immensi”.